14 Ottobre 2009, 14.00
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Promesse

«Una Provincia anche a noi»

Dall'Unit d'Italia a oggi il numero delle Provincie quasi raddoppiato: erano 59, sono 109. Enti che dovevano essere aboliti, promesse infrante.


E i Camuni? Niente ai Camuni? Deciso a vendicare l’ingrata storia, il deputato leghista Davide Caparini ha deciso di tirare dritto: vuole a tutti i costi la nuova Provincia della Valcamonica. Capoluogo: Breno, metropoli di 5.014 anime. Direte: ancora un’altra provincia? Ma non avevano promesso quasi tutti di abolirle? Certo: prima delle elezioni, però.

Promessa elettorale, vale quel che vale. Tanto è vero che il disegno di legge per sopprimerle, presentato alla Camera dalla strana coppia Casini & Di Pietro, è già morto. Se dovesse passare l’iniziativa camunica del parlamentare del Carroccio, quella con capita­le Breno (inno ufficiale: «E su e giù e per la Val­camonica / la si sente la si sente...») sarebbe la provincia numero 110.
Quando nacquero nel 1861, al momento dell’Unità d’Italia, erano qua­si la metà: 59. Distribuite sul territorio con un criterio semplice: dovevi attraversare ciascuna in una giornata di cavallo. Nel 1947 erano già 91.
E col passaggio dagli equini alle autoblu, hanno continuato ad aumentare, aumentare, aumentare a dispetto del proposito dei padri costituenti, che avevano previsto la loro aboli­zione con l’arrivo delle Regioni, fino a diventa­re 95 e poi 102 e su su fino a 109 grazie a new entry e soprattutto al raddoppio (da 4 ad 8) di quelle della Sardegna.
La quale con l’Ogliastra (57.960 abitanti, due terzi di Sesto San Giovan­ni) mise a segno il capolavoro, la provincia a due teste: Tortolì (10.661 anime) e Lanusei, che di anime ne ha ancora meno: 5.699. Un re­cord mondiale. Che con l’arrivo di Breno ver­rebbe stracciato in attesa di nuove province e nuove capitali tipo Quinto Stampi, Pedesina, Zungri, Maccastorna, Carcoforo...
Direte: ma dai, Carcoforo! Perché no, scusate? Se la pro­vincia è indispensabile per essere vicina ai cit­tadini, cosa han fatto di male i carcoforesi per non avere anche loro una provincia?

Quanto costino lo ha calcolato l’anno scorso il Sole 24 Ore : 17 miliardi di euro. Con un au­mento del 70% rispetto al 2000.
Da dove arriva­no i denari? Un po’ dai trasfe­rimenti. Parte dal prelievo del 12,5% sull’assicurazione delle auto e delle moto: 2 mi­liardi nel 2007, il 54% in più rispetto al 2000.
Più aumenta l’assicurazione, più intasca la Provincia.
Altri quattrini arri­vano dall’imposta provincia­le di trascrizione: le annota­zioni al Pubblico registro au­tomobilistico che doveva es­sere abolito. Ci sono poi un’addizionale sulla bolletta elettrica e il tributo provincia­le per l’ambiente.

Come mai i cittadini non si arrabbiano? Occhio non ve­de, cuore non duole: sono tut­te tasse dentro altre tasse. Non si notano.
Va da sé che a quel punto, ignaro delle spe­se, il cittadino vede titillato il suo campanilismo. Come nel caso della provincia di Fer­mo nata dalla divisione di quella di Ascoli Piceno.
Una specie di scissione dell’ato­mo: da una piccola provincia ne sono nate due minuscole. In compenso, al posto di un solo consiglio da 30 membri, ne sono nati due da 24: totale 48 poltrone. Per non dire del­la provincia a tre piazze di Barletta-Andria-Trani, chia­mata così per non far torto ai permalosi cittadini dell’una o l’altra capitale.
Quanti sono i comuni di quel­la nuova Provincia? Dieci in tutto, sono. Il che, diciamolo, aumenta la pena per i sette tagliati fuori dal nome: Bisceglie, Trinitapoli, Minervi­no Murge.
E la targa automobilistica? «BT». Ri­volta: «E Andria? Non si può fare “Bat”?». «No, quella è di Batman».

C’è da sorridere? Mica tanto. Sull’abolizione delle province, infatti, fu giocato un pezzo del­l’ultima campagna elettorale.
«Aboliremo le Province, è nel nostro programma», disse Ber­lusconi a Porta a porta il 10 aprile 2008. «Ma la Lega sarà d’accordo?», eccepì Bruno Vespa. E lui: «La Lega è composta da persone leali».
«Presidente, che cosa ha previsto per abbassa­re i costi folli della politica?», gli chiese la si­gnora Ines nella chat-line al Corriere. E lui: «La prima cosa da fare è dimezzare il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei con­siglieri comunali». E le Province? «Non parlo delle Province, perché bisogna eliminarle».
 
Mostrava di crederci al punto, il Cavaliere, che cercava sponde: «Se Veltroni ci darà una ma­no... ». La linea veltroniana, del resto, era già stata dettata: «Cominceremo da subito abolen­do le Province nei grandi comuni metropolita­ni ».
Posizione confermata a Matrix : «All’aboli­zione delle province penso ci si possa arrivare. Ma non sono un demagogo. È facile dirlo in campagna elettorale...».
Il socio fondatore del Pdl Gianfranco Fini era d’accordo: «I carrozzo­ni non sono intoccabili e si possono abolire per esempio le Province». Una tesi già benedet­ta da altri.
Come l’ex ministro degli Interni az­zurro Giuseppe Pisanu: «Le Province ormai non hanno più senso».

Qualche settimana dopo le elezioni il capo del Governo sventolava il primo trionfo, rias­sunto dai tg amici con titoli così: «Abolite no­ve Province». In realtà nove province cambia­vano soltanto nome. D’ora in avanti si sarebbe­ro chiamate aree metropolitane.
Un ritocco se­mantico. Ma naufragato lo stesso.
Poi comin­ciarono i distinguo. «C’è un solo punto nel pro­gramma in cui ho difficoltà serie con gli allea­ti, l’abolizione delle Province. La Lega ha una posizione molto ferma», confessò Berlusconi nel dicembre 2008.
«Sono enti inutili, ma non riusciremo a cancellarli in questa legislatura», confermava Renato Brunetta.
Di più: nel dise­gno di legge sulle autonomie locali definito dal ministro Roberto Calderoli non solo so­pravvivevano. Venivano addirittura rafforzate, con la possibilità di riscuotere tasse proprie.

Vero è che Bossi aveva eretto un muro insor­montabile: «Le Province non si toccano».
Ma che la marcia indietro collettiva sia stata dovu­ta solo all’altolà del Carroccio non si può dire. Basti rileggere quanto affermò il deputato del Pd Gianclaudio Bressa nell’ottobre scorso: «Non siamo d’accordo con l’abolizione delle Province, né abbiamo mai detto di esserlo in passato. È ora di finirla con questa mistificazio­ne».
E quello che diceva Veltroni? Coro demo­cratico: Veltroni chi? Ma è niente in confronto alle contraddizioni della maggioranza.
Dove Sandro Bondi, da coordinatore forzista, era a pié fermo al fianco del Capo: «Aboliamo le Pro­vince. Sono un diaframma inutile fra i Comuni e le Regioni». Era il 14 luglio 2007: qualche me­se dopo, con marmorea coerenza, si candidava alla presidenza della Provincia di Massa Carra­ra.

E meno male anche per lui (oggi ministro) che non ce l’ha fatta. Sennò sarebbe andato a ingrossare la folta schiera dei fedeli di sant’Al­fonso Maria de’ Liguori al quale Dio concesse il dono della bilocazione.
Cioè quei politici che sono insieme assisi su due poltrone: quella di parlamentare e quella di presidente provincia­le.
La legge dice che il presidente di una Provin­cia o il sindaco di una città con oltre 20 mila abitanti non può essere eletto parlamentare? Sì, ma non dice il contrario. Così i casi di dop­pio o triplo incarico si sono moltiplicati.
Ades­so sono nove, di cui sei pidiellini: c’è il presi­dente foggiano Antonio Pepe, quella astigiana Maria Teresa Armosino, quello avellinese Cosi­mo Sibilia, quello salernitano Edmondo Ciriel­li, quello napoletano Luigi Cesaro, quello cio­ciaro Antonio Iannarilli...
 
Poi ci sono gli «ubi­qui » della Lega: il presidente biellese Roberto Simonetti, quello bergamasco Ettore Pirovano e quello bresciano Daniele Molgora, che è an­che sottosegretario all’Economia: un esempio di trilocazione mai tentato neppure dal santo fachiro Sai Baba capace al massimo di apparire insieme nell’Andra Pradesh e a Toronto.
Chie­derete: ma come fa uno a stare in tre posti di­versi? La risposta la può forse suggerire lo stes­so Pirovano. Il quale il 27 luglio scorso, mentre teneva la giunta a Bergamo, votava alla Came­ra a Roma materializzandosi grazie al tesserino usato al posto suo dal collega Nunziante Consi­glio. Il quale, pizzicato da Fini, disse: «Era un gesto innocente, pensavo stesse per arriva­re... ». Ma se di lunedì ha la giunta! «Oh signur, credevo fosse martedì...».

 
Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella
14 ottobre 2009
dal corriere.it


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