03 Marzo 2007, 00.00
Gavardo
Sanità

Ospedale di Gavardo, la magistratura indaga

Sul decesso di Rosaria, una casalinga di Nozza, avvenuto il 18 luglio dell’anno scorso all’ospedale di Gavardo, la Procura di Brescia ha aperto un fascicolo. Omicidio colposo, l’ipotesi di reato formulata.

È morta nel corso di un intervento chirurgico per l’asportazione dei calcoli alla cistifellea.

A causare il decesso di Rosaria Tavella, casalinga di 44 anni di Nozza di Vestone sarebbe stata una violenta emorragia sopraggiunta durante l’operazione. Sulla tragedia, avvenuta il 18 luglio dell’anno scorso all’ospedale di Gavardo, la Procura di Brescia ha aperto un fascicolo. Omicidio colposo, l’ipotesi di reato formulata.

Dieci gli indagati. Si tratta di medici, chirurghi, anestesisti e infermieri che hanno partecipato a vario titolo all’intervento. L’inchiesta, coordinata da Paolo Guidi è giunta alla stretta finale. Nei giorni scorsi è stata depositata la perizia dei professori Franco Tagliaro e Alfredo Guglielmi dell’Università di Verona incaricati dalla procura di accertare le cause della morte e quindi le eventuali responsabilità.

In essa vengono descritte minuziosamente le convulse ore che portarono al decesso della paziente. L’intervento di colecistectomia laparoscopica, ovvero attraverso l’introduzione da piccoli fori praticati nell’addome di cannule, iniziato alle 10.45, a causa di una serie di difficoltà, viene convertito in laparotomia, la tecnica tradizionale chirurgica che prevede incisioni con il bisturi.

È a questo punto che si presenta una emorragia di tipo prevalentemente venoso che i medici cercano, inutilmente, di tamponare con della garza. Visto il perdurare della grave situazione, alle 13.30 viene allertato un altro chirurgo che utilizzando la cosiddetta «manovra di Pringle», riesce a bloccare il flusso emorragico. Ma è troppo tardi. Alle 17.45, dopo che intanto era sopraggiunto un arresto cardiocircolatorio, Rosaria Tavella muore. Nella relazione dei periti si parla di un comportamento dei sanitari «che sembra essere caratterizzato dal procrastinare il controllo definitivo dell’emorragia mediante la sutura chirurgica delle lesioni vascolari».

In pratica, se avessero praticato prima la manovra di Pringle, tecnica di sutura applicata a ferite all’addome da arma da taglio o da sparo, la paziente si sarebbe potuta salvare anche perché «non sembra - si legge ancora nella perizia - esistessero controindicazioni all'esecuzione di questa manovra in fase più precoce». Parole, in sostanza, che ricondurrebbero le responsabilità ai vertici dell'equipe presente della sala operatoria, che avrebbe tenuto «un comportamento eccessivamente dilazionante una radicale procedura emostatica». La perizia sembra tuttavia scagionarel’operato degli anestesisti e del chirurgo intervenuto da Brescia.

Una tesi che sarebbe confortata dai riscontri dell’autopsia eseguita, poche ore il decesso, alla presenza del consulente di parte, il medico legale Alfonso Luciano, primario di Vibo Valentia noto per aver fatto parte dei collegi peritali del delitto Marta Russo e del caso di Cogne.

Rosaria Tavella, originaria di Filandari in provincia di Vibo Valentia, si era trasferita negli anni Ottanta in Valsabbia.
Ha lasciato il marito Fausto Prandini e una figlioletta di tre anni, oltre che due sorelle e un fratello residente a Brescia.

Quel giorno d’estate si era recata al nosocomio di Gavardo per un intervento di asportazione dei calcoli alla cistifellea, una operazione quasi di routine.
Niente faceva presagire al peggio. Invece, durante l’invervento sorsero delle complicazioni che, incontrollate, portarono al decesso.

La famiglia di Rosaria Tavella, assistita dall’avvocato Domenico Talotta ha già annunciato che, in caso di processo, si costituirà parte civile.
Secondo il legale, la perizia confermerebbe il sospetto avanzato fin dall’inizio dai parenti della casalinga.

«Riteniamo di trovarci di fronte a un caso di malasanità, un errore medico - osserva l’avvocato Talotta -. Una vicenda che assume contorni ancora più drammatici considerato che ha strappato alla vita una donna che aveva lasciato il sud per costruirsi al nord un’esistenza migliore, che aveva già progettato un futuro di serenità per la propria figlioletta di tre anni».

r.pr.
Da Brescioggi


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