26 Marzo 2007, 00.00
Vobarno
Solidarietà

Un mese a Wolisso

Sempre dal secondo numero del «Graffio» e sempre sul tema dell'integrazione, divulghiamo il resoconto di un'esperienza di Sara Ravera che ha trascorso un periodo in un ospedale etiopico.

Sempre dal secondo numero del «Graffio» e sempre sul tema dell'integrazione, divulghiamo il resoconto di un'esperienza di Sara Ravera che ha trascorso un periodo in un ospedale etiopico.

Un mese a Wolisso
di Sara Ravera

Quando ormai sei anni fa mi iscrissi a medicina avevo impressa nella mente una ben determinata idea del medico che avrei voluto essere “da grandeâ€: lavorare in un paese in via di sviluppo. Così quando a febbraio sono venuta a conoscenza di un progetto del Sism (Segretariato Italiano Studenti Medicina) che dava l’opportunità di andare per un mese in ospedale in Etiopia a fare tirocinio non ci ho pensato due volte e mi sono messa in graduatoria. Sono riuscita a partire in ottobre… le aspettative erano tante, avevo letto guide su guide, ma ancora non riuscivo a farmi un’idea di quello che avrei trovato e credo che fosse impossibile farsela. Penso che nessuno possa riuscire realmente a comprendere cosa significhi andare in Africa finché non lo fa lui stesso. Il mio compito, comunque, è di raccontare un po’ di quell’Africa che ho vissuto.

Le premesse sono che l’Etiopia è considerato uno tra i sette paesi più poveri del mondo e l’unico paese africano a non essere mai stato colonizzato da nessuno stato occidentale; è quindi riuscita a mantenere intatte le sue tradizioni come la famosa cerimonia del caffè che, se si va in Etiopia, non si può certo perdere!
L’ospedale che mi ha ospitato è il St. Luke Hospital il cui direttore è Fabio Manenti, un medico di Bergamo che da anni svolge la sua professione nei paesi in via di sviluppo (prima in Uganda e da circa 4 anni in Etiopia). La prima settimana ho seguito la pediatria… non credo di aver fatto la scelta migliore: l’impatto è notevole. Su quaranta letti, più della metà sono occupati da bambini malnutriti, gravemente malnutriti. Molti sono già stati ricoverati altre volte… il problema è sempre lo stesso: anche se si riesce a farli tornare in peso mentre sono in ospedale, se queste creature non hanno cibo a casa loro torneranno sempre e comunque.

L’ospedale ha un progetto che prevede, per i bambini malnutriti e i loro genitori, un periodo di permanenza in una struttura per poter insegnare loro come preparare un pasto nutrizionalmente corretto e questo è fondamentale perché uno dei cibi più prodotti in Etiopia è il “chocio†(spero si scriva così!): praticamente è una sorta di pane prodotto dalla fermentazione delle foglie del falso banano; il vero problema è che il suo potere nutrizionale è pari a zero e quindi le persone non hanno la sensazione di fame, ma non si nutrono.

Un altro grande problema è il parto sicuro. Sono ancora molte, troppe, le donne che partoriscono senza nessun tipo di assistenza e muoiono di parto o nei giorni successivi (870 donne su 100.000 muoiono durante il parto per complicanze legate al travaglio o alla gravidanza). Il st. Luke ha attuato un progetto per seguire la donna durante tutto il periodo della gravidanza ed assisterla durante il parto, intervenendo con un cesareo nei casi necessari. Mentre mi trovavo a Wolisso ho assistito ad una quantità innumerevole di parti risoltosi per il meglio, ma purtroppo anche ad un buon numero di emergenze che non si sono concluse nel migliore dei modi per la madre o il bambino. Tanto è stato fatto, ma molto resta da fare, soprattutto per sensibilizzare le donne a chiedere aiuto ogni qual volta ne sentano la necessità e per far loro comprendere che è un loro diritto quello di poter partorire in sicurezza e tranquillità.

Il St . Luke Hospital è l’unico ospedale che serve un distretto di circa un milione di abitanti. Tante sono le persone che lo raggiungono dopo giorni e giorni di cammino. È facile comprendere che molte persone aspettano che il problema si ingigantisca all’inverosimile prima di recarsi in ospedale; capita quindi di vedere ascessi di dimensioni ragguardevoli o osteomieliti che procedono inveterate da mesi. Sono cose che da noi esistono solo sui libri. Durante il mio soggiorno ho potuto imparare tanto, sia dal punto di vista umano che professionale.
È stata un’esperienza unica e indimenticabile che ripeterei ad occhi chiusi; la consiglio a tutti coloro che da tempo desiderano andare in un paese in via di sviluppo. L’Africa ti entra dentro, diventa subito parte di te e quando torni a casa niente è più come prima… un pezzo del tuo cuore resta là, sempre e comunque e prima o poi si dovrà pure tornare a prenderlo.


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