Alla sua cinquantesima replica "La guerra di Mario" di Stefano Corsini č uno spettacolo in grado di entusiasmare, che ti prende e che ti graffia la coscienza.
Â
"Soldatino canta canta.... Cavalli otto, uomini quaranta"
Â
Cinque anni fa, più o meno in questo periodo, Stefano Corsini esordiva nel teatro comunale di Vestone (oggi, guarda caso, intitolato a Mario Rigoni Stern) con una sua personalissima e molto originale rappresentazione teatral-letterale del romanzo “Il Sergente nella neve” del già citato scrittore vicentino.
Il nome scelto da Stefano per questa rappresentazione è “La Guerra di Mario”, titolo ispirato a una celebre canzone di De Andrè (La Guerra di Piero) unito al nome dello scrittore alpino.
Oggi lo “spettacolo”, termine improprio ma che rende l’idea, è ben rodato e collaudato, addirittura in procinto di uscire in dvd con il patrocinio del Comune di Vestone. Ieri sera Stefano si è esibito per la quarantanovesima volta, e lo ha fatto sul palco del teatro Odeon di Lumezzane (oggi la 50esima, riservata alle scuole di Lumezzane). I miglioramenti si notano ogni volta di più, piccoli e grandi cambiamenti hanno contribuito all’unicità di questo tipo di rappresentazione della tragedia raccontata da Rigoni Stern.
Â
RealtĂ e Fantasia sono le due reali protagoniste di questo atto.
RealtĂ , quando Stefano racconta, urla, piange e grida il dolore e la rabbia che trasuda dalle pagine del libro.
Fantasia, quando lo stesso Stefano ti trasporta in un’ambientazione che pare essere lontana, inventata, romanzata; ma non è altro che lo spaventoso passato reale e concreto di persone, ragazzi e giovani, che hanno combattuto e sono morte per un capriccio chiamato follia.
RealtĂ e Fantasia si incontrano, si scontrano ed amoreggiano concependo un mix di emozioni, vibrazioni, sentimenti e sensazioni che colpiscono.
Realtà e Fantasia che però fanno paura, molta paura.
Â
Una luce, intensa, ma non invadente, a illuminare il volto di Stefano; è il preludio alla serata.
L’introduzione è affidata alle ultime frasi del celebre scrittore alpino, parole che sottolineano la grande umanità dell’omone vicentino.
Quel che è certo è che Rigoni Stern oltre ad essere stato molto fortunato, è anche stato energico, ottimista, sensibile, temerario ma soprattutto molto coraggioso.
La luce si sposta sul palco. E così fa anche Stefano, regista e protagonista della rappresentazione. Pochi e scarni gli effetti, ma molto efficaci: le luci sono gestite da Max Levrangi, sono sempre ben impostate, mai fastidiose, s’alzano e s’abbassano come la marea segue la luna, accompagnando il moto delle emozioni che ne scaturiscono; i suoni e i volumi sono ben regolati dalla mano di Luca Perna al mixer; infine la colonna sonora, che è curata da due bravissimi musicisti di estrazione jazzista, Paolo Cavagnini (voce e chitarra) e Alberto Forino (tastiera).
Â
L’esibizione di Stefano si snoda su tre importanti fasi che si alternano tra loro: una riguarda lo Stefano narratore che parla in terza persona, e racconta con enfasi le fasi salienti e la cronistoria dei fatti avvenuti.
Un’altra riguarda lo Stefano narratore in prima persona, fuori però dalla scena, che legge le vicende di Rigoni Stern accompagnato da sottofondo musicale.
E la fase forse piĂą emotiva, piĂą toccante e piĂą drammatica riguarda lo Stefano protagonista, che si immedesima nello scrittore, che parla ed agisce in prima persona, tentando di comunicare con vibrazioni vocali, espressioni, enfasi e gestualitĂ .
E ci riesce. Eccome che ci riesce.
Â
Le vicende si sviluppano su un’importante trama emotiva, che trae origine dalla ironia e dalla tragicomicità iniziale, dove si vuole dare un tono quasi sarcastico all’entrata in guerra dell’Italia e soprattutto alla decisione suicida ed autolesionista di voler affrontare la campagna di Russia a fianco dei tedeschi.
Stefano agisce, legge, racconta, s’immedesima ed emoziona dettando perfettamente i tempi, come un numero 10 in una squadra di calcio, è regista e primo attore perfetto; e nemmeno ci si accorge che l’anima ironica si sta trasformando in drammaticità mentre la voce del professor Corsini narra gli avvenimenti riguardanti le battaglie sul fiume Don e, soprattutto, la ritirata di Russia nell’inverno tra il 1942 e il 1943. I fatti, le luci, la narrazione e le musiche raccontano di ragazzi costretti a fuggire tra il gelo e i proiettili russi, circondati dai soldati dell’Armata Rossa, senza vie di scampo, senza futuro, senza speranze e soprattutto… senza scarpe.
La truce realtà della “sacca russa” ti prende e ti graffia l’anima, mentre i brividi percorrono la schiena; la voce di Stefano è intensa, lacerante, si vorrebbe piangere pensando a quei giovani, pensando alle loro famiglie.
Ma non si può, perché il desiderio di trattenere le lacrime per aiutare idealmente quei ragazzi a fuggire è più forte della tristezza che è attanagliante.
Seduti sulla comoda poltrona del teatro, si vorrebbe poter essere scaraventati all’interno della narrazione per poter aiutare quelle povere anime in balia della morte.
La drammaticità sfocia in tragedia quando la narrazione giunge al 26 gennaio 1943, giorno della famosa battaglia di Nikolajewka. Quello è il giorno in cui Rigoni Stern e i pochi altri sopravvissuti hanno perso molti dei loro amici, quasi tutte le speranze e sicuramente tutti i loro sogni.
Quello è il giorno in cui il battaglione Vestone ha ridotto le proprie unità da 1.200 a circa 40.
Â
Il mio smodato amore per la musica e la magistrale interpretazione “anima e cuore” di Corsini, mi spingono piacevolmente a menzionare ed elogiare il lavoro di Cavagnini e Forino, magistrali e affiatati, oltre che molto bravi, che si sono espressi con splendide canzoni italiane d’autore, ricordando tra gli altri Battiato, De Gregori, De André e i Mercanti di liquore.
Si sono destreggiati tra musiche strumentali che hanno contribuito in maniera esponenziale a creare le ambientazioni e a immedesimare le emozioni scaturite in quel momento dal racconto, come ad esempio la tastiera che incute timore, la chitarra che accompagna le corse sulla neve, la suspance, la paura. Infine hanno creato i suoni e gli effetti sonori inclusi nella narrazione, nel particolare voglio sottolineare il grandissimo lavoro di Cavagnini che con la chitarra crea i rumori che vanno dal pugno che bussa su una porta fino alla mitragliatrice automatica che spara raffiche di proiettili. C’è tutto.
C’è la base, un importantissimo libro di Vita e di Storia, che io ho erroneamente definito “romanzo”, ma l’ho fatto per comodità .
C’è la passione, il sentimento con cui Stefano, Paolo e Alberto affrontano questa rappresentazione. C’è la musica, ottima e ottimamente eseguita.
C’è l’ambientazione, semplice ed efficace, misurata e di buon gusto. C’è la Realtà . C’è la Fantasia, che come già detto è effimera e ingannevole. C’è tutto per passare due ore tanto piacevoli, quanto angoscianti.
C’è la luce che si spegne alla fine, lasciandoti in una paradossale intimità : solo, eppure in un teatro pieno di gente, con le lacrime agli occhi, la rabbia, la frustrazione e la consapevolezza di vivere in un mondo che è figlio e frutto di quei fatti, di quegli avvenimenti e di quelle migliaia di anime volate via troppo presto.
E lì… Lì in quell’istante di buio racchiuso tra la fine della narrazione e l’accensione delle luci per i commiati finali… Lì avvolto nell’oscurità … Lì resti con una domanda, che ti attanaglia: “Sergent Magiùr… Ghe rivarom a baita…?”
Â
Nimi
ID1978 - 27/04/2010 09:30:00 - (nimi) - Grazie Ubaldo
Un grazie a Ubaldo per lo spazio :-)