19 Settembre 2011, 07.24
I racconti del lunedì

Tapascio Bombatus - Sesta puntata

di Ezio Gamberini

Dopo la grande paura provata in seguito all’infortunio al ginocchio capitatomi durante la partita di calcio disputata con i colleghi di lavoro...

...il due agosto indosso un paio di scarpe nuove – A3, per pesi massimi o quasi, insomma - e stabilisco il nuovo record sugli otto chilometri.
Mi avvicino ai cinque minuti al chilometro.
Il giorno dopo viaggio ancora forte e stabilisco un nuovo record sui dieci chilometri.
Domenica accompagno Paolo, che è stato convocato per la rappresentativa provinciale, ad un torneo di calcio contro Verona e Cremonese.
Torniamo verso le sedici e trenta. Indosso scarpe, maglietta e pantaloncini e tento di percorrere il solito tragitto.
 
Dopo due chilometri mi arrendo, esausto.
Non so se a causa di pappardelle e tagliata superlativa trangugiate a mezzogiorno, o per il troppo tannino presente nel sublime rosso di Franciacorta che per un processo quasi osmotico si trasferiva a velocità supersonica dalla bottiglia al bicchiere e da quest’ultimo allo stomaco.
Comunque, mai più di corsa alle sedici e trenta di un agosto torrido e assolato.
 
Un giorno di riposo e poi martedì e mercoledì percorro ancora un otto e un dieci chilometri a ritmi sostenutissimi.
Al termine di quest’ultima prova, però, provo un dolore intenso alla pianta del piede destro, un dolore che non ho mai avvertito così intenso e lancinante.
Sto forse pretendendo troppo dalle mie nove decine (suppergiù) di chilogrammi? Penso proprio di si.
Ragazzo, mi dico, corri soltanto da quattro mesi, adagio!
Giovedì e venerdì il riposo è forzato. Mi preparerò meglio per la partenza di sabato per Budapest. Trascorreremo con i ragazzi una magnifica settimana nella capitale magiara seguendo un programma di visite già predisposto da tempo.
 
Chissà se sarà un’impresa come quella di quattro anni fa, a Roma. Era il ventidue luglio, facemmo proprio una pazzia. Chiara non aveva ancora compiuto tre anni, Anna otto e Paolo undici. Partimmo da casa alle sei e trenta di mattina con destinazione  “aeroporto di Villafranca”.
Alle otto e trenta spiccammo il volo verso la città eterna dove atterrammo cinquanta minuti dopo, a Fiumicino. Treno, stazione Termini ed infine metropolitana. Alle dieci e trenta sostavamo in piazza S.Pietro.
Dopo aver pranzato in Via della Conciliazione (“Scusi, signora, e la ricevuta?…..”. “Oh, che bella famiglia tiene, signore….. si ferma a lungo in città?….”, ma di ricevuta neanche l’ombra…) e percorsa un’altra tappa in metropolitana, scendemmo alla fermata del Colosseo e salite le scale restammo a bocca aperta nell’ammirare il monumento che si presentava in tutta la sua maestosità.
Verso le diciassette e trenta ci trovavamo nuovamente a Fiumicino per prendere il DC9 per il ritorno delle diciotto e trenta. Per concludere, prima delle venti e trenta eravamo già comodamente seduti sulla poltrona di casa nostra a sorseggiare una bibita fresca.  
 
La partenza è fissata per le quattro.
In dieci, undici ore, con alcune fermate, dovremmo giungere nella capitale ungherese.
Sull’autostrada il traffico è molto intenso – e ti credo, sabato, quattordici agosto! – e Paolo come sempre nei viaggi lunghi mi sta al fianco, mentre le ”ragazze”, piccole e grandi, sono accomodate sui sedili posteriori.
La macchina è stracolma, ci tratterremo per una settimana in un appartamento vicino alla zona dove è situato il palazzo reale, a Buda.
Ai confini, soprattutto quello austro-ungarico, ci imbattiamo in un’interminabile coda di macchine. Il colore predominante è il rosso.
 
Quanti ferraristi!
Domani sull’Hungaroring si correrà il Gran Premio d’Ungheria di Formula Uno. Dopo un’estenuante attesa eccoci finalmente in territorio magiaro.
Percorsi alcuni chilometri, ci fermiamo all’inizio del primo paese per ammirare un grosso nido posto sulla cima di un palo della luce che avevo notato durante l’ultimo viaggio. È occupato da una coppia di cicogne che alternativamente si alzano sulle zampe e sbattono le ali. Lo spettacolo è davvero inusuale. Contrariamente alle aspettative, però, niente neonati nelle vicinanze.
 
Verso le tre giungiamo finalmente a destinazione, scarichiamo le valigie e ci rechiamo subito sui bastioni prospicienti la chiesa di Matthia dove la vista di Budapest è impagabile: il Parlamento si presenta imponente, così come il ponte delle Catene ed il Danubio che scorre maestoso.
A sinistra l’isola Margherita, a destra invece Pest che si estende a vista d’occhio. Riusciremo a visitarla tutta, o quasi, cominciando proprio dalla chiesa di Matthia per proseguire con il palazzo reale ed i suoi musei, la pinacoteca, il museo della musica. Poi la Cittadella e le pasticcerie, il castello dell’esposizione, dietro a Piazza degli Eroi e gli altri musei di Pest, le magnifiche librerie che all’entrata sono provviste di file di cestini per gli acquisti ed i tetri negozi di alimentari, dove di cestini e carrelli non c’è nemmeno l’ombra. 
 
Domenica sera alla ventidue e trenta, giorno di ferragosto, passeggiamo nella centralissima Vaci Utca che brulica di turisti. Mi sento chiamare a gran voce, ci giriamo ed incontriamo due coppie di nostri amici compaesani in ferie con i loro piccoli. Stanno compiendo il ”trittico” Vienna – Praga – Budapest. Il mondo è proprio minuscolo. Lunedì sera invece, compleanno di Chiara, ceniamo all’Astoria.
Quando ordino due ”Ortopanipalacinka”, una specie di omelette ripiena di carne, Chiara scoppia in un riso irrefrenabile, forse pensando che stia pronunciando una parolaccia in ungherese. Si calma dopo cinque minuti.
Goulash, chateaubriand ed una meravigliosa coppa di gelato con la frutta completano l’indimenticabile serata. I musicisti, vecchi marpioni con l’immancabile violino e contrabbasso, che conosco da anni, si avvicinano. Allungo i soliti mille fiorini e così ci suonano una tipica csarda ungherese, comunque sempre gustosa e piacevole.
Non disprezziamo un paio di puntate da Mc Donald, simile in tutto, tranne che nel prezzo tre volte inferiore, ai locali italiani.
 
Ai magazzini Eiffel, sul lungodanubio, in prossimità del ponte Petofi, alcune vecchine acquistano un’arancia. E basta!
Altre comprano un peperone. E basta! Alcune tre patate, altre ancora un cavolfiore. I carrelli per la spesa dell’unico grande magazzino esistente in Budapest sono grandi un quarto rispetto a quelli della ”Rinascente” in Italia. I ragazzi restano sbalorditi. Non riescono a concepire come pur trovandoci nel più ”ricco” paese dell’est europeo la gente compra lo stretto necessario, raschiando il fondo dei propri portafogli, e forse acquista una cosa al mattino e una al pomeriggio per trovare una scusa valida per uscire e parlare con qualcuno. Quanta solitudine e quanta penuria di bambini ho visto a Budapest.
 
La misura della povertà si determina soprattutto dalla produzione di rifiuti. Lunedì sera, dopo due giorni di permanenza, getto nel cassonetto delle immondizie, che è posto nell’androne del condominio in cui sono ospitato, il mio sacchetto di spazzatura.
Mercoledì sera dopo altri due giorni di soggiorno, quando ci apprestiamo ad uscire per andare a mangiare una pizza, raccogliamo il sacchetto di immondizia per gettarlo nel cassonetto. Apro il coperchio e… noto con stupore, e con me i ragazzi, che sul fondo del cassonetto c’è soltanto il mio sacchetto gettato lunedì sera!
Questa gente non produce rifiuti, non butta via nulla! Quando visitiamo l’isola Margherita, invece, provo il rimorso più intenso dal momento in cui siamo partiti. Ho deciso che in questa settimana sono in ferie anche per quanto riguarda la corsa. Ma vedere i podisti che vanno su e giù per i viali alberati mi avvelena l’animo, e i sensi di colpa mi attanagliano. Se abitassi a Budapest correrei ogni giorno in quest’isola fluviale lunga due km e larga cinquecento metri, piena di fiori e di alberi, vietata al traffico e percorsa soltanto da inoffensivi trenini, biciclette e innamorati.
Giovedì, infine, prendiamo la via del ritorno.
Voglio che i ragazzi e Grazia vedano il lago Balaton, quindi a Vesprem imbocchiamo la Balatonfured e percorriamo una cinquantina di km verso sud. Abituati al lago di Garda, restano un po’ delusi, ma li avevo avvertiti che non siamo a Salò! 
 
Agosto è podisticamente importante per due fondamentali ”prime volte”: l’ora in pista e un lungo di ventisei chilometri. Lunedì sera verso le nove, quando il caldo non è più così opprimente e la brezza delle mie montagne produce i suoi benefici effetti, comincio a macinare giri di pista con circospezione e poi aumento l’andatura.
Tra alti e bassi, percorro infine ventisette giri e mezzo, undici chilometri. L’ultimo sabato di agosto poi, verso le sei di mattina, parto per un lungo di ventisei chilometri che percorro in due ore e trenta con tre pause di un minuto l’una in cui mi disseto e abbasso i battiti. In questo mese ho percorso centottanta chilometri in sedici allenamenti con un’impennata in questi ultimi giorni. Unico inconveniente, un gran dolore al ginocchio. Spero che non pregiudichi la partecipazione, domenica prossima, la prima di settembre, al mio battesimo di gara. Correrò la paesana ”Corsa in Cargiù”, invasa negli anni migliori anche da duemila partecipanti. “Ma come – mi dicono gli amici – quattro chilometri in salita, centinaia di metri di dislivello per la tua prima gara. Ma sei matto? ”. “Si, sono matto”.  Chi vivrà, vedrà!
 
 
Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni


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