11 Giugno 2007, 00.00
Bione
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Fra i santi Bernardo e Vigilio

Ci ha incuriosito questa sorta di diario di viaggio di Clementina Coppini pubblicato su www.mondointasca.com. La scrittrice ha lanciato il suo sguardo vergine e attento su alcuni luoghi della nostra Valle Sabbia. Ve lo proponiamo a veloci puntate (4)

Ci ha incuriosito questa sorta di diario di viaggio di Clementina Coppini pubblicato su www.mondointasca.com settimanale on-line di turismo e di cultura del viaggiare.
La scrittrice ha lanciato il suo sguardo vergine e attento su alcuni luoghi della nostra Valle Sabbia. Ve lo proponiamo a veloci puntate (4)

Salendo, c’è il bosco delle favole. Prima del bosco, i piani di Lo, immenso prato verde con qualche mucca e una pozza d’acqua torbida zeppa di rane giganti.
Arrivo di mattina sotto il diluvio e salgo con Angelo (nome tra i più adatti all’ascesi) fino alla chiesina cinquecentesca di San Bernardo, dietro la quale sta una serie di lapidi piantate in terra, cenotafio degli alpini morti nelle due guerre mondiali.
Di fianco a ogni pietra una bandierina di plastica, davanti a ognuna di esse una bottiglia in “pet” decapitata, con dentro un garofano finto.

Nel frattempo ha smesso di piovere e si può iniziare la piccola scalata per San Vigilio. Il bosco delle favole è privo di lupi, ma in compenso piuttosto affollato di cacciatori, che hanno come preda uccellini di pochi grammi, ambito ingrediente dello “spiet”, lo spiedo bresciano.
Io, che avevo visto questa gita come una specie di pellegrinaggio, non sono molto contenta di vedere decine di gabbie di uccelli da richiamo, in cui poveri animali vengono tenuti rinchiusi affinché i loro lamenti di prigionieri attirino loro simili da uccidere a fucilate. Per fortuna le gabbie sono vuote.

Camminiamo in costa alla montagna, tra due pendici piacevoli e poco ripide.
Piano piano, come premio per essere venuti fin qui malgrado l’acqua battente, esce il sole ed ecco fatto.
L’ultima parte del sentiero si è trasformata nel letto di un torrente, che malgrado il diluvio è in secca. Ha un suo fascino arrampicarsi su questa stradina bianca, guardando la costruzione sulla cima. San Vigilio è a 1200 metri di altezza. Non una vetta, ma un punto di arrivo.

Costruita nei primi del Cinquecento, è una chiesina tenera divisa in due: due terzi luogo di preghiera e un terzo ricovero per viandanti, con camino, fiammiferi, giornali e legna per farsi un barbecue in scenario mistico o per scaldarsi in climi infelici.
Alla parte dedicata al ristoro si accede attraverso una porta di metallo, sempre aperta, recante una scritta che invita alla pulizia e al rispetto, mentre la chiesa vera e propria è ben chiusa e si può spiare da due finestre con grate. Giusta precauzione, visto che l’affresco della Madonna con Bambino, San Vigilio e soci, manca proprio del viso della Vergine, strappato da mani nemmeno troppo maldestre, che avevano lo scopo di farne commercio. Questo posto è fuori da ogni via di collegamento, lontano da rotte antiche e nuove.

Escluso il ladro di icone e pochi altri, tutti coloro che hanno messo il piede qui nello scorso mezzo millennio non l’hanno fatto per caso, ma per volontà di venirci.
La tradizione vuole che le donne venissero qui da tutta la valle a chiedere di avere figli, salendo in ginocchio e grattando l’ingresso e che la Madonna spesso concedesse loro la gioia di dare alla luce un bambino.

Pare che ancora oggi qualche coppia di sposi venga a chiedere tale grazia. Anche se i desideri espressi non si realizzano, certo è che stare qui e guardare dall’alto questo spazio, privo di sfregi visibili eccetto i tralicci, volatilizza gli impedimenti a concepire cose innocenti. Sarà a causa di un’interpretazione di questa sensazione che si credeva che qui ci fosse una cura per la sterilità.
Dopo l’abbandono delle preoccupazioni di Barbaine, l’alleggerimento spirituale di San Vigilio. Scendo con la leggiadria di un ippopotamo, ma dentro di me c’è uno scoiattolo che si rotola giù per il pendio.


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