19 Dicembre 2011, 07.00
Bagolino
Musica

Gigi «onés» Bonomelli

di red.

Chi si trovasse a passare dalle parti di Ponte Caffaro durante il Carnevale non potrebbe non notare un personaggio divertente che vive l’arte della sua terra con passione ma anche con sana leggerezza.

 
Nel frangente, lo cogliereste in compagnia dei Sonadur a padroneggiare il violino per ricreare, con gli altri, le arie carnascialesche tipiche che accompagnano i Balarì per le strade e i cortili del paese.
Luigi Bonomelli, artista caffarese divertente, istrionico, con una filosofia di vita rispettosa e originale, è “qualcuno” nella comunità degli artisti.
Esecutore col violino e col basso elettrico, partecipa a più iniziative e collaborazioni musicali.
Lo strumento elettrico lo vede coinvolto nel combo The Blues Power, dove con Riccardo Orsi, percussioni, e Maurizio Bestetti, alla chitarra, propone un repertorio blues. 
 
E’ pienamente coinvolto nel progetto Streich, dove i violini di Gigi, Lorenzo Pelizzari, Eligio Scalvini, Simone Alfarè e Bice Morelli, la chitarra di Sandro Cocca, il bassetto di Rino Salvini e la fisarmonica e chitarra di Renato Morelli accompagnano per l’Italia e per l’Europa uno spettacolo di portata storica e musicale interessantissima, che ha origine da spartiti musicali ottocenteschi, rinvenuti in archivi viennesi, di musica popolare della Trento imperiale. 
 
Bonomelli e anche il deus ex machina dell’associazione Onés, nome antico locale degli Ontani che coprivano il Piand’Oneda, che si propone di organizzare, coordinare e promuovere vari eventi teatrali, ludici e musicali, e ha nelle “corde” soprattutto l’etnonomusicologia, ovvero lo studio e la riproposizione del patrimonio folkloristico musicale. Gigi, che tiene salde le redini dell’associazione, cura da anni il Convegno Internazionale sulla Musica Popolare in Ponte Caffaro.
 
L’abbiamo intervistato.
 
Ciao Gigi. Ti conosciamo poliedrico e versato a molte attività. E’ giusto chiamarti musicista, attore o animatore?
Passiamo alla prossima? No…dai. Ti rispondo. Mi piacerebbe essere conosciuto, anzi meglio…”riconosciuto” come musicista, ma non ho la consistenza necessaria per imporlo.
Mi divertirebbe essere animatore, ma non ho la continuità necessaria per supportarlo.
Mi illuderei se pensassi ad una professione come attore perché dovrei rinunciare al resto. Non nego che il girovagare artistico e ludico tra i diversi ambiti mi soddisfa e mi diverte.
 
Come e quando è nata l’idea di fare una rassegna musicale sulla musica folk a Ponte Caffaro?
L’idea è nata molti anni fa,nel 1983, quando le sorti della compagnia di carnevale erano legate a un filo d’erba  che, con altre poche persone, fra cui il rimpianto Gaetano Salvini, volevamo con tenacia  dapprima rinforzare e poi rinverdire.
Fra le iniziative emergeva il primo incontro di violino tradizionale a cui seguirono altre edizioni.
Sospese tali iniziative per alcuni anni, a causa di problemi economici e organizzativi, si è voluto, per iniziativa dell’associazione Onés, riprenderle nel 2002.
 
Cosa apporta l’esperienza di musicista, quale sei, all’organizzazione di una manifestazione musicale come la tua?
Credo, essenzialmente, che apporti un’attenzione particolare e pressante all’aspetto musicale concreto.
Non viene a mancare lo spettacolo (per fortuna!), proponendo musica di spessore, ma lo show diventa una conseguenza della musica e non il fine.
 
Come s’è evoluta la rassegna caffarese nel corso degli anni?
Dalla prima edizione del 2002, che aveva un taglio molto intimista e autoctono, siamo piano piano arrivati a considerare il convegno come un osservatorio privilegiato dal quale, per contrapposizione con la nostra realtà musicale, trarre informazioni, indirizzi e stimoli per evolvere, pur nel rispetto dell’esperienza tramandataci e nella consapevolezza che siamo portatori di un patrimonio tradizionale che non abbiamo ereditato inutilmente e di cui dobbiamo essere orgogliosi.
 
Con quale criterio inviti a partecipare al convegno certi artisti piuttosto che altri?
Sarebbe quanto meno arrogante, da parte mia, la presunzione di conoscere tutto quello che si trova sulla scena musicale locale, e a maggior ragione se allarghiamo gli orizzonti all’Europa o al resto del mondo.
Per questo, nella scelta e indirizzo degli argomenti da trattare, dei relatori da invitare e degli artisti da far esibire mi confronto con i collaboratori locali e con uno staff di etnomusicologi.
Questo non vuol dire che, a volte, non cerchi di forzare verso scelte personali derivanti dalla conoscenza diretta degli artisti.
 
Ormai siamo abituati a veder esibita sul palco del Convegno ogni tipo di musica che abbia attinenza con la musica di estrazione popolare. Quali sono i sottogeneri folk che hanno trovato spazio nella tua rassegna?
Nella prima edizione, come dicevo, abbiamo voluto porre l'attenzione su un argomento che ci riguardava personalmente per la presenza, anche sul nostro territorio, di esperienze similari. Così l'indirizzo è stato quello del canto.
Nella seconda edizione la nostra attenzione si è rivolta all'organetto, uno strumento della musica popolare non presente sul nostro territorio.
Nella terza edizione addirittura ci siamo allontanati ancora di più approdando sulle spiagge musicali americane, ospitando una colonia di elettrizzanti musicisti yankee.
Nell'edizione successiva siamo rientrati fra le mura domestiche proponendo musica e conferenze sulla tradizione natalizia. L'edizione appena conclusa ha introdotto il discorso del ballo. In definitiva, se escludiamo alcune particolari tematiche, gran parte degli argomenti trovano riscontro o contrapposizione con l'esperienza del territorio....è una fortuna no?
 
Si…ricordo bene i musicisti americani. Fu un bel momento musicale. Ma i bei momenti musicali non sempre trovano riscontro con la sensibilità musicale dei giovani d’oggi. Quanto coraggio, o incoscienza, o amore per la musica, ci vuole per proporre generi musicali impegnati quando i giovani sono sempre più attirati da D.J?
Questa si che è presunzione. Però trae origine da un'esperienza personale confortatrice.
Mio figlio, nonostante avesse in me (forse proprio per questo....ahi ahi....) la visualizzazione di un'esperienza musicale, non ha mai voluto, almeno fino a pochi anni orsono, avvicinarsi alla musica. Seppure fosse per me deludente, non ho mai voluto forzare la cosa e mi sono sempre limitato a proseguire la mia attività musicale "amplificando" (magari) gli aspetti di soddisfazione e ludici che con  essa mi ritornavano.
Fatto è che tre anni orsono è (finalmente!) arrivata la richiesta di mio figlio d’intraprendere lo studio e l'esecuzione musicale. Ora ne siamo felici tutt’e due.
Non voglio fare discorsi sulla capacità e validità dei ragazzi di oggi. Voglio solo, come con mio figlio, continuare a lavorare per un progetto in cui credo e che mi soddisfa molto e non lo voglio tenere nascosto, anzi...spero che qualcuno si accorga che, a differenza delle cazzate sulla  diversità generazionale, c'è molta vita e divertimento su questa riva del fiume da cui si sente anche quello che arriva dall'altra parte...che spesso è si divertente, ma solo cliché abituale.
 
Sugli aspetti “ludici” che ti ritornano, si potrebbe scrivere un libro, più che un’intervista. Con un altro amico abbiamo in mente di scrivere un saggio sul “bonomellismo”. Ma questa…è un’altra storia. Raccontaci un po’ sugli artisti che hanno suonato quest’anno.
Due in particolare mi hanno particolarmente convinto. Il gruppo di Montemarano e i Kossovari.
Montemarano ha portato la vitalità e la spensieratezza di una musica per ballare sempre in tensione ma che lascia spazio alla fantasia personale, e la scoperta di un musicista settantenne, Giacomo, capace di spaziare con il suo clarino fra le tonalità musicali con una padronanza e fantasia disarmanti.
 
I musicisti Kossovari ci hanno consegnato la capacità di diversificare ritmi ricorsivi.
Alla fine, anche chi è avvezzo a considerare e focalizzare il proprio ascolto alla melodia non ha potuto che convenire che queste alterazioni ritmiche non possono non considerarsi delle vere e proprie linee melodiche. Per questo alla fine ne sono stati coinvolti.
Chiaramente più intuitive e spettacolari sono state le esibizioni di Tango e Flamenco. Eseguite però magistralmente da chi le vive nella sua originalità e non per riproposizione, hanno riferito sensazioni e immagini diverse dall'ordinario.
Non per ultimi, ma perchè lontani dalle sonorità folk ordinarie, gli Elvenking. E' vero, poco sapore di folk e tanto metal, ma da qualcosa bisogna partire per parlare di cose diverse, a volte anche solo da un pretesto.

Già…gli Elvenking…! E’ stata provocazione? Esperimento? Voglia di dare un’ìimpronta differente alla manifestazione?
Probabilmente tutte e tre le motivazioni.
Di un fatto siamo certi, e lo abbiamo imparato nelle varie edizioni del Convegno: parlare di popolare significa avvicinarsi storicamente alle persone e alla loro attitudine a trasformare rabbia, paure e gioie in musica senza definire categorie, costruire stilemi o classificazioni.
Per questo, e a buon diritto, la musica è lo strumento di tramite più puro e inattaccabile, immediato e capace, particolare e universale. Insomma: popolare....anche quella degli Elvenking.
 
Una birra, il toscano, due risate.
Una bella ragazza ci passa vicino.
Un’altra birra…!
 


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