04 Aprile 2012, 07.00
Lettere

Suicidi in azienda: quando si perde la speranza

di Alberto Cartella

Nella lettera giunta in redazione la riflessione su un tema molto delicato fatta dal giovane saretino Alberto Cartella, da poco laureatosi in Filosofia presso l'Università degli Studi di Verona

 
Si sente spesso per strada, nelle case e in molti altri luoghi in cui si fa informazione (dei quali la strada e la casa fanno parte) un’affermazione pronunciata con grande semplicità in riferimento a vari casi di cronaca: “Quell'imprenditore si è suicidato a causa del fallimento della sua aziendaâ€.
 
Questo fallimento nei casi in questione non è dovuto all’inefficienza dell’azienda, ma all’impossibilità di far fronte al pagamento delle tasse dalle quali l’imprenditore si sente soffocato. Il suicidio in questo caso viene quindi spiegato razionalmente e la cosa si fa con grande leggerezza e non costituisce alcun problema. Si dice che quella persona si è suicidata a causa della sua situazione economica.
 
Vi è un rapporto di causa-effetto e il gesto di quell’individuo viene ridotto a un giudizio di tipo logico-deduttivo senza fare alcuna attenzione all’irriducibilità di quel gesto a una spiegazione razionale. Un suicidio non è qualcosa che si possa liquidare con un giudizio del genere: potrebbe essere fatta una supposizione di tipo diverso che non intenda negare in alcun modo il fatto che in Italia ci siano dei gravi problemi legati alla politica economico-fiscale.
 
Un suicidio però non può essere ridotto a una politica economico-fiscale sbagliata, perché altrimenti assisteremmo a suicidi di massa in ogni angolo del pianeta. La supposizione che si distacca dal giudizio logico-deduttivo consiste nel considerare il suicidio sempre legato a una perdita di speranza di colui che commette il gesto, la quale non deve essere in alcun modo giudicata o ridotta a logiche di tipo economico; comunque, non per questo va negato il fatto che la situazione economica di quell’imprenditore costituisca un problema.
 
Il problema va analizzato sulla base del fatto che quell’imprenditore si trovava in quella situazione e che altri imprenditori come lui si trovano in una situazione simile. Si tratta poi di assumersi la responsabilità di creare risposte al problema costituito. Il primo modo di farlo è trovarsi fra persone che hanno un problema simile e iniziare a dialogare. In secondo luogo, si può passare all’azione, la quale non deve puntare a nessuna forma di potere ma alla realizzazione della propria potenza.
 
Insomma, se gli imprenditori che hanno un simile problema si mettessero assieme, potrebbero riqualificare la loro presenza (come è già successo in alcuni casi), la quale a volte sembra vista da parte di chi si occupa delle politiche economico-fiscali come secondaria rispetto alle tasse che essi devono pagare.
 
La condizione preliminare della costituzione di questo problema, però, è il passaggio dalla speranza e dalla consapevolezza della propria potenza (da non confondere con il potere). Quanto detto in queste poche righe non riguarda solo gli imprenditori. 


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