02 Novembre 2013, 08.16
Politica

Le radici dell'immobilismo italiano

di Leretico

Nel 1864 il parlamento italiano sembrava molto più interessato alla questione del Veneto e di Roma piuttosto che alla finanza pubblica


In quegli anni la retorica dell'unificazione voleva aggiungere alle conquiste sabaude la terra veneta che mancava all'appello insieme alla città eterna.
La situazione finanziaria del nuovo stato era pessima tanto che un governo straniero, quello prussiano di Bismark, inviò una lettera formale al nostro governo nella quale chiedeva di sottoporre la finanza italiana a controllo internazionale.
 
Quintino Sella, ministro delle finanze in quei tempi, considerò fermamente inaccettabile la proposta. Mentre gli italiani, e specialmente i ministri delle finanze, non sono più quelli di una volta, i governanti tedeschi sembrano non essere cambiati: tetragoni, di fronte alla crisi finanziaria italiana chiedono di intervenire direttamente.
 
Nel 1864 non ci riuscirono, nel 2010 ebbero finalmente soddisfazione.
Allora tentarono con un ricatto: minacciarono il blocco dei prestiti, due anni fa utilizzarono lo stesso schema e con poca fatica fecero cadere il governo e appoggiarono il professor Monti alla carica di primo ministro. Il resto è tristemente noto.
 
La storia d'Italia dopo il 1864 vide sia l'annessione del Veneto (1866) che la conquista di Roma (20 settembre 1870), ma la cosa non fu indolore per le sostanze pubbliche.
Essendo le casse vuote e montando la retorica a favore della terza guerra di indipendenza, i governanti decisero una mossa a sorpresa: di porre la lira sotto corso forzoso. Questa espressione è un termine tecnico per definire, più in gergo, la svalutazione della lira, cosa in cui purtroppo ci perfezionammo nel tempo, fino all'ultima svalutazione fatta da Amato nel 1992.
 
La Marmora e Sella per finanziare la guerra contro l'Austria del 1866, oltre a combinare nel 1865 una opportunistica alleanza con la Prussia di Bismark, allora in conflitto con gli Asburgo, pensarono bene di "forzare" il rapporto tra moneta metallica e biglietti cartacei, in modo che la maggiore banca di emissione potesse stampare moneta per finanziare lo Stato.
Il governo infatti, per organizzare la guerra, aveva dovuto rinunciare sia allo strumento delle ulteriori tasse su un popolo appena uscito dalla campagna di unificazione del 1860-1861, sia allo strumento dell'indebitamento perché a tasso troppo oneroso in quegli anni a causa di una estrema instabilità politica.
Gli stranieri temevano per la tenuta dell'intero paese, mix ingarbugliato di tante amministrazioni di vecchi stati fuse insieme in malo modo e molto dedite alla diffidenza reciproca, alla lite e alla corruzione.
Della confusione amministrativa e finanziaria italiana gli europei erano impauriti e pretendevano quindi un interesse sempre più alto per prestare capitali. Insomma la storia amaramente si ripete, lo spread colpiva anche allora.

Dopo la breccia di Porta Pia e la caduta di Roma in mani italiane, il governo puntò decisamente al pareggio di bilancio e adottò una specie di fiscal-compact. Quintino Sella, tra le altre manovre, impose l'odiata tassa sul macinato che colpì la fascia più povera del paese deprimendo i consumi. In molte zone d'Italia si soffri la fame.
Si adoperò inoltre per la vendita dei beni confiscati alla Chiesa che andarono, per pochi soldi, ad aumentare nella maggior parte dei casi i beni dei latifondisti, a consolidare, soprattutto al sud, proprio quella parte di società di cui le masse volevano liberarsi durante il Risorgimento.
Questo fatto segnò definitivamente il fallimento, non solo nel meridione, di mezzo secolo di rivolte e di speranze in un mondo migliore.
 
Il pareggio di bilancio si raggiunse, ma tutti i motivi della crisi finanziaria successiva covavano sotto la cenere. Agli inizi degli anni '80 dell'Ottocento arrivò una grave crisi agraria, determinata dall'invasione dei mercati europei da parte di prodotti cerealicoli americani a basso prezzo che provocò notevoli danni all'economia italiana, paese prevalentemente agricolo.
 
La crisi finanziaria e politica toccò il culmine circa dieci anni dopo, tra il 1892 e il 1893 quando scoppiò lo scandalo della Banca Romana.
Fu quella una storiaccia di politica e finanza legata alla speculazione edilizia che imperversò a Roma dopo la sua proclamazione a capitale d'Italia. Dall'inchiesta che ne seguì, nonostante fossero implicati nomi importanti come Giolitti e re Umberto I, non sortì nessun colpevole.
La politica si auto assolse dalle pesanti responsabilità che portava i valori e gli entusiasmi unitari dispersi nella corruzione, nella sopraffazione e nell'ingiustizia. Pirandello scrisse all'inizio del Novecento un memorabile libro intitolato "I vecchi e i giovani" (1903), in cui tratteggiò impietosamente la crisi morale di quegli anni dello scandalo.
 
A questo punto ci si chiede come andò a finire questa storia.
Purtroppo le cose non andarono affatto bene: l'onda lunga della crisi morale ed economica del paese arrivò fino alla prima guerra mondiale, classico modo per risolvere i problemi.
Ovviamente quei problemi non si risolsero e furono ragione dell'ascesa del fascismo e della dittatura conseguente.
 
L'immobilismo che tuttora esperiamo nelle vicende politiche dei nostri giorni viene quindi da molto lontano.
È frutto di egoismo, immoralità, mancanza di visione del futuro, doppiezza verbale.
Ora come allora si rimandano i problemi mentre la decadenza civile ed economica incombe. Non sempre le crisi sfociano in qualcosa di auspicabile e forse sarebbe meglio metterci mano quando si è ancora in tempo.

Leretico
 


Commenti:
ID37405 - 02/11/2013 11:38:40 - (PETER72) - Immobilismo opportunistico

Nonostante la piccola imprecisione, Monti e' arrivato al governo nel 2011, e' proprio cosi': in Italia siamo sempre "ufficialmente" in crisi e con questa scusa il conto da pagare puntualmente viene sempre recapitato ai piu' deboli

ID37409 - 02/11/2013 12:59:33 - (Aldo Vaglia) -

La Germania e' una Nazione diventata Stato. Noi siamo uno Stato che non si e' mai fatto Nazione. La sofferenza di essere sudditi non ci sfiora nemmeno. I nostri sono sempre interessi di parte. Le corporazioni non muoiono mai. La genialita' e l'originalita' delle persone e' uccisa da una politica stracciona ed autoreferenziale. Il 'bene comune' non fa parte degli obiettivi da perseguire. Non e' qualunquismo come ci spingono a credere i nostri privilegiati ed arrivati governanti, e' una semplice constatazione dei fatti.

ID37410 - 02/11/2013 14:36:59 - (Aldo Vaglia) -

I due Stati quello italiano e quello tedesco sono stati fondati quasi in contemporanea. Del 1861 e' l'Unita' d'Italia del 1871 quella della Germania. I due primi ministri Cavour e Bismark, liberali e conservatori, sono stati gli artefici delle due unificazioni. Entrambi hanno saltato i moti rivoluzionari e democratici dei rispettivi paesi per approdare ad un'unita' che a prima vista poteva portare agli stessi risultati. Questo non e' avvenuto per molteplici motivi forse tra i principali la prematura morte di Cavour. Certo che nel bene e molto nel male la Germania e' da subito nazione. E se si esclude il nazionalismo fascista l'Italia non lo e' ancora. Forse e' anche per questo che e' impossibile un'Europa politica unita dove ogni Stato ha pari dignita'.

ID37416 - 03/11/2013 13:10:49 - (bernardofreddi) -

Molto abile il parallelo fra Bismarck e la Merkel: peccato che Berlusconi sia caduto per manifesta incapacit, non per le oscure trame teutoniche.

ID37417 - 03/11/2013 14:41:47 - (Aldo Vaglia) -

Hai perfettamente ragione Freddi. Berlusconi non ha avuto bisogno di nessuna spinta per cadere ha fatto tutto da solo. Questo ci puo' consolare individualmente, ma lascera' la sinistra nuda nella sua incapacita' di elaborare qualsiasi alternativa economica al neoliberismo. Senza piu' il collante del nemico comune si esaurira' nelle sue sempiterne beghe interne senza dare alcun contributo all'uscita da questa crisi. Secondo Luciano Gallino e Obama i problemi d'Europa sono ben altri rispetto a Berlusconi e Grillo come la nostra informazione vuol farci credere. Il colpo di stato alla democrazia in Europa e' portato dalle banche e dai governi. E i governi Monti e Letta sono funzionali a questo sistema.

ID37418 - 03/11/2013 17:45:11 - (Leretico) - Il parallelo

Il parallelo in verità voleva essere tra due nazioni i cui rapporti e le cui idee una dell'altra non sembrano cambiati dopo 150 anni. Come non è cambiato il rapporto tra la politica italiana e la finanza pubblica. Il suo andamento è il risultato di scelte di entrambi gli schieramenti avendo uno sviluppo negativo da cinquant'anni a questa parte. Le ragioni di questo andamento sono l'effetto dell'icapacità di affrontare seriamente i problemi, del rimandare ai posteri le decisioni importanti per non pagarne il prezzo politico. Questa attitudine italiana urta particolarmente i tedeschi che tendono ad alzare la voce molto presto, muovendosi sempre da una parte con ragione dall'altra con pregiudizio verso di noi, per difendere i propri interessi. L'obiettivo tedesco non era quindi Berlusconi o il centrodestra, ma l'Italia in generale e la pericolosità della sua situazione bloccata da un governo in apnea rispetto all'emergenza finanziaria contingente.

ID37419 - 03/11/2013 18:02:56 - (Leretico) - continua

L'idea di dominio dei tedeschi sul resto dell'Europa, che in altri periodi si manifestò con aggressività notevole, ora trova strumenti meno evidenti ma ugualmente aggressivi. Ai tedeschi non importa se l'economia italiana decade, se i consumi sono azzerati e se le aziende chiudono perché ritengono sia responsabilità della politica da cicala degli italiani di cui loro non vogliono pagare le conseguenze. Peccato che il miglior mercato di molti loro prodotti sia l'Italia e che quindi il loro benessere sia legato al nostro tanto quanto lo era ai tempi di Bismark. Solo che loro hanno la capacità di migliorare, noi solo quella di peggiorare.

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