Arturo Soardi, ciao professore

Ricordo un esame di licenza media, a Sabbio. L’ultimo prima che si mettesse  in pensione.
Durante gli orali sparì per due giorni. Irreperibile.

Ricordo il candore disarmante con cui raccontò la storia.
Aveva sbagliato a trascrivere il calendario delle prove. E se n’era salito in montagna per le sue cose. Cellulare spento, ovviamente. Tanto non prendeva. Commissione trepidante e un po’ incazzata.
Soluzione d’emergenza: il presidente sostituisce il prof di Tecnica. Altrimenti che amico era?

Quando ci ritrovammo soli in presidenza si finì  per parlare di montagne, di cascine di pietra, di polenta abbrustolita, di silenzi, di richiami, di albe e tramonti, del poter disporre del tempo, il bene più prezioso.

Arturo era così. Genialità, cultura, competenze, sensibilità, humour, tolleranza.
Il tutto condito con l’originalità degli atteggiamenti, la radicalità  dei giudizi, l’anticonformismo sociale.

E poi un’ irrefrenabile aspirazione a una sorta di eremitaggio laico fra le sue montagne. Un’ascesi senza risvolti mistici. Una compenetrazione con i ritmi parsimoniosi  della natura. Per realizzare la propria  essenziale e ruvida umanità.

Sono passati tanti anni da allora. Non ci siamo più incontrati. So che aveva concretizzato il suo proposito. Alla ricerca di un modello inusitato di sussistenza al riparo dalle estenuanti rincorse del fondovalle.
Arturo Soardi, una persona degna, che viveva nel piano e sognava in alto.
Fra le cime degli alberi.

Gli sia lieve la terra. 

Pino Greco

 

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