15 Marzo 2014, 07.44
Quaderni di Cinema

Her (lei): l'amore ai tempi delle App

di Nicola Cargnoni

È un film molto più complicato di quel che potrebbe sembrare, anche solo per la quantità di argomenti condensati in 2 ore: dal divorzio al dominio della comunicazione, sfiorando la retorica della solitudine e dell’assenza del contatto umano.


Nelle sale da giovedì 13 marzo.

Mi tocca dover essere breve, se non altro per non incorrere nel rischio di annoiare il lettore.
Devo però sottolineare che è difficile parlare di un film come questo utilizzando pochi paragrafi, perché gli spunti che esso offre sono davvero tanti, alcuni dei quali originali e impegnativi.

All’inizio del film siamo catapultati, fin da subito, in un futuro distopico o, meglio, in un meta-presente dotato di tecnologie sviluppatissime.
Il protagonista Theodore, interpretato da Joaquin Phoenix (chiamato a un’ulteriore prova di bravura dopo «The village», «Walk the line», «I padroni della notte», «The Master» e tanti altri), è impiegato in una ‘agenzia di comunicazioni’ nella quale si realizzano lettere sentimentali su commissione.
Questo aspetto mette in luce fin da subito il bisogno di “gestione delle emozioni” di una società che necessita della mediazione di terzi anche nelle faccende più intime e private.

Possiamo parlare di emozioni a prestito
, in una città dove il contatto umano è parecchio rarefatto.
Incontriamo Theodore mentre sta affrontando un recente divorzio, di cui non sappiamo però i motivi; ciò introduce la tematica “portante” della pellicola, quella della labilità dei rapporti, della frammentarietà dei sentimenti e del bisogno di comunicare in ogni momento della giornata, con una preferenza verso voci e persone che non si conoscono.

Fino a quando il protagonista installa sul proprio computer un sistema operativo intelligente, la cui voce femminile si autobattezza Samantha, e che ragiona, formula idee e prova emozioni, “crescendo” di giorno in giorno.
Ciò che rende Samantha così diversa dagli androidi di «Blade runner» (e da quelli del romanzo di Dick) è la capacità di provare empatia, di “capire” Theodore e di nutrire sentimenti veri.
Samantha (nella versione originale con la voce di Scarlett Johansson, in quella italiana di Michaela Ramazzotti) lega fin da subito con Theodore.

Joaquin Phoenix è in effetti bravissimo, in una interpretazione degna della commedia dell’arte, ad accompagnare il proprio percorso di “innamoramento” con una serie di espressioni facciali che ne delineano l’andamento.
Samantha è invece una voce fuori campo, che progressivamente estende il proprio dominio sulla scena. Inizialmente si limita a organizzare e gestire le e-mail e gli impegni di lavoro di Theodore, divenendo poi amica e confidente del protagonista, fino alle chiacchierate notturne.

Il “bisogno di comunicazione” è il filo rosso della pellicola, in un mondo dove la gente sente il bisogno di mandarsi lettere dettate a un computer (da altri per di più) e dove in ogni scena collettiva non c’è mai nessuno che chiacchiera col proprio vicino, eppure tutti comunicano in qualsiasi momento, con interlocutori più o meno reali: in questo tipo di società il protagonista non ha nessuna difficoltà a dire che la propria fidanzata è un sistema operativo, fino al punto di “andare in vacanza” con lei (o esso?).

L’ambiguità sta proprio nel non riuscire a comprendere se le emozioni di Samantha siano vere o siano programmate; la fisicità è necessaria in un rapporto amoroso?
L’essere umano dev’essere per forza “organico” ed esistente? Samantha è un software o è l’essenza dell’anima, con le sue emozioni e sensazioni?

Prima di innamorarsi del sistema operativo, Theodore prova a costruire delle relazioni concrete; ma a parte l’amicizia (risalente al College) con Amy, l’uomo non riesce a tessere rapporti umani che non siano il proprio lavoro di scrittore di lettere conto terzi o la propria storia d’amore con una voce.
Abbiamo dunque un protagonista bravissimo nel suo mestiere, capace di gestire i sentimenti altrui, ma totalmente inabile a una seppur minima relazione personale.

La genialità del film (che va bene in italiano, ma che sarebbe interessante vedere in lingua originale) sta proprio nella capacità di rendere “reale” la presenza di Samantha, la quale vive un vero e proprio romanzo di formazione, a fronte del protagonista in carne e ossa che resta bloccato nella sua dimensione di “inettitudine sentimentale”.
Fino a un finale nemmeno troppo sorprendente, se si tiene conto delle dinamiche che animano il film.

È impresa assai ardua parlare di questo lavoro cinematografico senza fare anticipazioni, senza citare alcuni dei concetti espressi da Samantha e senza rivelare alcuni comportamenti del protagonista.
Basti sapere che il regista Spike Jonze è riuscito a scrivere una sceneggiatura molto originale e interessante, unendo la fantascienza (poca) con il genere del melodramma (tanto), raggiungendo un buon equilibrio tra il sentimentalismo (che è comunque il vero motore del film) e le dinamiche futuristiche di una vita regolata dalle macchine, dai software e dalle “app”.

Non più la fantascienza dei raggi laser e dei disastri spaziali, ma quella della tecnologia che regola le nostre vite e si sta lentamente insinuando nel nostro presente, quasi annullando il libero arbitrio e la coscienza delle persone.
Nel film di Jonze i sistemi operativi comunicano tra loro, creano gruppi di lavoro, riesumano personalità del passato (sempre sottoforma di software) ricostruendole in base alle informazioni possedute; ragionano, fanno amicizia, si innamorano e, aspetto abbastanza inquietante, prendono decisioni autonome.

Jonze non ha nemmeno la pretesa di voler fare moralismi o di metterci in guardia dalla prospettiva di un futuro in cui le “app” avranno più personalità degli esseri umani.
Per questo è difficile anche parlare di distopia; probabilmente il regista ci ha soltanto messi di fronte a un “fatto compiuto”, che ancora si deve formalmente realizzare, ma che sembra essere il punto d’arrivo della società in cui viviamo oggi.

Fotografia, montaggio, voce fuori campo e, soprattutto, le musiche sono all’altezza della sceneggiatura, complessivamente ***½  ci stanno tutte.




Commenti:
ID42786 - 15/03/2014 08:54:52 - (nimi) - aggiunta

Vi assicuro che sono stato davvero molto breve, perchè ci sono tanti snodi, molte citazioni e anche tanti parallelismi con molto cinema di genere. Dura 2 ore ed è denso di scene, di svolte, di dialoghi. Non ha momenti vuoti. Rischia di annoiare, ma soltanto lo spettatore che si aspetta la solita commedia romantica. Davvero, è un film che può dar vita anche a lunghe discussioni per quanto riguarda alcuni aspetti della fantascienza, della letteratura, oltre che i più elementari aspetti etici del sopravvento tecnologico. Il VERO personaggio di questo film è la voce, è una cosa astratta e invisibile. Una sorta di divinità, se vogliamo... e anche su questo si potrebbe fare una recensione altrettanto lunga...

ID42793 - 15/03/2014 12:06:30 - (demorenis) -

Colonna sonora degli Arcade Fire

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