18 Marzo 2014, 07.44
Idro
Briciole di Cultura

La pieve di "Santa Maria ad Undas" di Idro

di Alfredo Bonomi

Seminascosta da molte costruzioni che ne offuscano l'originaria bellezza, la pieve del lago è una sintesi di storia religiosa e di testimonianze artistiche


Per chi percorre la Valle Sabbia, diretto verso nord, dopo un restringimento con i monti che a fatica lasciano aperto il passaggio, il lago d’Idro si presenta con le sue tonalità mai troppo forti, ma diluite in delicate atmosfere che invitano ad uno stato riflessivo.
Il “paesaggio d’acqua” fa da congiungimento con il Trentino a richiamo di una lunga comunanza di rapporti e di commerci.

Il legame del lago con i severi monti circostanti, non del tutto percepito ad un primo sguardo, è del tutto evidente nella sua sintesi paesaggistica, quando, in una giornata di luce giusta, si scorgono le montagne che sembrano tuffarsi nelle acque.
Le rive, ora occupate dalle molte abitazioni del “progresso novecentesco”, lasciano intravedere i borghi antichi costruiti con consumata perizia edilizia nei secoli passati ed i terrazzamenti predisposti dall’uomo su una terra avara, che dà frutti solo se amata e attentamente coltivata.

Il lago, confina da più di un millennio con il “mondo del nord”, dominato dalla Rocca d’Anfo, “montagna dell’ingegno umano” in una montagna naturale, è il punto di raccordo dell’Alta Valle e una delimitazione, più convenzionale che naturale, con il Trentino. Richiama antiche divergenze e contese per i diritti di pesca e lotte più recenti per la difesa dei livelli delle acque.

Proprio sulla riva
, dove l’acqua del lago inizia a diventare quella del Chiese, che lascia il bacino per scendere a valle, sorge l’antica pieve, ossia la chiesa di “Santa Maria ad undas”. Ora le molte costruzioni ne offuscano in parte l’originaria bellezza e l’abbraccio che aveva con l’acqua, dalla quale doveva sembrare sorgere quasi spontaneamente.

Secondo una tradizione della memoria popolare il nome della chiesa farebbe riferimento al ritrovamento sulle onde del lago di una immagine della Vergine Maria; più verosimilmente l’origine è da ricercare nel fatto che la costruzione è sempre stata lambita dalle acque del lago, in uno stretto rapporto con le onde, in un “colloquio” denso di significati umani e religiosi che, in parte, continua anche oggi.
Questa pieve, una delle cinque della “valle storica”, richiama la nascita ed il diffondersi del cristianesimo nella zona.

***

La posizione di Idro ed in particolare del nucleo abitato che, secondo alcuni storici, deriverebbe dal romano “Pontis”, felice dal punto di vista geografico, giustifica pienamente l’esistenza di una delle pievi più importanti per la vastità del territorio che ad essa faceva riferimento. Infatti a “Santa Maria ad undas” convergevano i fedeli di Vestone, e forse di Nozza, di Lavenone, di Treviso, di Capovalle e di Anfo.
Idro è terra di antichi insediamenti. Non per nulla è ben descritto anche nel libro “Descrittione DI TUTTA ITALIA” di Leandro Alberti, stampato a Venezia nel 1551 dai “Nicolini di Sabbio”.
Per spiegare l’origine del nome si è identificato proprio sul lago d’Idro il luogo della mitica lotta tra Ercole e l’Idra. Ma qui siamo in un campo fantasioso.

La storia ci tramanda invece il nome delle popolazioni che hanno preceduto i Romani su questo territorio. Sono gli Edrani, che ebbero proprio su queste rive i loro insediamenti principali ed in questo la toponomastica è eloquente.
La presenza romana è ben documentata da tre epigrafi, di cui due ancora esistenti nella pieve.

Il ritrovamento dei resti del villaggio retico romano in località “Castello antico”, in posizione dominante, ha gettato nuova luce sulla storia di Idro e dell’Alta Valle Sabbia. Si può ipotizzare che, a seguito del decadimento di questo insediamento, una sorta di “città del lago”, per vicende belliche e conseguenti sussulti sociali, si sia sviluppato in località “Pontis” un nuovo nucleo con funzioni commerciali. Successivamente, dopo il crollo dell’Impero Romano, prese corpo la pieve, con il nuovo ruolo religioso e civile. E non a caso, perché proprio in questa località si raccordavano, e si raccordano tutt’ora, le strade dirette a Brescia, a Trento e nelle montagne dell’Alto Garda.
“Santa Maria ad undas”, come le altre pievi, ha avuto la sua notevole storia durante il medioevo, sino al XV secolo, quando l’istituzione religiosa delle pievi entrò in profonda ed irreversibile crisi per l’emanciparsi delle singole comunità, che hanno conquistato l’autonomia religiosa con la nascita delle parrocchie.

La documentazione sul “periodo d’oro” della pieve è assai scarsa
.
Abbonda invece quella riguardante il percorso di autonomia delle borgate.
Aprì il contenzioso Treviso nel 1357 con esito negativo. Il 15 settembre del 1480 si staccò da Vestone, il 2 settembre del 1530 Lavenone. Il 12 agosto 1567 fu la volta di Anfo, seguito nel 1624 da Capovalle. Infine, Treviso che per primo aveva rivendicato il distacco, si separò dalla pieve il 10 ottobre 1754. Terminava così una lunga storia densa di luci e non priva di qualche ombra.

***

Oggi le altre chiese plebane della Valle Sabbia
presentano architetture tardo rinascimentali e barocche, spesso imponenti, che hanno sostituito le forme primitive. Solo a “Santa Maria ad undas” il tempo si è sostanzialmente fermato al 1500 perché i rifacimenti successivi non hanno aggiunto molto alla chiesa che oggi possiamo ammirare nelle linee di un romanico elementare con tocchi gotici.
Il passaggio della sede della Parrocchia di Idro dall’antica pieve alla nuova chiesa di S. Michele nel 1580, ha risparmiato a “Santa Maria ad undas” pesanti trasformazioni.

L’edificio attuale non è la prima chiesa, probabilmente distrutta verso il 1200, anche se alcune parti, come l’abside, possono datarsi in tal secolo. Il valore principale è da ricercare proprio nella semplicità della struttura, che è ora un raro esempio delle molte chiese che erano sparse nel territorio bresciano ancora all’inizio del 1400.
Nelle tonalità grigie della facciata e delle fiancate della pieve si riflette un lungo percorso di storia.
Un piccolo cornicione di cotto, o serpentino, con fregio degli inizi del 1400m, corre appena sotto la grondaia ed è l’unica decorazione. Per il resto, se si accetta un portale del 1600, è tutta semplicità, ricca di spiritualità.
Anche il campanile è dello stesso periodo della chiesa perché al suo interno la struttura muraria è databile alla fine del 1300, con le pietre stilate, tipiche delle “case torri” del periodo.

L’interno ha un’unica navata con il tetto ad assi e travi scoperte, in origine decorate come quelle che ancora si possono vedere nelle chiese di Sabbio Chiese, sostenute da quattro arconi traversi gotici che poggiano su pilastri asimmetrici sporgenti dalle pareti e con capitelli irregolari.
L’abside conserva ancora le linee di un severo romanico e dovrebbe essere una parte della primitiva pieve e risalire intorno al XII secolo.
Originariamente la chiesa aveva un unico altare, segno dell’essenzialità del culto che non si disperdeva in molti altri “campi devozionali”, gli altari laterali sono aggiunte successive.

Agli inizi del 1400
, proseguendo poi per tutto il secolo, la chiesa venne affrescata. Di questa decorazione, che doveva essere estesa, dopo le diverse imbiancature eseguite a seguito delle molte pestilenze, rimangono pregevoli testimonianze sulle pareti e sui pilastri.
Lo sguardo di chi entra è però subito attratto dallo splendido insieme dell’edicola dell’altare maggiore, unico esempio in Valle Sabbia e assai raro anche altrove la particolarità di questa edicola in muratura, quasi piccolo “tempio” nel più vasto Tempio, che richiama immagini bibliche e sollecita riflessioni teologiche e liturgiche, è così rilevante che da sola ha ben merito l’attenzione degli studiosi e degli amanti dell’arte per questa pieve.

È interamente coperta di affreschi che formano un polittico, ora bisognoso di restauro prima che l’inclemenza del tempo cancelli una preziosissima memoria artistica e di fede.
Questi affreschi sono da datare nella prima metà del 1400 e non è cosa da poco se si pensa che le Valle Sabbia conserva pochissime testimonianze di quel periodo.
L’edicola è il segno concreto che testimonia l’importanza rivestita nella storia locale dalla pieve di Idro. È anche un “catechismo per immagini” rivolto ai fedeli che accorrevano alla chiesa e la sintesi delle devozioni che hanno fatto la storia del Cristianesimo sul territorio. Altri affreschi nell’abside completano degnamente questo “catechismo pittorico”.

***

Per avere un’idea dell’importanza di questo “libro in immagini affrescate” ci viene in aiuto una descrizione, seppur succinta, degli affreschi.
Le molte figure del polittico rispondono ad uno schema logico ed iconografico che si coglie perfettamente. Nella parte centrale, come elemento di sintesi, lievemente incassata, è affrescata la Madonna in trono con il Bambino e quattro santi; tre dei quali identificabili in S. Andrea, S. Stefano e S. Michele, ed uno di difficile lettura, anche se potrebbe trattarsi di S. Bernardino. Attorno c’è una cornice di santi con scene importanti dal punto di vista teologico. Al centro del piano inclinato che fa da raccordo fra la scena madre e la cornice c’è l’“orifiamma” di S. Bernardino da Siena con due elegantissimi angeli musici.

Nella cornice, che diventa “perimetro ideale ed artistico”, in alto, ai lati di una espressiva Crocifissione con la Madonna e S. Giovanni, sono affrescati S. Pietro, S. Paolo e l’Annunciazione. Tutto intorno, non pienamente decifrabili per lo stato conservativo, appaiono molti altri santi. A sinistra si possono identificare S. Martino di Tours, Santa Maria Maddalena, Santa Lucia, Santa Caterina “della ruota”, S. Giuliano. A destra S. Bernardo di Chiaravalle, S. Antonio Abate, S. Sebastiano.

In questa edicola, concepita come polittico, è rappresentato un condensato della religione popolare, così come si è manifestata ed è cresciuta dai primi tempi del consolidarsi della pieve sino al secolo XVI.
Gli affreschi sono un punto fermo del panorama artistico valligiano.
L’autore non è certo da ricercare tra i semplici “madonnari” di passaggio, ma all’interno di una rosa di artisti di qualità attivi a Brescia nella prima metà del secolo XV. Il filone è quello lombardo e con pazienti raffronti l’autore può essere ricercato nell’ambito della Bottega di Bonifacio Bembo, attiva a Brescia dal 1420 al 1447.

Nell’abside si susseguono almeno tre strati di affreschi
.
Il più recente è composto da un ciclo assai interessante. Sulle pareti si snoda una sequenza di apostoli e canti, allineati a far da corona all’altare che, in origine, doveva essere molto semplice e privo dell’edicola affrescata.
Le figure sono a grandezza naturale in riquadri geometrici interrotti da una finestrella veramente bella posta al centro come nelle costruzioni bizantine. Da qui la luce doveva filtrare discreta ad illuminare la preziosità dei colori degli affreschi, quasi si trattasse di mosaici.

Attualmente sono chiaramente visibili sette figure, ma la serie completa doveva essere di quattordici. Nel catino absidale, racchiusa in una ellisse a vivacissimi colori, campeggia un Pantocratore benedicente con grande maestà.
Ai lati, a fargli corona, sono rappresentati i quattro evangelisti ancora in forma arcaica, con gli elementi simboli del vitello, del leone, dell’aquila e dell’angelo al posto della testa umana.

Altre due scene completavano la decorazione. A destra, per chi guarda stando al centro della navata, è posta l’Annunciazione. A sinistra la decorazione è andata perduta, o forse è, in parte, celata sotto l’intonaco. Potrebbe aver ospitato la Natività o lo Crocifissione.
Il ciclo è molto deteriorato; nonostante questo è colmo di grande fascino ed è di elevata esecuzione. Le ipotesi attributive sono molte. È da ricondurre al secolo XIV. il tentativo di individuare con certezza il nome dell’artista rimane, sino ad ora, un discorso aperto per la mancanza di fonti anche se risultano eloquenti i confronti con gli affreschi della pieve di Manerba e di S. Filostrio a Tavernole sul Mella.

Sulle pareti della navata e sui pilastri sono sparsi altri affreschi di notevole valore storico ed artistico. Altri sicuramente sono celati dalle ripetute intonacature. C’è materiale a sufficienza per suggerire una vasta campagna di restauri che diventerebbe anche un sicuro incentivo per attirare altri turisti sul lago d’Idro.

***

La chiesa di “Santa Maria ad undas” è un angolo di storia e di spirito che invita alla riflessione ed a gustare i ritmi placidi della vita.
L’ulteriore valorizzazione della pieve rientra nella più vasta considerazione della cura dei beni artistici, il “vero tesoro” d’Italia ed un potentissimo volano di sviluppo.

Si tratta di mantenere i segni della storia e dell’ingegno umano, di sollecitare altra creatività ed intelligenza, due caratteristiche che distinguono l’uomo dagli altri esseri e che lo rendono capace di coniugare pensiero, emozioni ed azioni.
Il binomio arte ed acqua rimanda poi alle potenzialità turistiche della zona, che sono notevoli, perché il lago d’Idro, in quanto a bellezza, non ha nulla da invidiare ad altri laghi italiani assai noti.

Partendo proprio da “Santa Maria ad undas”, per i turisti e gli amanti del bello si può percorrere un “viaggio artistico” di alto profilo, attraverso le tappe di S. Antonio di Castèr in quel di Anfo e di S Rocco nell’alpestre Bagolino.
Sono tre gioielli che ben si affiancano alle bellezze del paesaggio per dare diletto all’animo umano. 
 


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