01 Gennaio 2015, 09.10
Valsabbia
Caccia e dintroni

150 anni fa toccò agli archetti

di Giancarlo Marchesi

La storia si ripete, in tema di tutela dello spiedo, piatto tipico bresciano. Nel 1864, infatti, i Comuni valsabbini si trovarono a protestare per la proibizione dell’uso degli “archetti”


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È notizia di queste settimane che politici, amministratori locali e associazioni di categoria del territorio si stiano adoperando per riportare sulle tavole dei nostri ristoranti lo spiedo, a rischio estinzione dopo le disposizioni legislative che vietano la vendita di qualsiasi uccello selvatico, esclusi i volatili di grossa taglia, anche importati dall’estero.
Lo spiegamento di forze a difesa dello spiedo, capitanato dal Comune di Gussago e sostenuto dall’ente Provincia di Brescia, ha molto in comune con quanto accadde del 1864, centocinquant’anni fa.

Nel luglio del 1864, a distanza di un triennio dall’Unità d’Italia, un dispaccio del Regio Ministero d’Agricoltura comunicò alla regia prefettura di Brescia «essere d’ora in avanti assolutamente vietata la caccia cogli archetti, anche dove era tollerata, non bastando ad esimere dall’osservanza della nuova legge sulla caccia, qualsiasi diritto acquisito per usucapione».

Dopo poche settimane, i sindaci dei comuni di Vestone, Presegno, Navono, Avenone, Nozza, Ono Degno, Treviso, Hano (oggi Capovalle), Idro, Anfo, Lavenone, Prato, Livemmo, Provaglio sotto, Provaglio sopra, Sabbio Chiese e Bione inviarono una petizione al ministro competente per ottenere una deroga alla nuova legge che proibiva l’uso degli archetti.

Nella missiva - conservata presso l’archivio storico del Comune di Vestone e presentata nel 1997, in occasione della mostra documentaria da titolo “Le carte e la memoria” curata da un gruppo di cultori di storia locale e dall’archivista Leonardo Leo – si legge: «i rispettosi rappresentanti dei comuni che compongono la Valle Sabbia si fanno debito presentare all’Eccellenza Vostra illustrissima la questione dal lato dell’equità , della convenienza, dell’economia pubblica, con rispettosa preghiera a voler sodisfatti in qualche modo i voti più fervidi di questa popolazione (…).».

La petizione prosegue poi affermando:  «(…) la caccia degli uccelli con gli archetti era un frutto del fondo che col volgere degli anni s’impersonò talmente colla proprietà che ne disciplinò il prezzo, il modo d’acquisto e non rare volte la stessa coltura».

I sindaci valsabbini chiedevano poi, retoricamente al ministro: «E’ egli conveniente che nei paesi posti all’ultima trincea lombarda e difronte all’inimico, s’abbia così di botto a piantare un confronto tanto svantaggioso tra le nuove e le antiche leggi sulla caccia, fra le leggi che ancora la disciplinano a pochi passi sul suolo da noi, che è più nostro, ma in mano straniera, e le nostre leggi nazionali? È egli conveniente che ai comuni nell’ora appunto in cui loro ci domandano maggiori spese, s’abbia a togliere una fonte di rendita [l’affittanza delle cosiddette “tese”, strisce di terreno sulle quali posizionare gli archetti], un mezzo sicuro con cui sopperirvi?».

La petizione si chiudeva con queste parole: «Veda l’Eccellenza Vostra illustrissima se all’appoggio di queste poche ma vere ma prepotenti osservazioni  di fatto possano essere modificate le disposizioni del dispaccio 18 luglio di questo Ministero».

Nell prossimo articolo informerò i lettori come è andata a finire questa storia…

Giancarlo Marchesi




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