10 Marzo 2015, 07.33
Eppur si muove

Sesso o amore?

di Leretico

Mi chiedevo in questi giorni come si potesse rispondere a quella nervosa affermazione del senso comune che, preannunciata da uno stringere a pugno le dita di entrambe le mani a mo’ di mungitura aerea, così recita: “Ma in pratica?”


È questa infatti la proposizione che spontanea sboccia troppo spesso sulla bocca di molti, come il fiore nazional-popolare che spuntava in bocca dei fortunati che si lavavano i denti con “Super-Colgate” nella pubblicità del Carosello degli anni ’70. Immagine terrificante che turbava il sonno dei più piccoli, compresi i miei.
(E se poi, dopo esserti lavato i denti, il fiore ti fosse spuntato nel momento meno opportuno? Dramma infantile).

Stesso terrore ci prende quindi a sentire quegli strani figuri che ti si parano davanti e, con mezzo sorriso (destro) disegnato in viso e con le mani a mungitura, manifestano il loro disprezzo quando va bene con un bel: “Scusa sai, ma dovresti essere più concreto!”, e quando va male con un più diretto “Sei troppo teorico”.

Penso che Zeus in quei frangenti, nonostante non si ricordi la password per accendere il suo lanciatore di fulmini elettronico, torni immediatamente in cantina a recuperare il manuale cartaceo confezionato ai tempi di Aristotele su come estinguere sul posto il fellone vongolatore di turpitudini che osa mettere così in dubbio, e in un attimo, il sapere di duemila e quattrocento anni di storia dell’uomo occidentale.

Ebbene sì, già ne IV secolo avanti Cristo
c’era chi doveva rispondere a questa obiezione e lo faceva con sapienza.
E mentre Zeus armeggiava già da allora in cantina alla ricerca del suo manuale perduto, noi ci ricordiamo che Aristotele chiese un giorno ai suoi peripatetici liceali che lo seguivano: “Potrebbe l’uomo camminare se non sapesse di avere le gambe?”.

È evidente che senza sapere di possedere uno strumento come le gambe, non lo si può utilizzare, né l’uomo può camminare se è convinto di non avere le gambe.
Ma non ci fermiamo a questo aspetto, seppur importante, approfondiamo: Aristotele intendeva porre una gerarchia tra due momenti dell’agire: prima il pensare poi il fare.

Non può esistere un fare senza prima un pensare, come non può esistere un concreto senza prima un teorico.
E questa considerazione dovrebbe essere così convincente che Zeus non dovrebbe avere alcun motivo per lanciare fulmini. Purtroppo invece c’è sempre qualcuno che, spinto da malcelato senso di inferiorità, ama provocare il prossimo con quel presunto richiamo alla realtà: “sei troppo teorico, qui ci serve più concretezza”.
E Zeus, quindi, è costretto a prendere i suoi provvedimenti.

La cosa triste è che questa malattia è molto diffusa, e in nome della virtù della concretezza più dichiarata che conosciuta, si arriva a pensare addirittura che la scuola non serve a nulla, che insegnare non serve a nulla e che l’unico metro per misurare l'uomo sia la sua capacità di produrre un risultato “toccabile, palpabile, tangibile”, meglio ancora se “reddituale”, essendo tutto il resto vaniloquio di parassiti, raggruppando tra questi tutti quelli che per dono o per duro studio e lavoro, parlano con un certo eloquio, amano la poesia, la letteratura o la filosofia.

Ma cari i miei pseudo-concreti, vi chiedo qui una volta per tutte, ma pensate che possa esistere un mondo senza che ci sia un cervello collegato per poterlo ammirare?
Lo vogliamo collegare questo cervello prima di dire che la teoria è inutile?
Ci rendiamo conto che nessuna concretezza è possibile se prima non c’è la parte che organizza gli elementi, che li immagina agire insieme?

Questa parte è il pensiero: solo il pensiero può produrre risultati concreti.
Potrebbe esistere un ponte o una casa senza un progetto?
Potrebbe esistere la scienza senza il pensiero?

Alle persone che insistessero nella polemica mi sentirei di inviare un disperato appello alla consapevolezza, proponendogli di definire la differenza tra sesso e amore. Capisco, è una domanda a trabocchetto perché entrambi i concetti sono legati indissolubilmente e nel pensarli distinti li separiamo perdendo il significato del loro essere insieme.
Chi crede solo nel pratico, e disprezza i pensatori, è forse disposto a rinunciare all’amore?

Non scandalizzatevi, troppi non hanno le idee chiare sulla questione
e confondono il primo concetto con il secondo.
Anche questi meriterebbero l’ira di Zeus, ma il mondo è grande è c’è posto per tutti, anche per quelli, inconsapevoli, che per un piatto di lenticchie si vendono la primogenitura, che non credono nell’entelechia dell’uomo solo perché è troppo lo studio e il lavoro, quelli sì concreti, che dovrebbero fare per poter capire.

In conclusione fatemi dire dunque che a tutti quelli che vi vogliono importunare con il loro falso appello alla virtù pratica, rispondetegli di non dimenticare mai che gli uomini sono gli unici esseri capaci di capire il “sublime”, ossia capaci di arrivare “sub limine” – appena sotto la soglia – “nella contemplazione dello spettacolo della natura, nel prendere coscienza del proprio limite razionale e nel riconoscere la possibilità di una dimensione” ulteriore in cui inscrivere il senso ultimo dell’uomo: l’amore.

Leretico


Commenti:
ID56231 - 10/03/2015 08:17:10 - (sonia.c) - come per le gambe..

se non si sa di possedere uno stumento come il cervello ..ma forse il problema è proprio questo! "l'homo praticus" "crede" di usare meglio questo strumento perchè,ha bisogno di "vedere" risultati che calmino il suo senso di angosciante impotenza o di precarietà.come il forcaiolo che trova nella rassicurante corda la "soluzione finale" che,come molte azioni finali,risulta spesso negativamente ,se non proprio tragicamente ,immodificabile.non conoscendo ,appunto,prima,il suo "limite razionale". grande Leretico.chapeau.

ID56235 - 10/03/2015 09:47:48 - (Baldo degli ubaldi) -

Sarà , ma tra teoria e pratica preferisco la seconda. Comunque nessuna delle due può esistere senza l'altra in quanto la teoria senza la pratica è solo aria al vento e la pratica senza teoria è solo un menare le mani a casaccio.

ID56236 - 10/03/2015 10:07:38 - (Dru) - A parte gli aspetti di fondo più volte toccati nei miei contributi

L'agire presuppone un mondo in cui si agisce. Chi vuole la pratica in realtà ciò che sta chiedendo è la teoria. Non c'è esperienza e memoria di un mondo altrimenti. Sai fare quella cosa lì? Questa la domanda di partenza del pratico. Ecco che interviene e il "fare", che significa produrre, e la "cosa", che significa il mondo, supportate dal sapere, che significa la conoscenza appunto del mondo che si vuol produrre, nessun fare è altrimenti "possibile". A questo punto più uno è pratico e più ha la teoria di quel che vuol fare. Perché il cercatore del pratico allora è sempre più inconsapevole di tutto questo? Perché è sempre più alla ricerca del risultato immediato? Cosa è il risultato? Scriverò di questo poi...

ID56239 - 10/03/2015 10:36:06 - (Dru) - Il Resultat, come lo definiva lo Hegel

Il risultato, per esistere, ha bisogno di un incominciamento. È chiaro che senza un incominciamento nessun risultato. Da cosa deriva allora una cosa? Dal farla. E da cosa deriva il farla? Dal saperlo fare. Ma qualcuno "ha preferito" invertire questo processo, Marx in definitiva il capostipite, e ha ribaltato così. Da cosa deriva il saperlo fare? Dal fare. Dimmi dove lavori e ti saprò dire chi sei. È il mondo che "determina" il sapere e non viceversa. Da qui l'istanza di un risultato immediato e non mediato: fammi vedere quello che sai fare. Vi invito appunto a riflettere, in sede filosofica, cosa significhi appunto "determinare" perché questo è il nodo da sciogliere. Cartesio appunto dice " penso dunque sono" e Marx inverte dicendo " sono in un mondo in costruzione che mi fa pensare".

ID56240 - 10/03/2015 10:36:29 - (sonia.c) - sapere è fare..

fare è sapere. (non conosco l'autore)..ma COSA intende la gente per "pratico" ? sopratutto per quanto riguarda "l'umano"?

ID56243 - 10/03/2015 10:52:58 - (Dru) - Guardiamo al capitale e al capitalista che cerca il pratico.

Cosa è il capitalismo? È la forza che dispone di mezzi che coordina (in funzione del (per raggiungere il risultato appunto) suo di scopo, l'incremento del profitto privato, questa la struttura specifica del capitalismo. Al capitalista che produce ( ma questo esempio paradigmatico utilizzatelo per ogni tipo di forza che richiede sul "mercato", nel mondo, il mezzo) serve un mondo con una scarsità media di disponibilità di prodotti. Il mondo non deve disporre di una risorsa illimitata di un prodotto, perché al capitalista non conviene metterlo quindi in produzione, pensate all'aria che nessun capitalista ancora vende, e nemmeno assolutamente indisponibile, perché sarebbe infinita la ricerca e lo sviluppo di tale prodotto e quindi non conveniente il produrlo.

ID56244 - 10/03/2015 11:01:43 - (Dru) - Il pratico è il mezzo

Per il capitalista il pratico è il mezzo. Il capitalista vorrebbe il mezzo che sa, ma allo stesso tempo questo incremento del sapere lo limita, lo vince. Il mezzo vince il fine. Il mezzo non ha lo stesso fine del fine. Qui a combattersi sono due differenti fini. Lo sviluppo del conflitto lo lascio a voi, comunque risulta che se per il capitalista in cerca del pratico il fine è l'incremento del profitto, per il pratico in cerca del suo di fine, che è appunto la produzione e non il profitto, conviene un diverso risultato. Tra il pratico ( che lo si vorrebbe tale) e il teorico o capitalista che limita, si instaura un conflitto.

ID56245 - 10/03/2015 11:05:04 - (Dru) - Il più delle volte dietro la richiesta del pratico

Si cela nel capitalista la paura di avere di fronte un vero teorico come lui e questo lo terrorizza. Un martello in sé che paura può fare ad un martellatore? Diverso è un martello in mano a qualcun altro.

ID56246 - 10/03/2015 11:19:29 - (Dru) - Quindi

Se il capitalista deve limitare la produzione e lo deve fare in funzione della scarsità media che vuole raggiungere per il raggiungimento del suo di scopo, il mezzo vuole produrre indefinitamente. Due scopi diversi. Due fini in conflitto che dimostrano da un lato il bisogno indefinito di teoria, quello del mezzo sulla produzione, e dall'altro il controllo e la sua limitazione. È dietro tutto ciò che si nasconde la ricerca anche inconsapevole del pratico da parte del teorico.

ID56247 - 10/03/2015 11:23:26 - (Dru) - Scusate il refuso...

Se il capitalismo... Perché per il capitalista la cosa è un tantino differente, anche il capitalista è in conflitto con il capitalismo, ma non vorrei andare troppo in profondità, che ne dite? :-)

ID56261 - 10/03/2015 23:40:58 - (Dru) - Alcune precisazioni che esulano un attimo dal tema che sono di fondamentale importanza per il nostro tempo...

Quando specifico che il capitalismo limita il produttivismo e la tecnica, non dico che il capitalista vuole limitare la propria produzione, ma indico quella contraddizione che limita "il servo" che gli dà forza per il suo di scopo, l'incremento del profitto. Anche il capitalista è cosciente che la potenza del "servo" (la tecnica) è la sua potenza che gli consente il suo di scopo, vincendo la concorrenza, ma sa anche che un illimitato e illuminato consenso per la tecnica riduce il suo di scopo, l'essenza dell'azione capitalistica, perché l'azione non è più la produzione per il denaro, ma il denaro per la produzione (questo è il vero senso della crisi del nostro tempo e la forma principale della crisi del Capitalismo).

ID56263 - 11/03/2015 00:27:13 - (Dru) - Ora: Marx dice una cosa fondamentale per il significato di pratico

I filosofi hanno sempre interpretato gli eventi nel mondo, è ora che comincino a trasformarlo. Ora, questa indicazione risponde a quanto Leretico dice del pratico: l'uomo vero, che per Marx comunque resta il filosofo, deve agire, deve essere pratico secondo una logica trasformazione della materia storica che si fonda sull'evidenza della produzione. È in questa materia storica che il pratico trova la sua forza principiale. Si tratta di capire che sul fondamento del significato esiste ogni determinazione, anche questa di Marx, che vorrebbe anticipare ciò che necessariamente l'anticipa.

ID65728 - 20/04/2016 00:31:57 - (ANELE) -

Marx dice chiaramente che la storia non altro che la successione delle singole generazioni, ciascuna che sfrutta materiali, capitali, forze produttive che le sono stati trasmesse da tutte le precedenti generazioni , l'attivita' che ha ereditato. Crede davvero che la storia sia solo questo? O la storia porta con s diritti umani e cambiamenti per la dignita' dell'uomo...? L'uomo solo pratica o un essere pensante ? Ci stata donata la vita per pura pratica o perch siamo animali pensatori ? Siamo tutti animali pratici o animali con anima che colgono nell'evolversi della storia anche i sentimenti? Abbiamo abolito la schiavitu' solo per pratica?

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