Mònega e fogàra

Con l'arrivo della primavera, sono in molti quelli che salgono alle proprie baite di montagna per arieggiare le stanze e sistemare la casa, in vista dell'estate e delle grigliate.

In Valle Sabbia, una volta costruita la casa familiare, cominciavano i lavori per quella in montagna, posto che non fosse ereditata dai genitori.
Per i locali, la casa in montagna era un luogo di villeggiatura, oltre che dimora dove poter controllare e lavorare i terreni che stavano più in alto, senza doversi spostare ogni giorno.

E come asciugare l'umidità delle case di montagna, che d'inverno s'infiltra tra le pareti e sotto al pavimento?
Oltre al fuco e le stufe, per i letti, si usava la mònega.

Nell'italiano corrente il termine mònega non esiste: pare arrivi dal dialetto veneto.
In Italiano il corrispondente sarebbe scaldaletto, anche se non indica precisamente la struttura in legno dotata di due archi che manteneva le coperte rialzate, mentre sulla base stava appoggiata la fogàra, contenete cenere e braci.

A sua volta, tuttavia, il termine mònega è la traduzione dialettale di “monaca”, con cui si faceva riferimento alla struttura per impedire che le coperte si bruciassero, anche chiamata “prete”, probabilmente per alludere alla segretezza e al fatto che fosse un oggetto nascosto, che non si vede.