01 Luglio 2015, 07.35
Filosofia

Urano e Gea

di Nicola Zanoni

Esiste un mito, un mito antico. È, come ogni mito, un mito crudele e vero - un mito greco. Narra di lordure e sangue e, poiché la vita - se non tutta almeno gran parte - è lordura e sangue, è anche un mito doloroso, o ridicolo - il che poi è lo stesso...


Il mito che racconta di come Crono, il padre di tutti quegli dèi che i più conoscono, ghermì il potere e divenne del cosmo sovrano.
Lo fece, come da sempre avviene, con l’inganno, il pretesto, la forza - ma saremmo in errore a giudicarli strumenti malvagi.

La storia, è sempre la stessa.
Di un maschio - un dio, ancora - Urano, che copre una femmina - Gea - controvoglia.
E lo fa senza posa, tanto ne sente la voglia, che nemmeno ha tempo di uscire dal ventre di lei, che nemmeno la lascia sgravarsi dei figli concetti.
È un nume tremendo, il Cielo (è Urano) che opprime la Terra (Gea); sicché questa ha da trovare rimedio alle doglie mancate.

Ma un rimedio, se è cura per chi ne abbisogna, è anche mortale per chi lo subisce - il morbo, cioè.
Così Gea prende il figlio suo Crono (il Tempo) e da dentro - si dice sia quanto una madre sia in grado di fare coi figli - gli parla, lo ammalia, seduce - lo schiuma di rabbia contro il padre, quel Cielo inumano, che solo da dentro permette al figliolo d’immaginarsi la madre, che solo da dentro e da dentro soltanto consente a lui e ai fratelli d’esistere, stipati in un ventre che è tomba impietosa.

È un mito - si sa, si perdoni - ma la storia continua.

Dicendo che Crono impugna un falcetto d’argento, nella mancina, ed il padre - quel che di quello può prendere - nella destra.
Dicendo che recide, Crono, e che sanguina, il cielo - Urano. E che respira, la terra, e non geme, e che Crono e i fratelli possono nascere infine, e che il mondo conosce dominio, e potenza, e vita - e qui, o quasi, il mito finisce.


Breve davvero dei mortali il cammino, se oggi quei miti ancora ci abitano.

Fu il Novecento ad avvampare per loro di febbri - Freud, Kafka o Mann per citarne solo qualcuno che col lontano nostro racconto abbia a che fare - ma è nel XIX secolo che il germe s’annida.
Facciamo tre nomi, di nuovo: Schopenhauer, Dostoevskij e Nietzsche, infine - nomi tremendi, impietosi.

Chi ama dei Greci la voce non può che ammirarli.
Pensate. Un mondo che cambia, veloce: macchine, strade, carrozze di treni attraversano timidamente un’Europa finora immutata, dal Medioevo.
La Scienza, il Progresso, l’Illuminismo. In Francia, la Rivoluzione prima e la grandeur poi.
La tour Eiffel - dirigibili, mongolfiere, si sogna la luna. Poi, le rivolte operaie, i primi sindacati, Marx: che c’entrano ormai, i Greci?

Il mondo va avanti, indietro non torna, né deve.

La vita - migliora... E se non lo fa, lo farà: è certo. I Greci? Favole, racconti soltanto.
I Greci? Lontani antenati.
Di Schopenhauer allora fu il merito di ricordare, a quei giovanotti di scarsa memoria, che la vita è tragedia - e non già perché si è sventurati, accade qualcosa di imprevisto o imprevedibile, o perché si muore.

La vita è tragedia perché è vita - perché vivendo esistiamo.
Non è qui il caso di stabilire chi abbia ragione - se l’Illuminismo o Schopenhauer (e con lui i Greci) o il Cristianesimo, che parla di amore e passione: crediamo sia quello compito del cuore di ognuno.
Conforta però sentire che non sbagliamo del tutto se, al mattino, non vogliamo svegliarci. Che non siamo ciechi se pur non vogliamo vedere. Che non siamo perdenti se anche accettiamo di esser sconfitti.

E fin qui, Schopenhauer.
Che però si preoccupa (e molto) di non farci aspettare ricompensa nel cielo - quel cielo da cui abbiamo iniziato.
E contro il quale poco dopo Nietzsche, novello Crono, si scaglia, furente. - Il cielo? - inveisce - Che cielo? Chi ha bisogno di un cielo?! Il cielo - non c’è.
E se c’è (ma non c’è) è malvagio, crudele, assassino - ed uccide la terra.

Come Urano con Gea.
Come - dice Nietzsche - Dio fa con noi, che gli crediamo. Noi siamo - così si può dire - la prole rinchiusa nel grembo della terra, ancora da nascere.
E che si debba usare violenza al padre, per uscirne, è tema abusato: Freud e la psicanalisi insegnano.

Forse, è eccessivo. Gli incesti, gli stupri, i parricidi del mito… forse è eccessivo. Ma! Eccessiva è la vita, nella sua brutale ripetitività, banalità, sordità di dolore.
E chi ha coraggio, chi non si rassegna (come Nietzsche rimprovera a Schopenhauer e al Cristianesimo di aver fatto) non le si prostra vinto, ma la vive comunque, come vive la guerra un soldato: armato, e feroce.


Ci riesce difficile credere a Nietzsche. Ci riesce difficile poiché, rinarrando le storie dei Greci, ci ritrae brutti, e deformi, e maligni - e son cose, certo, difficili a credersi, per chi si racconta di essere buono. E perché è violento, e feroce, e distrugge.
Ma che “il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno” non sono parole sue, ma del Cristo (Mc 13, 12) - il quale è venuto a portare non la pace, ma la spada. E a lui, se non a Nietzsche, si può credere.


Il mito poi, quel mito, continua.

I miti - non finiscono, loro. Racconta di come dal membro del cielo scagliato nel mare sia nata Afrodite - la Venere di tanti bei quadri, dell’amore dea  - e le Vendette, che albergano nel cuore dell’uomo.
E forse, son miti soltanto.

Questo articolo trova la sua ragion d’essere nel corso di filosofia morale tenuto dal professor Luciano Pace presso la Biblioteca comunale di Odolo - corso nel quale oltre al pensiero di Nietzsche (su cui qui un poco si riflette) s’è presentato anche quello di sant’Agostino, nonché di Luigi Pareyson.
Ci auguriamo davvero che sia ripetuto, in futuro.

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Commenti:
ID58859 - 01/07/2015 08:32:30 - (Dru) -

"E' proprio del filosofo essere pieno di meraviglia: e il filosofare non ha altro cominciamento che l'essere pieno di meraviglia" Platone, Teeteto, 155 D

ID58861 - 01/07/2015 09:13:37 - (Dru) -

Certamente quest'articolo tocca un tasto dolente, e cioè quello della nostra cultura, la quale pensa di potersi disinteressare del pensiero greco e di non aver nulla a che fare con esso. Invece si tratta di rendersi conto che non solo la nostra cultura, ma l'intera nostra civiltà si sviluppa all'interno delle categorie che sono state espresse per la prima volta dal pensiero greco. Ci sono anche dei segnali che fanno capire l'importanza dei Greci e in particolare modo di Parmenide. È vero del resto che oggi qualche autore - ad esempio Popper - si interessa di Parmenide, e in generale c’è il segnale che non si tratti proprio di uno sconosciuto. Per quanto riguarda i filosofi antichi, sappiamo che ad esempio Platone lo chiama "venerando e terribile". Aristotele, che in genere è così compassato, dice che quelle di Parmenide sono maníai, cioè follie.

ID58862 - 01/07/2015 09:15:02 - (Dru) -

Eppure questa "pazzia" di Parmenide è il punto di riferimento per l'intera storia del pensiero filosofico. Si tratta di capire che il pensiero greco stabilisce il terreno su cui noi oggi ci muoviamo, si tratta del terreno che potremmo chiamare ontologico. Ontologia", questo termine così tecnico, vuol dire riflessione sul senso dell'essere e del niente. Queste due parole, "essere" e "niente", sembrano estranee al linguaggio nostro di tutti i giorni, ai nostri interessi, all'articolazione concreta del sapere scientifico; eppure queste due categorie costituiscono l'ambito all'interno del quale tutta la storia dell'Occidente è cresciuta, e si tratta anche di comprendere che queste categorie sorgono per la prima volta con i Greci. Questo è importante perché i Greci non solo portano alla luce una teoria, cioè una comprensione del mondo che non era mai apparsa, ma anche una comprensione del mondo che consente di porsi come la prima grande forma di

ID58863 - 01/07/2015 09:16:28 - (Dru) -

rimedio contro il dolore.

ID58864 - 01/07/2015 09:18:29 - (Dru) -

Aristotele dice che la filosofia nasce dalla meraviglia, e la parola che egli usa per indicare la meraviglia è yaËma (thaûma). Ma anche qui, come in tutte le grandi parole del nostro linguaggio, thaûma non significa semplicemente la meraviglia ma vuol dire anche terrore, vuol dire il terrore di fronte all'angosciante. Non sto dicendo, alla Nietzsche, che la forza della teoresi, la forza della teoria sta nella sua capacità di risolvere i problemi pratici; non è stato certo questo l'intento dei greci e si può giustamente rilevare che i filosofi greci abbiano avuto innanzi tutto la vocazione per la teoria disinteressata, contemplativa. Ma intendo dire che proprio il carattere disinteressato della teoria, e cioè il suo essere verità, consente di affrontare il problema dell'esistenza e della vita.

ID58865 - 01/07/2015 09:20:17 - (Dru) -

Il problema della vita è innanzitutto la terribilità del dolore: allora io non sostengo che l'unico valore della teoria consiste nel suo essere semplicemente uno strumento in base al quale, conoscendo come stanno le cose, si fa argine contro il dolore; dico che proprio perché la teoria intende essere verità - e cioè non una teoria qualsiasi ma la teoria assolutamente vera - proprio questo consente di andare incontro al dolore con occhio diverso da quello che gli uomini possiedono quando ancora non sanno. A tale proposito bisogna vedere qual è il rapporto tra teoria e dolore, perché anche il modo in cui spesso si tratta Parmenide prescinde da questa tematica, isolando il momento teorico; al contrario o credo che Parmenide dia la prima grande risposta al problema del dolore

ID58866 - 01/07/2015 09:22:28 - (Dru) -

Dicevo prima che i Greci portano per la prima volta alla luce il senso dell'essere e del niente. Se noi crediamo di morire senza saper nulla del senso del niente - e quindi del senso dell'essere a cui il niente si contrappone - la nostra morte è profondamente diversa dal modo in cui moriamo quando sappiamo che noi andiamo nel niente. Questo vuol dire qualcosa di eccezionale e cioè che con i Greci gli uomini incominciano a morire - e quindi a nascere - in modo diverso da come nascono e muoiono prima dei Greci, prima di saper qualcosa del niente. I Greci evocano questo significato terribile e radicale - il significato del niente - nella sua contrapposizione infinita all'essere, come l'assoluta negatività che non ha alcunché dell'essere.

ID58867 - 01/07/2015 09:23:47 - (Dru) -

In questo modo il processo del mondo acquista un carattere estremamente angosciante, proprio perché il pensiero greco e questa cosa apparentemente astratta che è l'ontologia - la riflessione sull'opposizione infinita tra l'essere e il niente - evoca la minaccia estrema, quella dell'esistenza portata innanzi dall'annientamento delle cose. Ma il Greco evocatore della minaccia estrema é insieme il Greco che va alla ricerca del rimedio contro la minaccia estrema. Parmenide, trovandosi proprio all'inizio di questo processo è l'evocatore; infatti non abbiamo notizia che prima di Parmenide si sia parlato dell'essere o del niente, della contrapposizione infinita tra l'essere e il niente. Il modo in cui Parmenide pensa è un modo singolare - e poi si tratterà di vedere che ne è nella storia della nostra cultura di questa singolarità.

ID58868 - 01/07/2015 09:28:32 - (Dru) -

Parmenide evoca l'estrema minaccia, la contrapposizione infinita tra l'essere e il niente, ma insieme evoca il modo singolare di costruire un rimedio contro questa minaccia: il rimedio è dato dalla metafisica e l'ontologia.. In che modo Parmenide pone il nulla nella condizione di non nuocere? Parmenide si trova in una posizione singolare perché in un certo senso dà la prima risposta dell'Occidente alla minaccia e al carattere nocivo del niente, dell'annientamento delle cose, interrogandosi sul significato del niente; in un cert'altro senso è il punto di maggiore vicinanza dell'Occidente all'Oriente. Vorrei fermarmi su questo punto. In generale la prima grande soluzione, la prima grande forma di rimedio al dolore è la filosofia: se noi dovessimo fare rapidamente l'elenco delle forme di rimedio dell'Occidente dovremmo dire che la prima è la filosofia, cioè il fatto di sapere in modo incontrovertibile il senso del mondo, il senso unitario

ID58869 - 01/07/2015 09:31:05 - (Dru) -

del mondo. Poi la grande forma di rimedio è - quando l'esperienza antica del pensiero filosofico è andata al tramonto - il Cristianesimo e poi la scienza. La posizione di Parmenide è singolare perché è anche il punto di maggiore contatto con l'Oriente. Qual è infatti la soluzione che la filosofia dell'Occidente dà al problema del dolore e dell'annientamento? Che cosa ci angoscia quando noi abbiamo a che fare con il dolore? Non parlo del dolore che noi attualmente patiamo, perché ciò che patisco in questo momento - poniamo - ormai è accettato, è lì e non c'è nulla da fare, perché ormai è recepito. Mi riferisco invece all'angoscia del fatto che il dolore abbia a continuare, facendoci chiedere: "che ne sarà di me tra un momento, domani, tra un anno? Continuerà questo dolore?"

ID58870 - 01/07/2015 09:33:33 - (Dru) -

Voglio dunque dire che l'angoscia si riferisce all'imprevedibilità del futuro, e in questo caso il rimedio non può essere altro che la previsione del senso del tutto; ecco perché prima ho parlato anche di scienze, perché la previsione scientifica sarà in un certo senso l'erede della previsione filosofica. Previsione filosofica vuol dire §pistÆmh (epistéme), questa grande parola greca che significa, alla lettera, la capacità di stare; "steme" deriva infatti dal verbo ·stasyai (hístasthai), la capacità di stare, mentre epí vuol dire sopra: dunque si tratta di "stare sopra tutto ciò che intende negare ciò che sta". Ciò che sta è l'apertura di senso, l'apertura del senso del tutto che intende stare e che si ritiene capace di imporsi su ciò che presume negarla, e insieme su tutti gli eventi che sopraggiungono e che costituiscono quello che oggi noi moderni chiameremmo

ID58871 - 01/07/2015 09:35:37 - (Dru) -

la novità della storia. L'epistéme è al di sopra di ogni innovazione storica: questo è stato il grande sogno della filosofia da Parmenide ad Hegel. Se si conosce incontrovertibilmente, stando sopra ogni negazione e ogni evento sopraggiungente, il senso del tutto, allora si è in grado di prevederlo e la previsione rende spiegabile il dolore. "Perché il dolore, dice Eschilo, getta nella follia?" Proprio perché non ha senso fintantoché non si vede il senso del tutto. Ebbene la soluzione di Parmenide è singolare, perché successivamente l'Occidente intenderà costruire un sapere che sta sopra la minaccia del divenire controllandola, guidandola e quindi costruendo al di sopra di esso quella serie di strutture immutabili che vanno dal Dio teologico al Dio cristiano, alle strutture necessarie secondo le quali si sviluppa la storia.

ID58872 - 01/07/2015 09:38:36 - (Dru) -

Parmenide adotta un'altra strada che non sarà percorsa dall'Occidente - dicevo prima che era la strada più vicina all'Oriente. Di fronte al divenire l'Occidente dice: "Tu non mi minacci più perché io ti prevedo e quindi prevedo il senso di ciò che tu, divenire, fai irrompere su di me". Prevedendo il senso di ogni irruzione, l'irruzione non è più l'imprevedibile angosciante e il dolore acquista senso: lo stesso annientamento si inscrive in un ordine. Questa è la voce della filosofia dell'Occidente dopo Parmenide. La sua voce invece è diversa e singolarmente vicina all'Oriente perché Parmenide dice al divenire: "Tu non esisti". Questo è molto singolare, perché tutto il pensiero, non solo filosofico, dopo Parmenide dice al divenire: "Tu esisti ma io ti domino"; e chi parla è appunto il rimedio, cioè il sapere epistemico.

ID58873 - 01/07/2015 09:45:14 - (Dru) - Ora, io faccio i complimenti a chi si sforza di sapere

e in special modo a Nicola Zanoni per il suo preziosissimo contributo qui. I miei post sono parole di Emanuele Severino, e per chi avesse voglia di leggerne la fine, esse sono scritte meglio in un intervista in Filosofico.net.

ID58877 - 01/07/2015 11:39:01 - (Dru) - Quindi

se qualcuno di voi, qui lettori e interlocutori, lo vorranno, significherò cosa intende praticamente la filosofia quando assurge a sovrana di ogni sapere e cosa vogliono significare queste parole dal contorno ambiguo "la nostra cultura pensa di potersi disinteressare del pensiero greco e di non aver nulla a che fare con esso. Invece si tratta di rendersi conto che non solo la nostra cultura, ma l'intera nostra civiltà si sviluppa all'interno delle categorie che sono state espresse per la prima volta dal pensiero greco".. Sono molti post, ma varrebbe davvero la pena di interessarsene...

ID58879 - 01/07/2015 11:52:54 - (Dru) - Questa la pagina di storia che non può fare a meno di Parmenide

4. Critica del concetto marxiano dell'oggettività. Da "Abitatori del nostro tempo", sempre dell'immancabile Emanuele Severino, nominato "doctor Implacabilis"

ID58880 - 01/07/2015 11:54:13 - (Dru) -

Anche nella sua Intervista Colletti riprende la critica marxiana del '44 all'annullamento dell'essere, perpetrato dalla filosofia hegeliana. Egli mette in rapporto questo annullamento al concetto hegeliano di unità degli opposti (intesa, sappiamo, come contraddizione e non come toglimento di questa): separato dal pensiero, il finito è un niente e solo nell'unita col pensiero esso è ed è ciò che è. Rivendicando la positivita dell'essere indipendentemente dalla sua relazione al pensiero, Colletti si colloca appunto in quella prospettiva della separazione, che per altro egli non riesce ad assumere nella sua radicalità, perché concepisce erroneamente l'unita degli opposti come «contraddizione dialettica» (contraddizione non tolta) e, insieme, come quell'«indivisibilità» che lungi dall'essere contraddizione non tolta è "ciò la cui divisione e separazione produce la contraddizione"

ID58881 - 01/07/2015 11:56:15 - (Dru) -

(Virgolette mie) si che quando egli assume il punto di vista della separazione e dell'intelletto per rivendicare la positività del finito nella sua indipendenza dal pensiero, non lo fa perché si rende conto del carattere dogmatico dell'unità necessaria, ma perché questa unità gli appare appunto (erroneamente) come contraddizione (non tolta). Comunque e proprio in questo momento che egli compie lo sforzo maggiore di rottura con la filosofia e di maggiore avvicinamento a quella logica del"la separazione che è la logica della scienza e del capitalismo" (virgolette mie). E d altra parte: si rende conto Colletti che quando, nei dintorni di p. 80 della sua Intervista rivendica la separazione dell'essere e del finito dal pensiero, rivendica proprio quella separazione che, nei dintorni di p. 108, egli, con Marx, qualifica addirittura come «il tratto specifico del capitalismo», cioè come un vizio di cui soltanto il

ID58882 - 01/07/2015 11:57:02 - (Dru) -

capitalismo sarebbe affetto? Molto meno pacifico, invece, che Marx, nei '44, rivendichi in nome dell'intelletto e della separazione l'indipendenza e la positività dell'essere finito. Da quando son saltate fuori, quelle pagine della Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale hanno combinato molti guai, non ultimo quello «choc», quell'«impressione sconvolgente» che Lukacs dice di aver provato leggendole per la prima volta.— L'uno e l'altra, forse, fuori posto, anche perché, con tutto il rispetto per queste pagine di Marx, e un po' difficile rendersi conto che la loro lettura abbia avuto la forza di trasformare demblee da idealista hegeliano in realista della Widerspiegelungstheorie un pensatore di quarantacinque anni come Lukacs. Nella questione decisiva sono pagine ambigue.

ID58883 - 01/07/2015 11:58:12 - (Dru) -

E in questo senso ci si spiega come possano essere interpretate (come accade in Colletti) come rivendicazione dell'oggettività del finito in nome dell'intelletto separante. Nella formulazione «onnilaterale» del «superamento dell'oggetto della coscienza» nella Fenomenologia hegeliana, Marx trascrive quasi alla lettera questa condizione del superamento: «La coscienza deve parimente rapportarsi all'oggetto secondo la totalità delle determinazioni di questo e averlo cosi compreso secondo ognuna: e... questa totalita delle sue determinazioni fa dell'oggetto in sé un ente spirituale, e per la coscienza questo avviene in verità per il suo comprendere ciascuna delle medesime come determinazione a quello, o per il suddetto rapporto spirituale ad esse».

ID58884 - 01/07/2015 11:59:44 - (Dru) -

— In questo passo, Marx awerte con completa chiarezza non solo che il «superamento dell'oggetto della coscienza» e insieme un mettersi in rapporto con la totalità delle determinazioni dell'oggetto, ma che proprio questa totalita di determinazioni rende (senza residui, e quindi «in sé») l'oggetto un «ente spirituale», cioe realta concretamente unita al pensiero. Il «superamento» dell'oggetto è cioe, in Hegel, la riassunzione, il mantenimento, la conservazione di tutte e di «ciascuna» determinazione dell'oggetto. Fuori dubbio, quindi, che il superamento dell'oggetto e la coscienza della sua «nullità» non hanno nulla a che vedere con l'affermazione di una coscienza in cui siano scomparse le determinazioni dell'oggetto. Marx si rende cioè perfettamente conto che la soppressione dell'oggetto e l'affermazione della sua nullità ha «il significato di sopprimere

ID58885 - 01/07/2015 12:00:47 - (Dru) -

l'oggettività [Gegenstandlichkeit ], in quanto non il carattere determinato dell'oggetto, bensì il suo carattere oggettivo è per l'autocoscienza lo scandalo dell' alienazione»:— "per Hegel l'oggetto è una nullita non perché esso sia determinato, ma perché è oggettivo" (virgolette mie); appunto per questo suo «carattere oggettivo» esso è «un che di negativo, che si sopprime da se, una nullita ».— E l oggettività dell'oggetto è l'oggetto in quanto si costituisce come qualcosa di «autonomo e di essenziale di fronte all' autocoscienza», — come indipendente ed esterno rispetto al pensiero. Qualcosa che «sta di fronte con pretesa di realtà» rispetto ad esso: — si tratta di una «pretesa di realtà», perché l'oggetto non riesce a porsi per davvero come reale indipendentemente dal pensiero, ma è quest'ultimo

ID58886 - 01/07/2015 12:02:45 - (Dru) -

che, allienandosi, pone l'oggetto come qualcosa di «autonomo e di essenziale», cioe «pone la cosalità». Il pensiero separa da sé il proprio contenuto; che, cosi separato, e poi saputo come una nullità. Al concetto hegeliano di «superamento dell'oggetto della coscienza», Marx contrappone subito dopo il proprio «compiuto naturalismo o umanismo», in cui viene soprattutto difesa l'«oggettività» dell'uomo. Ed è chiaro che solo sul fondamento di questa oggettività Marx può contrappore al concetto hegeliano di alienazione («che l'ente umano si oggettivi a differenza e in opposizione all'astratto pensiero») il proprio: che cioe «l'ente umano si oggettivi disumanamente in opposizione a se stesso».— Dapprima, il testo marxiano afferma che l'«uomo reale» non è autocoscienza, ma «un ente vivente, naturale, munito e dotato di forze

ID58887 - 01/07/2015 12:05:19 - (Dru) -

essenziali oggettive, cioe materiali». — «Oggettivo», qui, significa «materiale». Per Hegel, invece, «l'uomo vale come ente non-oggettivo, spiritualistico». — Ora, Hegel puo accettare che l'uomo sia «non materiale», intendendo appunto che «materiale» significhi, secondo un uso molto vecchio della parola, «autonomo ed essenziale» di fronte all'altro «autocoscienza»,— «oggettivita fuori del sapere».— Se invece il termine «materiale» indica le determinazioni sensibili dell'oggetto, allora la «appropriazione dell'ente oggettivo mediante la soppressione della sua alienazione» è appropriazione anche della materia. (Si ricordi che per Hegel l'oggetto diventa un «ente spirituale», solo in quanto esso è la «totalita delle sue determinazioni».) Comunque, per Marx, «è del tutto ovvio» che un

ID58888 - 01/07/2015 12:06:19 - (Dru) -

ente dotato di forze oggettive, cioe materiali «abbia degli oggetti reali e naturali del suo essere», cioe si rapporti a «un modo reale... avente la forma dell esteriorità, dunque non appartenente all'essere dell'uomo», dunque «predominante e oggettivo». «Non c'è niente d'inconcepibile e misterioso in questo. Il contrario sarebbe piuttosto un mistero».— Il contrario è quello che pensa Hegel: Hegel cioè pensa il contrario di una cosa «del tutto owia», che non ha nulla di inconcepibile e misterioso; mentre è misterioso quello che pensa Hegel. Marx ha ragione: questo mondo reale, oggettivo, esterno e non appartenente all'essenza dell'uomo e in cui l'uomo si trova è veramente «del tutto ovvio»: e il mondo di cui è convinto anche il cameriere di Hegel e che Hegel analizza, nella Fenomenologia, come "contenuto della certezza ancora scissa dalla verità"

ID58889 - 01/07/2015 12:07:36 - (Dru) -

Voglio dire che si puo concedere a Hegel di sapere quello che sapeva il suo cameriere, e che è opportuno sforzarsi di capire (Feuerbach lo faceva) quali sono le ragioni per le quali, ciò nonostante, Hegel rovescia le convinzioni del proprio cameriere affermando che l'uomo è autoscienza; dopo di che si potrà mostrare che quelle ragioni non stanno in piedi e che Hegel ha torto rispetto al proprio cameriere. Non si puo dire che nel manoscritto di Marx ci si preoccupi troppo di far questo - e Marx era liberissimo di non preoccuparsene, perché non e stato lui a pubblicare queste sue pagine. Sta di fatto però che quanti le leggono debbono rendersi conto che il testo marxiano non ha fatto altro, fino a questo punto, che contrapporre al punto di vista hegeliano quello di un naturalismo di senso comune.

ID58890 - 01/07/2015 12:08:47 - (Dru) - c'è il seguito... Qualcuno lo vuol ascoltare ?

E che dunque si tratta di controllare con estrema attenzione quali sono le ragioni che gli consentono, dopo uno sviluppo del pensiero filosofico che da Cartesio a Hume, da Kant a Hegel ha voltato le spalle al realismo naturalistico, di ritornare a questa forma di pensiero.

ID58891 - 01/07/2015 12:14:46 - (Dru) - perché come scriveva sopra sempre il nostro..

Questo è importante perché i Greci non solo portano alla luce una teoria, cioè una comprensione del mondo che non era mai apparsa, ma anche una comprensione del mondo che consente di porsi come la prima grande forma di rimedio contro il dolore. Quindi, secondo la mia opinione è errato insistere e considerare il pensiero greco, sin dalle sue origini, come una mera elaborazione teorica che non abbia il compito di prendere posizione rispetto a ciò che vi è di più angosciante nell'esistenza, e cioè il dolore. Io credo che la nostra riflessione potrebbe procedere cercando di vedere quali sono i rapporti tra le categorie dell'ontologia greca e il dolore dell'esistenza. Questo significa non saper ascoltare, significa l'incomprensione dell'essere.

ID58894 - 01/07/2015 13:08:49 - (Dru) - traduzione

L'Unione non ha bisogno di essere separata, ma quando è Separazione, cioè forza di qualcosa separato da sé stesso, è appunto volontà, è fede nella possibilità di quanto in Verità è l'impossibile : l'unione della Separazione è logos, la separazione dell'Unione è la Verità. In quanto logos, l'unione della separazione è la volontà o forza o episteme che i separati siano uniti, in quanto verità l'unione concede, all'interno della verità della contraddizione, la separazione, ma come parti dell'inseparabilità del tutto al suo essere...

ID58895 - 01/07/2015 13:12:06 - (Dru) - Se non comprendete

significa che siete sordi, tutt'altro che degli ascoltatori.

ID58896 - 01/07/2015 13:17:28 - (Dru) - Semplicemente

ottusi

ID58897 - 01/07/2015 13:18:00 - (Dru) - Che significa

separati dall'essere.

ID58906 - 01/07/2015 14:11:11 - (Dru) -

Perché ci sia Separazione è presupposta l'unione, perché ci sia Unione non è presupposta la Separazione, ma è in qualche modo posta, nel modo della separazione appunto, ciò che non è per altro separabile, non è totalmente il separato se non come l'alienazione della verità dell'essere . La presupposizione è credere che vi sia posto qualcosa che non è di per sé posto ma è posto dogmaticamente.

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15/04/2024

«Foglie al vento», Kaurismaki chiude la quadrilogia sul lavoro

Questo mercoledì, 17 aprile, al Cinema di Vestone la commedia amara del regisa finlandese, chiusura di una quadrilogia iniziata nel lontano 1986

14/04/2024

Gli attrezzi in legno di 4000 anni fa

Inaugurata alla presenza delle autorità la mostra “L’età del Legno. 4000 anni fa al Lucone” presso il Museo archeologico della Valle Sabbia

13/04/2024

La luce di Annalisa Durante

Annalisa Durante, la torcia che diffonde luce dovunque sia raccontata la sua storia

12/04/2024

Testimoni di Geova, la campagna contro le tossicodipendenze

La sezione valsabbina dei Testimoni di Geova è impegnata in un'importante campagna mediatica per combattere un fenomeno che coinvolge ormai circa 300 milioni di persone nel mondo

11/04/2024

«Colore!»

L'associazione culturale salodiana “Il Salòttino” inaugura la nuova stagione di mostre questo sabato, 13 aprile, alle 18 con un vernissage

10/04/2024

Bagolino in corsa per far parte dei Borghi più belli d'Italia

Passa alla fase di “verifica sul campo” il comune valsabbino, che aveva avviato il percorso per ricevere il prestigioso riconoscimento nel 2024

10/04/2024

Testimoni sempre vivi

Questo sabato, 13 aprile, l'Amministrazione comunale e l'Ateneo di Salò ricordano la strage di Piazza Loggia in occasione del 50° anniversario

10/04/2024

In mostra manufatti in legno e tessuti di 4000 anni fa

Sarà inaugurata sabato presso il Museo Archeologico di Gavardo un’importante mostra sui ritrovamenti del sito palafitticolo del Lucone, fra i quali la porta in legno più antica d’Italia

10/04/2024

Dallo scavo alla vetrina del museo

Il direttore del Mavs Marco Baioni spiega il percorso che compiono i reperti, in particolari quelli in legno e in fibre vegetali, particolarmente deperibili, dal ritrovamento alla loro conservazione