21 Dicembre 2007, 00.00
Anfo
Ciclismo su strada

Frapporti, la fatica per piacere

Il bresciano che debutta tra i professionisti con la CSF Group-Navigare dei Reverberi ha un solo obiettivo: Mi basta dimostrare che la bici puň diventare il mio lavoro. Da tenere d'occhio.

Chissà come doveva essere due o tremila anni fa: magica. Tanto da sedurre addirittura gli etruschi. La Val Sabbia, che avrebbe potuto chiamarsi la Valle dell’acqua per le sorgenti, i torrenti e i fiumi, o la Valle Incantata per quelle montagne che la dominano, dalla Corna Blacca al Cornone del Blumone. Oggi la Val Sabbia è abitata da bresciani a due ruote. Come Marco Frapporti: nato a Gavardo, cresciuto a Lavenone, residente ad Anfo.
Cominciamo dalla Val Sabbia?
"Fresca d’estate, gelida d’inverno. Negli ultimi 10 giorni la temperatura non si è schiodata da sotto zero. E la strada, tutta su e giù. Per trovare un metro di pianura, bisogna fare 30 chilometri. Poi finalmente si respira".
Ideale per la bici?
"L’ultima tappa del Giro d’Italia 2007 è partita da qui: Vestone. Posti un po’ dimenticati: non ci arrivi per caso, ci devi venire apposta. Una fortuna per il ciclismo, meno per le industrie. Avevo 10 anni e mezzo quando, seguendo l’esempio di un cugino, ho provato a partecipare a una corsa".
Com’è andata?
"Avevo una Bianchi usata e strausata, praticamente distrutta ancora prima di cominciare. Però con quel suo bel colore originale, tra il verde e il celeste. I giudici addetti al controllo, quando hanno visto me e soprattutto la bici, mi hanno detto: "Va’ pure, tranquillo". Che significa: tanto non c’è pericolo che tu possa vincere. Infatti la corsa l’ho finita, ma da disperato. Mi allenavo da due settimane. Pensai: che fatica. Però dissi: mi piace".
Le piaceva la fatica?
"Sì, mi è subito piaciuto quel senso di stanchezza che ti cancella le forze e ti placa lo spirito. Quell’anno non ottenni risultati. Ma l’anno successivo sì, qualche vittoria, quasi sempre in volata".
E la scuola?
"Sono cresciuto in modo selvatico. In quello che mi piaceva, mi applicavo. In quello che non mi piaceva, cercavo di fare il minimo indispensabile. Diplomato geometra, ma senza passione".
E i genitori?
"Si sono appassionati con me al ciclismo. E quando anche mia sorella minore, Simona, ha voluto dedicarsi alla bici, allora hanno organizzato una squadra. Ridendo e scherzando, hanno riunito una settantina di minicorridori, tutti della valle. Mamma Erminia presidente, papĂ  Danilo vicepresidente. PiĂą accompagnatori, allenatori e mezzi".
Poi?
"Due anni da allievo con Bruno Giacomini, altri due da junior con Marco Artunghi. Giacomini ci diceva: la cosa più importante è divertirsi. Allenamenti martedì e giovedì, lui era contento se facevamo i suoi giri, se partecipavamo alle corse, se arrivavamo in fondo, o se magari si vinceva. Artunghi, gregario di Marco Pantani, mi ha insegnato ad allenarmi come si deve, a interpretare le corse, a vivere con i compagni, e a non buttare via tutte le gare, anche sfruttando il lavoro degli altri".
E da dilettante?
"Con Bruno Leali. Otto vittorie, infiniti secondi posti, due clavicole rotte. Adesso il passaggio tra i professionisti, con la CSF Group-Navigare dei Reverberi. Il giorno della firma mi hanno detto: speriamo di avere fatto un affare. Gli ho risposto: non ve ne pentirete".
Perché?
"Perché al Piccolo Giro di Lombardia ho vinto per distacco, gli ultimi 45 chilometri da solo, e gli ultimi tre godendomeli. Tagliare il traguardo da solo è un’emozione che vale più di qualsiasi podio, miss, mazzo di fiori e premio in soldi".
Ha un’ispirazione?
"Pippo Pozzato. Spero di avere le sue caratteristiche, mi piacciono le corse adatte a lui, poi ho avuto anche il piacere di conoscerlo. A volte può dare l’idea di essere un tipo mezzo matto, ma sa che cosa vuole, e soprattutto sa come conquistarlo".
Il giorno in cui incontrerĂ  Bettini?
"Gli farò i complimenti. Poi cercherò di stargli dietro, almeno in gruppo".
E lei che cosa sogna?
"Mi basta dimostrare che la bici può diventare il mio lavoro. Capire se dovrò rimanere un gregario o diventare un vincente. Scoprire le corse, a cominciare dal Costa degli Etruschi. Aiutare, fare bella figura e continuare sulla strada del ciclismo. Che è conoscere se stesso, stare con gli altri, essere leale e sacrificarsi".
Ma non aveva detto che il bello del ciclismo è la fatica?
"Stringere i denti, non mollare, tenere duro quando si va fuori giri. Il bello è quando ci riesci".

Marco Pastonesi dalla Gazzetta dello Sport


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