14 Novembre 2015, 13.40
Una riflessione

Strage di Parigi, fermati e capisci

di Mirella Prandelli

Stavo per scrivere un pezzo sui proverbi di novembre, quelli locali, i nostri. Poi mi sono detta che quello che è successo venerdì sera a Parigi, per quanto fosse a Parigi, è una cosa estremamente locale, che tocca tutti noi


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Apparentemente cambia poco nella nostra vita: continuiamo svegliarci ogni mattina, ad andare al lavoro ascoltando la radio in macchina. Ma questi eventi trasformano profondamente il mondo, fatto anzitutto dai nostri pensieri, dalle nostre azioni e da come decidiamo di educare i bambini a scuola, con quali informazioni, con quali libri.

Ciò che è accaduto ieri sera a Parigi è straziante. Uno va a teatro per ascoltare il concerto del suo gruppo preferito, magari ha trovato i biglietti all'ultimo, invitando persino quella ragazza con cui di solito non ha il coraggio di parlare e poi la vede esplodere nel sangue, prima di morire. Non ci sono  moderatismi intellettuali davanti ad un episodio del genere. Non sorprende dunque che in molti esprimano il proprio odio sui social, su Facebook, con insulti razzisti, unilaterali, biechi. In effetti è difficile resistere alla tentazione.

Io però chiedo a me stessa di resistervi. Lo dobbiamo alla storia, al mondo, all'umanità. Non perché bisogna essere buoni, razionali e civili. Non perché essere di sinistra e rifiutare Salvini è la cosa più giusta: per il semplice dato di fatto, semmai, che non sappiamo tante cose. Il terrorismo è prima di tutto guerra. Solo che è più complicato che in passato: non ci sono due eserciti comandati e finanziati da uno Stato che si scontrano in un campo di battaglia. Non ci sono vincitori e perdenti. C'è solo tanta rabbia, tanta ingiustizia, tanto conflitto, che scoppia contro chi non c'entra niente, che vendica un retaggio di rancore a cui non sappiamo dare un nome e di cui non sappiamo nulla. Trattandosi di guerra dunque, leggiamo cosa scrisse Karl Kraus: "Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia" sconvolto dal fatto che, in pieno Primo Conflitto Mondiale, alla gente mancasse il silenzio, l'indignazione, il raccoglimento. Anzi, le si era sciolta la lingua, per diffondere l'odio, lo scandalo, il risveglio degli istinti più bassi e primitivi.

Anche io fatico ad accettare che in alcune parti del mondo alle donne venga inflitta l'infibulazione, che la religione sia un ceco estremismo, che la legge del taglione sia la legge istituzionale, ma non so tante cose: non so ad esempio che ci sono centri segreti in cui i ragazzini vengono addestrati all'innaturale atto del suicidio, non leggendo Ungaretti, come noi a scuola, ma leggendo poesie di coloro che andavano a morire per la bandiera. Magari mangiando, trovando indumenti puliti, lontani per una giornata intera, dalla fame, dalla sporcizia, dalla baracca.

Non so ad esempio che forse, per un abitante dello Sri Lanka, i terroristi sono quelli che distruggono le risaie di migliaia di contadini per costruire un mostro di ciminiera, che verrà abbandonata di lì a poco, perché c'è qualcosa di più conveniente altrove. Non si tratta di condono: si tratta di capire cosa succede un po' più in là dalla nostra piccola porzione di mondo, di ammettere che è arrivato il momento di cambiare, di scegliere la lucidità, rispetto alla guerra, di fare una storia che non sia soltanto sangue e massacri, ma verità.

Perché come ha ben sottolineato Ekkehart Krippendorff, la buona politica, la vita e la cultura, nascono solo dal superamento della vendetta, non meno grave di un male illegittimo: nel libro de libri si può leggere che Dio decise di esiliare Caino, di condannarlo al rimorso e alla solitudine, ma non lo punì del suo omicidio, anzi. Decise di proteggerlo con un segno che impediva a chiunque l'avesse incontrato di ucciderlo. La prossima volta, opterò per i proverbi di novembre.




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