15 Marzo 2016, 13.02
Quaderni di Cinema

Il corpo concreto e il peso dell'anima: «21 grammi»

di Nicola 'nimi' Cargnoni

E' iniziato mercoledì 9 marzo 2016 un ciclo di proiezioni cinematografiche presso il Cineporto di Bari, che dà il via ad una (speriamo) lunga collaborazione tra le università pugliesi ed il Centro studi dell’Apulia film commission.


Citando il comunicato stampa di presentazione «Cinema Ergo Sum, che si terrà interamente al Cineporto di Bari, è una rassegna che ha come intento quello di mostrare l’intreccio virtuoso tra la cultura umanistica e la “settima arte”, tra il “classico” e il “contemporaneo” che rende il nostro patrimonio culturale vivo e attivo dentro il nostro presente».

Abbiamo pensato di realizzare un reportage proponendo le analisi dei film anche alla luce delle lezioni introduttive.
Ogni recensione sarà preceduta da un breve riepilogo di quanto trattato dai docenti del dipartimento di Scienze umanistiche che hanno dato vita a questa iniziativa, grazie anche al coordinamento della prof.ssa Francesca Romana Recchia Luciani.
http://www.uniba.it/eventi-alluniversita/2016/rassegna-cinema-ergo-sum

di Nicola Cargnoni
introduzione a cura di Pasqua Giordano

Introduzione e commento della prof.ssa Recchia Luciani

Mercoledì 9 marzo ha avuto inizio con il film «21 grammi» la rassegna “Cinema ergo sum”, un esperimento che tenta di portare alla luce il nesso inscindibile tra il linguaggio cinematografico e quello filosofico, entrambi a fondamento del “fare comunità” e contraddistinti da una certa sacralità auratica. 

È il sottotitolo del film, Il peso dell’anima, a offrire lo spunto per discutere sul tema della corporeità, al centro del pensiero filosofico a partire dal solo ’900, quando Nietzsche ne offre una piena rivalutazione, anche edonistica, a dispetto dell’oblio a cui la tradizione cristiana e la Scolastica lo avevano condannato, ravvedendo nel corpo ragione di sola finitudine umana.

Ma l’uomo, fatto di carne e sentimenti, è reso fragile e vulnerabile dal suo corpo transeunte non solo a livello fisico, quindi in qualità di essere mortale, quanto nella sua dimensione relazione e sociale. A tal proposito Elias Canetti, in particolare in Massa e potere (1960), ha analizzato la dimensione dell’io, racchiuso in una sorta di bolla che ne stabilisce i confini del corpo ma allo stesso tempo anche le sue estensioni, quando entra in relazione con l’altro: a guidarlo vi è il timore intrinseco, un terrore atavico, di essere toccati dall’altro, ovvero dall’ignoto.

Ma chi è l’estraneo? È solo uno straniero o anche un intruso? Quest’ultimo può naturalizzarsi, quindi integrarsi, o restare un corpo estraneo, altro dall’io. E come il filosofo Jean-Luc Nancy, a seguito di un trapianto di cuore, ci invita a riflettere su chi sia l’intruso, se l’organo che salva, il farmaco antirigetto che mette nuovamente in pericolo la vita, o il tumore che minaccia, così in «21 grammi» viene meno ogni scissione cartesiana tra corpo-macchina e anima e non possiamo più dire cosa ci guidi verso l’altro: i sentimenti sono biologicamente trasmissibili?

Se parlare del corpo costituisce un’effrazione del linguaggio, poiché non siamo in grado di “dire” un concetto così complesso e “sensibile”, il cinema rappresenta, invece, un ottimo veicolo espressivo poiché espone direttamente il corpo attraverso la potenza delle immagini e utilizza l’emozionale per raggiungere il razionale.

Il film

«21 grammi» è un film sul tempo, contro il tempo. È la precisa indicazione sul peso corporeo dell’anima, utilizzando una definizione di per sé ossimorica. Ma a essere generalmente ossimorica è la regia di Alejandro Gonzales Iñarritu, che scompone formalmente il piano temporale della vicenda che riguarda i tre protagonisti del film.

Ognuno dei protagonisti compie qualcosa di ripetitivo, e quindi di circolare, «per non diventare pazzo».
La frammentazione temporale sul piano diegetico corrisponde alla lotta che i personaggi portano avanti contro il tempo, immobile e sempre in movimento allo stesso tempo.
Paul fuma, lo fa di nascosto, perché è in attesa di un trapianto di cuore e sa bene che non può, ma fuma «perché altrimenti impazzisce». Cristina corre, nuota, scandisce la sua vita (e quindi lo scorrere del tempo) tenendosi in movimento, e anche lei lo fa «altrimenti rischia di diventare pazza».

Iñarritu si diverte a creare questo parallelismo anche per contrapporre il concetto di vita a quello di tempo. Il tempo scorre in ogni caso, ma l’immobilità corporea può portare all’immobilità della mente.
Eppure Paul e Cristina vivono l’uno in un corpo malato e l’altra in un corpo sano, ma per allontanare da sé l’insanità della follia devono compiere un atto concreto, reale, specchio dell’atto che il regista compie cercando di dare un connotato concreto e reale a una cosa tanto invisibile quale l’anima.
Ma la follia dalla quale i protagonisti si difendono compiendo atti concreti è una malattia che andrebbe proprio a intaccare l’anima, la mente, la sede dei sentimenti.

La carne al fuoco è tanta e «21 grammi» risulta essere un caleidoscopio di argomenti, probabilmente troppi per essere racchiusi nell’arco temporale (scomposto) delle due ore di durata.
Ma a decretare l’abbondanza del contenuto non è la quantità degli argomenti affrontati, bensì la loro qualità: maternità, paternità, etica, donazione, aborto, religione, inseminazione, vendetta, medicina, fanatismo.

È chiaro che il regista messicano, dopo lo sfolgorante esordio con «Amores Perros», un’altra pellicola che si regge sul meccanismo degli incontri/scontri e della sovrapposizione di piani temporali, senta la necessità di impegnarsi in un’impresa a suo modo titanica.
Iñarritu mette disordine sul piano temporale per tentare di fare ordine almeno sul piano morale, catapultando lo spettatore nella stessa condizione angosciosa e confusa in cui si trovano a vivere i protagonisti interpretati dal brillante cast di «21 grammi».

L’incipit del film è quadripartito: si va da scene che durano pochi fotogrammi fino a momenti piuttosto estesi che comunque tratteggiano fin da subito la psicologia dei personaggi. I protagonisti sono subito presentati, anche se in momenti molto diversi tra loro e assolutamente accavallati sul piano temporale.

Ciò che importa di «21 grammi», però, non è tanto la scomposizione dal punto di vista cronologico, ma ciò che si sussegue sul piano diegetico. Iñarritu prende spunto dal “peso dell’anima” per tracciare un continuo parallelo con il peso della vita e con quello di ogni singola azione. L’astrazione spazio-temporale passa anche attraverso le contraddizioni e le incoerenze che caratterizzano il comportamento a tratti nevrotico, spesso confuso, quasi sempre istintuale dei protagonisti.

Ed è proprio l’istintività dei personaggi che li avvicina molto al concetto quasi animalesco di corporeità, nell’ottica di un contatto fisico agognato ma allo stesso tempo temuto e quasi rifiutato. Un bravissimo Sean Penn, nei panni di un “morto che cammina” (in un gioco intratestuale col film «Dead man walking» di Tim Robbins del 1995, dove Penn è protagonista) subisce un trapianto di cuore; successivamente sente il bisogno (istintuale, ma anche morale e sommessamente biologico) di andare alla ricerca della moglie il cui uomo ha donato l’organo.
Ne esce «un incrocio di destini, una strana storia» (per dirla alla De Gregori) dove lo scontro di temi e sentimenti diretto ad arte da Iñarritu fa il paio con situazioni che tra loro si richiamano in un interessante gioco di rimandi.

Il lavoro di Iñarritu va ben al di là della semplice intenzione di designare il cuore come sede concreta di un’anima la cui astrattezza si può addirittura pesare in grammi.
Ciò che Iñarritu mette in atto con «21 grammi» è un continuo porsi quesiti sul valore soggettivo che ognuno di noi dà, o è disposto a dare, a tematiche oltremodo dibattute, a tratti “superate”, ma che mantengono una loro solidissima universalità all’interno della contemporaneità.

Iñarritu sceglie il cuore come sede di quell’anima completamente assoggettata al potere del sentimento, e lo fa con un gioco di incastri che richiama tanta parte della letteratura e della cinematografia che hanno fatto di questo tema il fulcro di altre opere.
Ma i protagonisti di Iñarritu si incontrano/scontrano solo grazie al pretesto del trapianto, sebbene la razionalità delle loro azioni sia guidata da intenti veri e reali, diametralmente opposti al concetto di follia che rischia di intaccare le anime di Cristina e Paul.

E quello del regista non è solo un film su corpi che si difendono dalla pazzia, ma mette in discussione anche il concetto di responsabilità, spesso soggetto a decisioni prese in maniera violenta. La responsabilità è qui un concetto che fa, sì, parte del libero arbitrio di ognuno, ma ai protagonisti occorre una scossa per prendere atto della gravità delle proprie azioni.
E questo è un incarico che Iñarritu affida al personaggio di Benicio del Toro, Jack, che all’inizio del film chiede a un ragazzo di «prendersi le proprie responsabilità», ma glielo chiede in maniera violenta e aggressiva. E nella circolarità di «21 grammi» quest’azione torna anche nel finale, quando Jack irrompe nella stanza di un Motel chiedendo a Paul di compiere il disegno che aveva in mente, di porre fine a tutto, di prendersi (anche lui) «la propria responsabilità».

La frammentazione sul piano formale, quindi, non impedisce a Iñarritu di raggiungere una certa circolarità nell’impianto narrativo, forse osando un po’ troppo dal punto di vista etico. Non si voglia mettere in dubbio la bontà del film, ma gli spunti di riflessione alla fine di esso sono fin troppi.

Eppure nonostante la volontà dei protagonisti sia attuata in modo da dare concretezza all’anima, in modo da darle un “peso”, ciò che risulta evidente è che anche la più piccola azione può causare un “effetto farfalla” degno di un vero e proprio atto di forza. In fondo il concetto di anima è proprio questo: essere invisibile, forse inesistente, eppure guidare le azioni di ogni individuo e, quindi, decidere le sorti di tutti. È un film dove le azioni di uno possono segnare indelebilmente (e in eterno) la vita dell’altro.

Ma Iñarritu sembra voler smentire anche questo concetto perché con un meccanismo geniale aggiunge anche l’ingrediente del Fato. Un elemento che va al di là di qualsiasi azione arbitraria o razionale, un elemento che è anche più potente dell’anima. E come spiegare altrimenti la serie di coincidenze che portano tre vite completamente slegate a incontrarsi in maniera così perfetta? Ma non solo questo. Il “dead man walking” Paul è destinato al finale incredibile e allo stesso tempo/modo previsto e prevedibile (se pensiamo bene al meccanismo del film), al termine di una serie di incastri che dipendono dalla volontà di ognuno dei protagonisti ma che incorrono inesorabilmente e tragicamente nel volere di un Fato che non lascia scampo alcuno.

di Nicola Cargnoni
introduzione a cura di Pasqua Giordano


Prossimamente:

mercoledì 16 marzo
RITUALITÀ Silent Souls (2010) di Aleksey Fedorchenko
Introdotto da Paola DE SANTIS (Archeologia Cristiana)

mercoledì 23 marzo
GUERRA FREDDA Il dottor Stranamore (1963) di Stanley Kubrick
Introdotto da Carlo SPAGNOLO (Storia contemporanea)

mercoledì 30 marzo
UMANITÀ Il vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini
Introdotto da Immacolata AULISA (Storia del cristianesimo antico), Laura CARNEVALE (Storia del cristianesimo antico) e Ada CAMPIONE (Storia della Chiesa antica)

mercoledì 13 aprile
LIBERTÀ Spartacus (1960) di Stanley Kubrick
Introdotto da Massimo PINTO (Storia della filologia e della tradizione classica)

mercoledì 20 aprile
HUMUS Nostalghia (1983) di Andrei Tarkovskij
Introdotto da Annalisa CAPUTO (Linguaggi della filosofia)

mercoledì 4 maggio
LINGUAGGIO Her (2013) di Spike Jonze
Introdotto da Iulia PONZIO (Filosofia del linguaggio)



Commenti:
ID82546 - 08/04/2021 15:02:52 - (silvia.ribaldi) - bell film

Il film è una specie di reportage - ne sono venuto a conoscenza solo di recente. Questo film è molto ben recitato e gli attori ti fanno sentire profondamente immerso. Posso consigliare di guardare il film 21 grammi.

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