Bob Dylan e Francesco De Gregori... avversari anche sul campo di calcio
di Jessica Freddi e Davide Vedovelli
Bob Dylan abbandonerà il microfono per allenare una squadra di calcio. Francesco De Gregori sembra voglia imitare e sfidare il collega americano
Vuoi leggere l'articolo completo?
A) Accedi con il tuo account
La notizia diffusa in queste ore dalla stampa che vede i due cantautori in panchina ad allenare due squadre di calcio sembra ormai certa. Serpeggia tra i tifosi un altro dubbio: chi tifare?
Da sempre messi a confronto sia dalla stampa che dal pubblico, sarà ora il campo a mettere la parola fine a questa eterna disputa.
Dylan, intervistato da Skysport, ha rivelato la sua vecchia passione per il calcio e ha deciso di fondare un club tutto suo di cui assumerà la direzione e allenerà personalmente.
De Gregori, appresa la notizia, non ha saputo resistere alla tentazione di confrontarsi anche questa volta con l’artista americano.
La partita, che si terrà in campo neutro, sta già dividendo i tifosi in merito all’acquisto dei biglietti.
De Gregori ha già deciso chi schierare in campo: in porta Antonello Venditti, a limitare i danni e conquistarsi i favori del pubblico; difesa sicura arcigna e caparbia con Bertoli, Lolli e Guccini; centrocampo giovane con Bersani, Silvestri, Gazzè e Fabi, l’attacco affidato ai fuoriclasse De Andrè, Iannacci, Dalla.
Anche Dylan non va per le leggere: in porta Aretha Franklin, in rappresentanza non solo del genere femminile ma anche del gospel, che è alla base del rock, del soul e praticamente della cultura musicale di ogni cantante americano che si rispetti; in difesa gente che potrebbe intimorire: Dave Grohl, che si è fatto le ossa al seguito di Kurt Cobain, Axl Rose, il giovane Peter Hayes; a centrocampo Cohen, che fa da regista, Bruce “7 polmoni” Springsteen, la piuma Jared Leto, e l’infaticabile Neil Young; in attacco centravanti di sfondamento Johnny Cash, con gli esperti e intramontabili John Denver e Neil Diamond.
Lo Sappiamo, vi sarebbe piaciuto, e sarebbe stato un facile escamotage per mettere fine all’eterno confronto Dylan-De Gregori.
Confronto più vivo tra il pubblico che tra gli artisti stessi; si sa che noi italiani non sappiamo resistere alla dolce tentazione di schierarci da una parte o dall'altra, fare il tifo e trovare un vincitore a tutti i costi.
Non saremo certo noi a decidere chi dei due, ammesso che il confronto abbia un senso, sia migliore dell’altro, ma utilizziamo questo pretesto per conoscere un po’ meglio questi due grandissimi artisti.
Non sappiamo quanto Dylan si preoccupi di De Gregori, ma sappiamo che De Gregori a Dylan ogni tanto ci pensa, e parecchio... e ha di recente pubblicato l’album “Amore e Furto” contenente canzoni tradotte da Bob Dylan appunto.
Molti si sono chiesti il significato di questo disco: un omaggio da un collega a un altro collega molto stimato? L’esigenza di sfatare un tabù? I più maligni azzardano “un ottimo stratagemma per allargare il proprio pubblico e vendere qualche disco in più”.
Definire Dylan “cantautore” è riduttivo: la folla davanti a lui non si scatena soltanto, non si limita a cantare...ma lo guarda ammutolita, ascoltando una sorta di semidio, o se non altro una persona percepita quasi come tale. Dylan è un personaggio trascendente, ormai immateriale.
Come già hanno scritto alcuni critici dopo i suoi concerti dell'estate del 2015, Dylan sfida la folla e sta decisamente portando al limite della sopportazione i suoi fan.
Non saluta, non ringrazia, non canta ma borbotta canzoni sconosciute ai più, non permette fotografie (le guardie in sala sono pronte a puntarti una torcia addosso appena metti mano alla fotocamera del tuo smartphone), fa pause infinite. Un disastro insomma, ma come cantano Fedez e Mika “un meraviglioso disastro”: Dylan è una star indiscussa, può fare quello che vuole, è un personaggio inarrivabile.
Da sempre De Gregori viene associato a Dylan per il modo di cantare, di stare sul palco, di schivare il pubblico, ma un confronto così diretto non ce lo aspettavamo. Facciamo fatica a cogliere l’utilità di questo disco che nulla aggiunge e forse qualcosina toglie alla poetica di Dylan.
Che a De Gregori piaccia cantare Dylan ci può stare, ma che questo progetto abbia ambizioni artistiche ci risulta francamente un po’ troppo ambizioso.
Torna alla mente “Non al denaro non all’amore né al cielo” di De Andrè, reinterpretato da Morgan alcuni anni fa: anche in quel caso non se ne sentiva l’esigenza.
Le sensazioni che si provano ascoltando un testo di Dylan sono irripetibili. Qualche esempio?
“The girl from the north country”, dove i venti soffiano forte sul confine, i fiumi ghiacciano e l’estate finisce: quando si ascoltano le note di questa canzone, la voce di Dylan ti fa davvero sentire l’aria gelida sul collo, e riesce a farti immaginare i protagonisti e i loro pesanti cappotti di pelliccia sotto il freddo vento del Nord.
“Hurricane”, la storia di un omicidio, di un pugile, del razzismo, del sistema penale americano, cantata da Dylan tutta d’un fiato, armonica e voce nasale, ed è come se la storia dovessi già conoscerla.
“Changing of the guards” e la dinamicità di suoni e voci, che probabilmente raccontano la vita del cantante: persino Dylan ha detto che ogni volta che la canta le parole assumono per lui un nuovo significato.
E, dulcis in fundo, “Like a rolling stone” e il suo irriverente colpo di batteria iniziale: persino Springsteen ha detto che quel colpo di batteria è stato ciò che gli ha aperto la mente, e non solo in campo musicale.
Possiamo perdonare a De Gregori questo scivolone (anche se per la verità non è l’unico che ha fatto negli ultimi anni)?
Assolutamente sì, anche in virtù di grandissimi album e canzoni scritte in passato. Ci vengono in mente, sol per citarne alcune: “Compagni di viaggio”, “Sempre e per sempre”, “Rimmel”, “Pablo”, “Le storie di ieri” scritta con Fabrizio De Andrè, “Il cuoco di Salò” musicata da Battiato, La Storia, ecc ecc. Queste canzoni sono pietre miliari della musica italiana e autentici capolavori di altissimo impatto emotivo e poetico.
Se sia meglio De Gregori o Dylan non sappiamo dirlo.
Entrambi con le loro piccole perle, o “lacrime di madreperla” citando De Gregori, impreziosiscono l'universo della musica, inventano momenti di poesia che fanno emozionare e sfiorano alcune corde dell'anima che pochi riescono a toccare. Se il ruolo della musica è rendere un poco migliore la realtà o farcela capire meglio direi che non possiamo fare senza di loro.
Ci perdonerete questo piccolo gioco, ma ci sembrava un modo simpatico per parlare di due artisti che stimiamo tantissimo.