22 Agosto 2016, 07.51
Provincia
Pagine di storia

A conti fatti

di Guido Assoni

La triste vicenda di Franco Passarella, un giovane che voleva combattere per la libertà e che fu spietatamente ucciso dal “fuoco amico”


Quando ho cominciato ad interessarmi del caso dello studente Franco Passarella non pensavo affatto di trovarmi di fronte a innumerevoli e contraddittorie versioni più o meno compiacenti e tese a coprire i responsabili di un tragico episodio della Resistenza bresciana.
Occultamenti, mistificazioni, silenzi, depistaggi, clima di omertà, ipocrisie, reticenze e manipolazioni, che non rendono un buon servizio alla storia.

Oltre a ripristinare la verità storica è doveroso rammentare i valori e gli ideali che hanno spinto questo studente a fare una scelta coraggiosa e che, purtroppo, gli costò la vita a soli diciott’anni.
Come tra l’altro è giusto non mettere in discussione i valori della Resistenza seppur di fronte ad un episodio indubbiamente grave, ma non a tal punto da considerarlo alla stregua di una strategia comportamentale.

La ricostruzione della vicenda che vi propongo è la più attendibile ed è la miscellanea di un grande lavoro documentaristico dello storico camuno Mimmo Franzinelli, di alcune testimonianze raccolte dalla sorella e dagli amici d’infanzia dello sventurato giovane ed i contributi di storici affermati quali Pier Luigi Fanetti, Lodovico Galli, Don Bruno Bertoli, Rolando Anni, Pieluigi Piotti e altri ancora.

Dobbiamo incominciare da Venezia, dove lo studente Franco Passarella nasce il 25/10/1925 e vi trascorre l’infanzia.
Il padre, Ottorino, scrittore, cronista del “Gazzettino di Venezia” è un fervente antifascista legato dagli anni trenta al gruppo di “Giustizia e Libertà”, movimento politico liberal-socialista fondato a Parigi nell'agosto del 1929 da un gruppo di esuli contrari al regime.
La madre, Carolina Sartorelli, è una studiosa di filosofia e di pedagogia.
La sorella Laura di due anni più giovane è anch’ella studente.

Nel 1941 la famiglia si trasferisce a Brescia prendendo alloggio al palazzo INCIS (Istituto Nazionale Case Impiegati Statali) in Piazza Vittorio Veneto, zona, allora, molto periferica della città.
A Brescia, il padre, che sarà uno dei fondatori del Comitato di Liberazione Nazionale bresciano, insegna storia dell’arte al liceo Arnaldo e, in veste di critico d’arte, scrive sul quotidiano “Il popolo di Brescia”, mentre la madre è docente di storia e di filosofia al liceo Calini.

La frequentazione dell’Oratorio della Pace dei padri filippini e l’influsso dei genitori gli fanno maturare una chiara coscienza antifascista, voglia di libertà ed un istintivo impulso a difesa del debole contro qualsiasi forma di sopraffazione.
Stringe amicizia con due compagni di studi del liceo Arnaldo: Cesare Trebeschi, futuro sindaco di Brescia nel decennio 1975/1985 e Augusto Paganuzzi che sarà medico endocrinologo.
Con quest’ultimo attua velleitarie e rischiosissime forme di sabotaggio ai camion tedeschi come svitarne i tappi delle coppe dell’olio, tagliarne le cinghie di trasmissione, inserire tavolette chiodate sotto le ruote posteriori e poi ancora scombinare la segnaletica stradale, tentare ma senza riuscirci di avvelenare i cavalli dei nazisti e via discorrendo.

Si adopra anche per la diffusione di stampa clandestina, tra cui “Il Ribelle”, il giornale saltuariamente stampato dalle Fiamme Verdi, alle scritte sui muri e allo smistamento del materiale da un gruppo all’altro.
Conclusi gli studi liceali e conseguita la maturità classica, sceglie, per amore della libertà e della sua patria, di unirsi alle formazioni partigiane operanti in Val Trompia.

Accompagnato a Gardone Val Trompia dalla madre e dalla sorella fin sulla mulattiera dalla quale si diparte il sentiero che si inerpica sul monte Guglielmo, questo aitante diciottenne, alto, biondo e con gli occhi azzurri, ben equipaggiato con scarponi e sahariana nuovi di zecca, uno zaino preparato dalle due donne e la pistola del padre, ufficiale nella prima guerra mondiale, ascende alla montagna, incontro al suo fatale destino.

Siamo al giorno 19 giugno 1944.
Finisce in un gruppo ancora in formazione, dislocato in varie cascine, male armato e dove regna una grande confusione.
Non bastasse questo, dopo pochi giorni la formazione viene intercettata da un massiccio rastrellamento di militi fascisti messi in moto dalla solita delazione.
E’ una carneficina.
Sette di loro vengono uccisi sul posto (sul Monte Muffetto e sul Bassinale), un numero imprecisato viene catturato e quindi deportato in campi di concentramento in Germania.

La formazione si disperde e Franco Passarella vaga per i monti con l’intento di tornare in città.
Rifocillato da alcuni contadini, bussa alla porta della cappellania di Fraine di Pisogne, ma il parroco Don Andrea Boldini, duramente provato da otto mesi di duro carcere fascista, terrorizzato, non gli presta aiuto se non per fornirgli ago e filo per rammendarsi i calzoni.

Si rivolge quindi al parroco di Vissone, frazione di Pian Camuno, Don Giuseppe Bonetti, il quale vedendo questo giovane alto, biondo, dagli occhi azzurri e che non sa parlare in dialetto, lo considera una spia tedesca e mette in guardia le formazioni partigiane con cui è in contatto.
Mentre cerca riparo nei boschi, ha la sventura di imbattersi in un gruppetto di quattro Fiamme Verdi guidate da tale Bruno Pè, alle dipendenze del distaccamento C 14 ed allertate dallo stesso parroco di Vissone.

Non conoscendo la parola d’ordine, appena scampato dalla retata fascista, impaurito dalle notti trascorse da solo nei boschi e dai metodi coercitivi dei suoi aguzzini, viene sospettato di spionaggio e dopo estenuanti interrogatori e sevizie, viene crocifisso ad un castagno e ucciso, vicino a Solato di Pian d’Artogne, con un colpo di pistola sotto il mento il 25 giugno 1944.
A guerra finita la famiglia, ignara della tragedia, aspetta invano il rientro del figlio.

Addirittura i genitori lo iscrivono alla facoltà di ingegneria per non fargli perdere l’anno.
La madre, con la forza della disperazione lo cerca ovunque, si aggira giorno e notte per la stazione di Brescia con le fotografie del figlio da mostrare ai reduci dall’internamento nei campi di concentramento germanici.

Solo due anni dopo, nella primavera del 1946, il cappellano padre Luigi Rinaldini dell’“Oratorio della Pace”, viene a sapere che il parroco di Vissone, Don Giuseppe Bonetti, è in possesso di una edizione mignon della Divina Commedia e del portafoglio appartenuti a Franco Passarella.
Sempre tramite Don Bonetti viene a conoscenza del luogo dove è stato celato il corpo dello sfortunato ragazzo, nella località denominata “Carolècc del Curato” di Solato, sul bordo del torrente in mezzo ai rovi e sommariamente coperto da sassi e foglie di robinia e castagno.
Ai funerali, solennemente celebrati al Duomo di Brescia il 21 dicembre 1946, sfilano le Fiamme Verdi con le loro bandiere, ma nessuno cerca la verità.

E’ fuori discussione che molte responsabilità siano da ascrivere al parroco di Vissone, notoriamente in costante contatto con il movimento partigiano.
Perché trattenne due anni e mezzo il portafoglio e non abbia sentito il bisogno ed il dovere di informare i famigliari di quanto fosse accaduto?
Ricordiamo che la madre non si riprenderà più da un grave stato di depressione che la distrusse giorno dopo giorno, mentre il padre, pur continuando l’insegnamento, si chiuderà in se stesso fino alla fine dei suoi giorni.

Come entrò in possesso degli effetti personali di Franco Passarella?
E’ da escludere che i quattro aguzzini che si divisero la giacca a vento, il maglione di lana, gli scarponi e l’orologio che la vittima aveva al polso, abbiano avuto l’accortezza di consegnare il portafoglio e quant’altro al parroco.

Molto più probabile l’ipotesi che il ragazzo ormai consapevole della sua sorte, tra percosse ed interrogazioni, abbia chiesto i conforti religiosi ed in quell’occasione abbia egli stesso consegnato al prete i suoi effetti personali con preghiera di farli avere ai genitori.
Pur concedendo tutte le attenuanti possibili e riconoscendo anche il clima che si respirava allora, mi è difficile comprendere l’atteggiamento del parroco, tra l’altro in possesso del portafoglio contenente la carta d’identità del ragazzo e la fotografia della sorella.
Non poteva chiedere informazioni attraverso i contatti che le formazioni partigiane avevano in città? Il padre non era affatto uno sconosciuto e probabilmente si sarebbe potuto evitare il tragico epilogo.

E’ vero che furono anni terribili che provocarono quegli effetti propri di una guerra civile, durante la quale venne meno la fiducia anche tra persone che si conoscevano, ma qui siamo di fronte ad uno spietato ed efferato crimine in cui venne dato sfogo ai più turpi istinti sanguinari.
Parlare di tragico errore, di sbaglio, di equivoco, di circostanze sfavorevoli, sembra fin troppo riduttivo.

Come accennavo nelle premesse, è stato vergognoso il clima di omertà alimentato da versioni inattendibili per impedire a lungo l’accertamento della verità.
Si è tentato di ribaltare la dinamica dei fatti attribuendo il delitto ad una rappresaglia fascista.

Per quasi settant’anni, sulla lapide posta sul palazzo INCIS, dove abitava, si poteva leggere il seguente epitaffio: “Alla libertà offrendo il proprio martirio Franco Passarella partì da questa casa il 19/VI/1944. La ferocia fascista lo colse. Venezia 25/X/1925 Valle Camonica 25/VI/1944”.

Al cimitero di Vissone di Pian Camuno invece si poteva leggere su una stele “Franco Passarella vissuto per la libertà ribelle a lusinghe vili qui cadde massacrato da orde fasciste.
Ave Franco il Signore è teco tu sei benedetto fra tutti i martiri e gli eroi – nato a Venezia il 25/X/1925 immolato il 25/VI/1944”.


Solo nel giugno 2013 vennero rimosse le frasi che attribuivano l’omicidio ai fascisti.

Nel 1995, in occasione del 50° anniversario della Liberazione si è svolto a Venezia un incontro di studio organizzato dallo Studium Cattolico Veneziano diretto dal compianto don Bruno Bertoli.
Nei contributi presentati in quella circostanza e raccolti in un volume dal titolo “La Resistenza e i cattolici veneziani”, è da segnalare il saggio dello stesso don Bertoli “La vicenda doppiamente tragica di Franco Passarella”.

Lo storico veneziano per documentare la sua analisi si rivolse all’Archivio di Stato di Brescia e all’Istituto Storico della Resistenza Bresciana senza avere i riscontri sperati.
Scrive Don Bertoli a proposito degli ultimi giorni di Franco Passarella: “Nel giro di una settimana vi trovò la morte, una morte doppiamente tragica e a lungo velata”.

E ancora: “L’amara vicenda venne taciuta dalla pubblicistica relativa alla Resistenza.
Certi resoconti sulla lotta nel bresciano, ignorano anche il nome di Passarella
”.

Infine conclude amaramente con parole forti : “A oltre mezzo secolo da quegli eventi, si scopre oggi che la reticenza e la manipolazione dei fatti furono programmate ad appena un mese dalla morte del Passarella per una sorta di partigiana “Ragion di Stato”.

Romolo Ragnoli, comandante delle Fiamme Verdi camune, nel suo libro “I caduti per la Resistenza in Val Camonica” così si esprime in merito alla vicenda che stiamo trattando: “Ricercato dai nazifascisti, veniva catturato in uniforme fascista dai partigiani e passato per le armi da questi, non essendo stato in grado di convincerli di non essere una spia”.

Naturalmente è una balla gaudiosa quella che indossasse la divisa fascista, un estremo tentativo del generale della Repubblica Italiana di salvare la reputazione delle Fiamme Verdi ammettendo l’omicidio da parte partigiana, ma facendo cadere la responsabilità del crimine sulla vittima.

In un altro documento reperibile all’Istituto Storico della Resistenza bresciana
, sempre a firma del Comandante Romolo Ragnoli, si legge: “Per il cadavere trovato, sarebbe buona cosa seppellirlo facendo una relazione tipo le precedenti.
Ferito dai nostri, nel correre ha battuto la testa contro una pietra e si è ucciso. Poveretto!
”.
Uno sproloquio che non merita alcun commento.

Vorrei riportare un estratto di una poesia dell’Avv. Pigi Piotti, vicino al mondo resistenziale, dal titolo “Alla Vostra domanda” e inserita nella sua raccolta “A conti fatti”:

Un giorno alla vostra domanda
“Papà, chi erano i partigiani?”
vi stringerò più forte la mano,
 e forse,
se già non sia mutato il discorso,
attenderete invano una risposta.
….
Un uomo vale più delle sue scarpe.
Alto, biondo, sereno,
la giacca a vento e gli scarponi nuovi
tu, così diverso,
in quel tempo dell’odio e delle spie.
Si affacciava il mattino in mezzo al bosco.
Torve facce scure
t’imposero di dire la verità
pena la fossa
che ti saresti scavato.

Farfugliasti di un certo zio fascista,
pezzo grosso in città,
che avevi lasciato
per andare coi partigiani,
e ti illudevi, povero ragazzo,
di prender tempo dietro quel dilemma.
Come il sapore della mela
la verità non sta nel frutto
ma nel palato che la intende.
Torve facce scure
andavano in fretta.
Per non sbagliare
si presero la giacca, gli stivali,
insieme all’essenziale verità
dei tuoi diciott’anni.


Concludo con uno struggente brano, tratto dal libro di novelle “Il cavallo nero”, scritto da Ottorino Passarella e dedicato alla memoria del figlio: “La morte. Che significa? Fine. Fine di me, del popolo, dell’umanità, del mondo. Allora che vale? Ma vale per te, figlio mio.
Il capo dei tuoi aguzzini si chiama Pè: meno di una suola di ciabatta. Pè, t’inchiodò contro una pietra d’infamia…
Ti assassinarono, e si divisero le vesti, come con Cristo. Chi si tenne le scarpe, il maglione di lana… una conquista, in quei tempi!...
Ma poi ebbero paura di te, morto, disteso nell’intrico dei rovi, nudo, il volto luminoso quanto il cielo che ti guardava. Ti nascosero in fondo al baratro selvaggio, tra gli spini e fuggirono.
Alla fine pretendevano diventare eroi, i vili…Ma fu bene quel tuo giacere presso l’acqua vergine che scorreva, commentando ai sassi.
Essi camminavano lontano: eri divenuto più forte e bello che da vivo. E ti distruggesti come carne: volesti essere soltanto spirito.
Puro eri stato. Via la materia. Creatura mia, posso io, così miserabile, essere tuo padre? Gli angeli non restano sulla terra.”


Guido Assoni

Bibliografia
“Una mattina mi son svegliato” – Mimmo Franzinelli/Andrea Ventura
“La Resistenza e i cattolici veneziani “ a cura di Bruno Bertoli – Studium Cattolico Veneziano
“Fatti e misfatti prima, durante e dopo la Repubblica Sociale Italiana” – Lodovico Galli
“Dizionario della Resistenza Bresciana” – Rolando Anni
“I caduti per la Resistenza in Valcamonica” – Romolo Ragnoli
“Camuni” – Ugo Calzoni
“Il mio amico Franco” – Augusto Paganuzzi
“Il cavallo nero” – Ottorino Passarella
“A conti fatti” – Pierluigi Piotti



Commenti:
ID67776 - 22/08/2016 16:15:06 - (Dru) -

Caro Assoni, la tua storia mi ha commosso. Se la storia non insegna la verità, ha almeno il merito di provare la bestialità umana. Bravo davvero, spero che continuerai con questi scritti.

ID67778 - 22/08/2016 23:48:51 - (Leretico) - Racconto molto bello

Penso che queste storie vadano raccontate perché le tragedie dei padri che perdono i figli per colpa di balordi assassini devono far riflettere soprattutto quelli che pensano che i vincitori possano diventare anche coloro che riscrivono la storia con verità.

ID67781 - 23/08/2016 14:21:41 - (Leonardo10) -

Complimenti Sig.Assoni, e' riuscito a rendere "viva" questa tragedia. Più volte da quando ho letto l'articolo mi e' capitato di pensarci.

ID67782 - 23/08/2016 16:32:11 - (Dru) - Ora la filosofia

Se il dolore, provato da un famigliare, per la perdita ingiustificata di un proprio caro, significa la contraddizione prolungata, perché provocata dall'ingiustizia (o ingiustizia giusta, questa la contraddizione), ingiustizia che si fonda sulla incolmabile distanza fra il senso di una vita retta, quella del giovane, e il risultato che questa vita retta ha conseguito rapidissimamente, la morte, allora l'ingiustizia, la violenza dei vinti (i partigiani sui fascisti), che è la giustizia sommaria (i partigiani che uccidono il ragazzo), si fa giusta(la propaganda post fascista e ignobile che confonde la verità), cioè diventa la potenza dei vincitori. Se la verità del logos non esiste più, allora ha ragione chi vince, e l'unico vero dolore è l'incolmabile ragione della contraddizione.

ID67786 - 24/08/2016 11:31:09 - (fp300958) -

I cosiddetti "Salvatori della Patria" non erano/sono degli "immacolati eroi" ... sono sempre piu' convinto che le vicende di quegli anni devono essere riscritte senza posizioni di parte.... .

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15/05/2016 08:53

Tranquillo Bianchi c'è Era il 14 maggio di 72 anni fa quando il partigiano valgobbino venne catturato, torturato e ucciso dai fascisti. Fra Lumezzane ed Agnosine gli è stato dedicato un sentiero, riattivato dal GEM di Roncadelle e dal CAI di Lumezzane

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