12 Febbraio 2008, 00.00
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Mostre

Fernana Pivano e la beat generation

Parte della redazione del giornale “Il Graffio” ha affrontato una lunga trasferta in quel di Verona, per visitare una mostra fotografica dedicata a “Fernanda Pivano e la Beat Generation”. Al loro ritorno hanno voluto condividere alcune sensazioni.

Parte della redazione del giornale “Il Graffio”, di stanza a Vobarno ma per vocazione girovaga e vorace di nuovi orizzonti, ha affrontato una lunga e perigliosa (!) trasferta in quel di Verona, per visitare una mostra fotografica dedicata a “Fernanda Pivano e la Beat Generation”.
Nei locali freschi di restauro della Biblioteca Civica della città scaligera erano esposte fotografie originali scattate da Ettore Sottsass a partire dal 1948, che ritraggono la celebre traduttrice e scrittrice italiana Fernanda Pivano insieme ad alcuni fra gli artisti che ha conosciuto ed amato durante la sua vita a dir poco singolare, dagli amici beat Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Lawrence Ferlinghetti, William Burroughs e Gregory Corso, ad altri mostri sacri dell’arte del Novecento quali Ernest Hemingway, Bob Dylan, Giuseppe Ungaretti, Ezra Pound…
Non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di scambiare due parole con il dottor Agostino Contò, responsabile della biblioteca veronese e fra i curatori dell’allestimento.

G. Come nasce l’idea di dedicare una mostra a Fernanda Pivano e al suo rapporto professionale ed umano con gli autori del movimento della beat generation?
C. Come sempre ci sono delle motivazioni che si accavallano tra loro: quella pratica è stata un rapporto personale dell’assessore alla cultura del Comune di Verona con la Fondazione Benetton, depositaria di tutta la biblioteca di Fernanda Pivano.
Da lì è nata l’idea di riproporre questa stagione fondamentale per la poesia e la cultura mondiale del secondo dopoguerra, anche alla luce delle importanti ricorrenze cronologiche che si sono susseguite nel corso di tutto il duemilasette: il cinquantesimo anniversario della pubblicazione di “On the road” di Jack Kerouac, una sorta di vangelo per la generazione del sessantotto, i dieci anni dalla morte di Allen Ginsberg e poi il novantesimo compleanno di Fernanda Pivano stessa, la traduttrice e saggista che ha permesso di far conoscere prima in Italia e poi in tutta Europa questo fenomeno culturale e poetico.
La mostra, oltre ad una documentazione visiva degli incontri fra la Pivano e i grandi autori che ha personalmente conosciuto e tradotto, ospita libri, autografi, lettere…che i visitatori possono consultare nelle bacheche e nelle sale lettura.

G.
Nato e fattosi le ossa nell’America del secondo dopoguerra, il movimento beat ha rappresentato un fulmine a ciel sereno per il panorama culturale non solo americano, ma anche mondiale, tanto da arrivare ad identificare un’intera generazione di artisti, la beat generation appunto.
Qual è stata l’influenza di tale movimento in Italia e quali autori ritiene abbiano raccolto, nel nostro Paese, l’eredità dei grandi poeti, scrittori ed artisti beat americani?
C. E’ una domanda molto ampia e molto difficile…Dalla beat generation credo siano nati gli spunti per la rivoluzione del sessantotto in Francia e poi in Italia, per il movimento dei figli dei fiori e dei beatniks, che imposero un nuovo modo di far musica e, più in generale, di fare arte.
Al di là delle manifestazioni più eclatanti, credo tale movimento abbia dato il via ad un graduale cambiamento di mentalità, facendo nascere un’attenzione maggiore verso la pace, verso un modo di vivere meno ossessivo, meno schematizzato…maggiore libertà, insomma!
“On the road” è, da questi punto di vista, un vero e proprio manifesto.
Purtroppo i problemi di allora paiono non essere stati ancora risolti: la civiltà dei consumi ha proceduto a grandi passi nel suo sviluppo e il messaggio dei beat e del sessantotto è rimasto troppo stesso lettera morta, relegato a movimenti pacifisti e non-violenti che sono, ahimè, ancora una minoranza.
Da un punto di vista strettamente letterario e poetico, credo in Italia la beat generation abbia avuto un’influenza minore rispetto ad altri Stati, la Germania ad esempio, perché la nostra letteratura è sempre stata molto astratta, poco legata alle vicende politiche, storiche, economiche…tranne che nei casi di alcuni autori “impegnati” quali Pasolini, Roversi e pochi altri.

G. Nel ricordare oggi la beat generation, attribuendole caratteri e canoni propri di un movimento letterario, non si corre il rischio di “istituzionalizzare” un movimento che per sua stessa natura sfuggiva a qualsiasi logica di codificazione e schematizzazione?
C. Sì, si corrono sempre questi rischi quando si fanno celebrazioni di questo tipo; tanto più nel caso della beat generation, che non era solo letteratura, ma prima di tutto vita.
Fernanda Pivano, in molte delle sue prefazioni ai libri di Ginsberg e Kerouac, racconta molto bene qual era il clima che si respirava in quegli anni: questa gente beveva, fumava, se ne andava in giro, non dormiva la notte, si sposava, faceva figli e poi i figli se li dimenticava in macchina…avevano un concetto della vita totalmente sgangherato, non codificabile o schematizzabile!
É un po’ come quando si parla, per rimanere in ambito artistico, di dadaismo, surrealismo o futurismo: passato il momento dello scoppio dell’idea nuova, del rivoluzionario modo di porsi rispetto alla realtà, poi ogni successiva codificazione risulta sempre riduttiva, un modo per chiudere un movimento dentro a schemi e canoni precostituiti.

Nel contesto dell’esposizione scaligera sono state organizzate alcune iniziative collaterali, quali la lettura musicata di alcune poesie beat, dibattiti e video proiezioni, tra cui quella del documentario “A farewell to beat”, edito da Fandango, che racconta l'ultimo viaggio, melanconico e intenso, di Fernanda Pivano sui luoghi dei suoi memorabili incontri con gli amici Allen, Jack, Gregory, Peter, Ernest, Lawrence…
Tutti i loro libri sono pubblicati in Cielo.

Alfredo Cadenelli

Per ulteriori informazioni:
www.fernandapivano.it
www.comune.verona.it/bibliotecacivica
www.fandango.it


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