Il potere è l'azione, l'azione è la tecnica, la tecnica è la cosa, ogni cosa per come la pensiamo. Vediamo questa sequenza di affermazioni nella loro analisi
Il potere esiste in quanto l'intenzione può agire per un risultato.
Se l'intenzione nel potere fosse bloccata nell'intenzione, se l'azione del potere non si sviluppasse ulteriormente per un risultato, il potere sarebbe impotente.
Per agire (l'intenzione propositiva) occorrono mezzi organizzati (nel-le procedure) da una coscienza (della democrazia) per la realizzazione degli scopi di questa coscienza (produce il risultato).
L'intenzione propositiva, nelle procedure della democrazia, produce il risultato democratico.
Questo lo sviluppo tecnico nell'azione democratica.
I mezzi organizzati sono le procedure e la coscienza è coscienza democratica, il luogo della democrazia.
Infatti le democrazie sono considerate oggi procedurali proprio sul presupposto che non è più fondamentale per esse il discorso intorno un principio comune che le ispiri, il cosiddetto principio etico-religioso (Maritain), ma ciò che conta davvero per la loro sopravvivenza è l'insieme dei mezzi che consente un'attività corrente e che per niente ostacoli il gioco delle maggioranze, maggioranze che si costituiscono cercando il consenso da una parte e il compromesso politico dall'altra, cioè producono, attraverso il consenso, l'etica della maggioranza (Kelsen).
Sopra ho definito appunto la tecnica democratica, cioè come la democrazia si esprime.
Essa si esprime con le procedure atte allo sviluppo delle proprie iniziative.
Vediamo ora perché dal Maritain si passa necessariamente a Kelsen.
Proprio nel seno dell'ultima parte di quanto qui voglio mostrare dell'affermazione che dice che il potere è l'azione della tecnica che si fonda sul pensiero di come per noi stanno le cose tutte, se e poiché le cose tutte divengono storicamente, allora nessun vero legame tra l'atto democratico e un fondamento etico religioso può instaurarsi definitivamente, e prevale del valore, di ogni valore, sempre sulla base di come pensiamo le cose, che non permangono ma vanno e vengono dal e nel nulla (atto storico): così, il fondamento di giustizia, che dovrebbe legare al senso democratico il suo valore, perde del valore, perché ogni valore nasce cresce e muore sul fondamento delle maggioranze, che nascono crescono e muoiono, come accade per ogni buon oggetto storico.
Diminuita, o perfino azzerata la forza dei valori e dei principi, senza freni sono le decisioni dei più: quello che una maggioranza decide è giusto e l'ordine sociale dovrà conformarsi a tale volontà.
Si passa dalla democrazia ispirata dalla filosofia (o ideologia teologica), alla democrazia ispirata dalle maggioranze che di volta in volta procedono per volontà e costituiscono quindi esse la giustezza, producono i principi a cui devono ispirarsi con le leggi.
Questa la democrazia nella fenomenologia della filosofia, cioè nella sua concretezza.
Se il potere è quello di cambiare le cose, allora chi le cambia quello ha il potere.
Se il popolo detiene il potere, di decidere le leggi che lo regolano, quel popolo è democratico.
Se il popolo non detiene questo potere o lo detiene solo in alcune fasi storiche della decisione, in quanto il potere viene baipassato dai suoi rappresentanti che lo detengono, il potere è dei pochi e il potere non è del popolo, la democrazia non è vera democrazia, la democrazia si fa formale.
La democrazia rappresentativa non è democrazia concreta, ma una sua sbiadita immagine formale, in quanto detiene il potere adoperando come mezzo il consenso popolare e come tale necessariamente gli si contrappone.
Due forze quella democratica diretta e quella rappresentativa che si contendono il potere nel gioco democratico, e quale fra le due è vincente è sotto gli occhi di tutti, chi vince in questo tempo è la rappresentazione, sono quei furbi che vengon definiti saggi per lo più.
Chi afferma che la democrazia diretta è un pericolo per la democrazia non sa di cosa sta parlando, e sta dicendo più o meno la stessa cosa di chi dicesse che la giustizia è un pericolo per la giustizia, poiché dicendo queste poche parole già sta pensando e dicendo qualcosa che non è e non significa appunto democrazia, ma una sua sbiadita rappresentazione.
Chi paventa sciagure per la dittatura delle maggioranze, democrazia appunto, non risolve un problema democratico, ma al più tenta di risolvere un problema suo, volerlo far diventar democratico è poesia, più semplicemente a quel lui o lei stan bene le oligarchie dei "saggi" o il governo dei pochi (i filosofi). Ma appunto quello che si desidera con la democrazia non c'entra nulla.
Per ambiguità "l'ambiguità è chiarezza", per chiarezza "l'ambiguità è l'ambiguità".
Non c'è ambiguità nella chiarezza dell'ambiguo, è nella ambiguità che si può esser ambigui, ma l'ambiguità che non sa esser chiara chiama chiarezza ambigua appunto, perché non sa risolvere il proprio ritardo nei confronti di ciò che è, perché é risolta solo ambiguamente, mentre per la chiarezza resta un problema da risolvere questa dell'ambiguità, cosa che qui ho fatto o più modestamente, per sua maestà chiarezza, ho tentato di fare.
Questa triade sulla democrazia la dedico a quanti qui su questi fogli della democrazia ne ha fatto una poesia.
Con chiara simpatia.