Dalla Post-verità al risentimento
di Valerio Corradi
Secondo l’Oxford dictionary, la parola chiave del 2016 è stata “post-verità”. Tuttavia, l’assenza di un’informazione chiara e condivisa può essere uno dei motori che alimentano il risentimento verso la diversità
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Viviamo in un autentico caos informativo nel quale è sempre più difficile discernere la notizie vere da quelle false.
La moltiplicazione degli strumenti di comunicazione e dei linguaggi usati contribuisce a creare un eccesso di informazioni, a volte sullo stesso tema, che è difficile padroneggiare. Tutto ciò genera smarrimento e l’affermazione di un modo di filtrare le informazioni di tipo epidermico e basato sulla sensazione.
Non stupisce che questa sia stata definita l’era della post-verità visto l’eterogeneità delle opinioni diffuse, dei racconti di fatti misti a bugie o bufale. Inoltre, gli stessi mass media operano una selezione dei fatti in base al criterio della sensazionalità, privilegiando le cosiddette bad news.
In un quadro che mette alle corde il pensiero e che alimenta una cronica frustrazione, non sorprende che si diffonda uno stato d’animo collettivo risentito. Già René Girard sottolineava che il risentimento è uno dei stati d’animo tipici di una modernità implosa su sé stessa non più in grado di dare nuovi slanci alle sue idealità. Questo stato d’animo è tipico di chi avverte di essere ingiustamente privato di una condizione e si sente legittimato a riconquistarla attraverso azioni punitive verso le presunte cause dei suoi problemi.
Sempre il pensiero di Girard è utile per capire che sia il risentito oggi. Esso è probabile che sia l’appartenente a una categoria sociale che si sente dimenticata a vantaggio di minoranze molto più visibili e portatori di differenze culturali, religiose e sociali. Questi ultimi sembrano “rubare” la scena sociale cambiando la scaletta delle priorità divenendo i bersagli privilegiati delle fake news.
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