Giacomo Fondrieschi, una vita dedicata al bene comune
di Federica Ciampone
Classe 1917, ha dedicato gran parte della sua vita ad amministrare la città di Desenzano del Garda, occupandosi personalmente di tante opere pubbliche, a cominciare dall'ospedale, e del rilancio del settore turistico. Vi raccontiamo la sua storia
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Il signor Fondrieschi siede composto nel pittoresco salotto della sua bella casa, nel centro storico di Desenzano. “Ho troppe cose da raccontare, dovreste star qui tutto il giorno”, ci dice ridendo.
Tra i tanti lavori pubblici da lei realizzati, certamente l’ospedale di Desenzano è uno dei più noti. Ha voglia di raccontarci come andarono le cose? “L’ospedale di Desenzano l’ho fatto io, anche se non sono stato io ad inaugurarlo. Verso la fine degli anni ’60 venne a trovarmi un amico, l’allora segretario della Democrazia Cristiana, e mi disse che all’ospedale – che in quegli anni era in condizioni davvero pessime – serviva un presidente. ‘Io ho già scelto la persona adatta, ma dobbiamo fingere un’elezione. Vuoi entrare in terna? È solo una formalità, non sarai tu a vincere’, mi disse. Io accettai, e vittima di questo stratagemma alla fine fui costretto ad assumere la presidenza dell’ospedale. Da quel momento, ottenuta la fiducia dei Consiglieri, avviai i lavori di ristrutturazione del vecchio ospedale e quelli di costruzione del nuovo”.
Quanto ci volle in termini di tempo e di denaro? “Ottenni un fondo pubblico di 140.000.000 di lire tramite un amico senatore e potei così cominciare a costruire le ossature: ci vollero 14 anni per terminare i lavori, un lasso di tempo neanche esagerato per l’epoca. La spesa totale fu di un miliardo e 400.000.000 di lire, comprese tutte le attrezzature…una cifra neanche lontanamente sufficiente per costruire un ospedale oggi! Ma la cosa davvero interessante secondo me è un’altra. La legge di allora prescriveva che i servizi igienici fossero esterni alle stanze ospedaliere e fossero comuni a tutto il reparto. Un’enorme sciocchezza, pensai io! L’ospedale di Desenzano avrebbe ospitato con tutta probabilità migliaia di turisti in visita sul Garda, era impensabile avere pochi servizi igienici e per di più collocati esternamente alle stanze”.
E quindi cosa fece? “Mi imposi, e mettemmo i servizi igienici in tutte le stanze. Fu il primo ospedale in Italia ad averli, anche se nessuno lo dice. E sapete com’è finita? L’ospedale fu inaugurato da un’altra persona. Qualcuno diceva che avevo un brutto carattere, ma la verità è che io semplicemente avevo un carattere!”.
L’elenco delle opere volute e realizzate da Fondrieschi per i suoi concittadini è davvero notevole: piazza Matteotti e il lungolago, il campo sportivo Tre Stelle, il rinnovamento della casa di riposo, la piscina comunale, il primo restauro del Duomo, l’istituzione dell’Azienda di Turismo e Soggiorno e infine, ma non certo per importanza, la sistemazione dell’acquedotto durante l’epidemia di tifo che colpì la popolazione durante la seconda guerra mondiale. Una guerra cui Fondrieschi dovette prender parte e che ricorda con grande nitidezza.
Le va di condividere con noi qualche ricordo della guerra? “Avrei dovuto entrare in cavalleria, ma fui mandato a casa per un’impurità mitrale. Dopo quindici giorni, tuttavia, arrivò una seconda cartolina rosa: a quanto pare ero inidoneo ad entrare in cavalleria, ma senza dubbio idoneo a marciare per 70 chilometri con carichi enormi sulla schiena. Ad ogni modo, in guerra credo di aver conosciuto il mio angelo custode. Ero a capo di un reparto di camionette e quel giorno stavo andando a portare i rifornimenti in linea. Vidi tanti allievi carabinieri che mi osservavano…’significa che il fronte è ancora lontano’, pensai. Uscii dal passo, girai e mi trovai davanti un soldato, fermo su un sasso proprio in mezzo alla strada. ‘Sono ferito all’addome, devo andare in ospedale’, mi disse. Io gli risposi che non c’era problema, l’avrei accompagnato io. La sua risposta fu ‘No. Non ci arriveremmo perché lì finisce la strada’. E la verità era che di fronte a me c’era un enorme baratro, che io non avrei mai potuto vedere se lui non mi avesse sbarrato la strada per avvertirmi. Mi sono sempre chiesto chi fosse quel soldato, e cosa ci facesse lì proprio in quel momento. Mi piace pensare che aspettasse me”.
“Ho fatto anche due anni in un lager. Nel 1943 fui arrestato e deportato dai tedeschi mentre cercavo di raggiungere degli amici antifascisti in Valcamonica. Dopo sette mesi di lager non sentivi più la fame, ma pesavi 30 chili…chi non ce la faceva più metteva una firma di adesione al regime e se ne tornava a casa. Io avevo un sentimento antifascista molto vivo e tornai in Italia solo nell’agosto del 1945”.
Com’era Desenzano al suo ritorno a casa? “Completamente diversa, piena di gente nuova arrivata da altre parti d’Italia. I social comunisti non avevano fatto nulla per ricostruire la città, salvo pitturare di bianco la scogliera del lungolago…sembrava Marrakech! Dovevo fare qualcosa, e mi sono impegnato per rendere Desenzano un posto migliore. Non senza essere osteggiato, sia chiaro…se utilizzi i soldi pubblici per il bene pubblico non ti amano mica!”.
La simpatia contagiosa e i modi schietti del signor Fondrieschi contribuiscono a renderlo una persona davvero unica. Siamo grati di aver conosciuto un uomo che ha fatto tanto per rendere Desenzano la città viva e bellissima che tutti oggi conosciamo.
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