25 Gennaio 2018, 09.15
Calcio

Sarrismo

di Luca Rota

Il suo Napoli viaggia a ritmi alti. Sembra che quest’anno abbia finalmente imparato a vincere pur senza giocare bene. Quest’ultima è cosa di fondamentale importanza per vincere scudetti e coppe…


C’è una querelle storica riguardo ai diversi metodi di approccio alle partite. Gioco io, o faccio giocare l’avversario? Punto sul contropiede o sul gioco propositivo? All’italiana, all’inglese, alla spagnola o all’olandese?
 
In serie A, tranne pochi e coraggiosi esempi, si è quasi sempre optato per il gioco “nostrano”, soprattutto quando si è trattato di coppe europee, specie nelle gare in trasferta. Oggi la questione ritorna più attuale che mai, in un’epoca nella quale si preferiscono i calcoli al gioco. Qui nasce, calcisticamente parlando, Maurizio Sarri, erede della filosofia sacchiana, padre di un gioco tra i più propositivi e spettacolari del continente. 
 
Un maestro di calcio, amante del gioco offensivo, falso integralista, patito di tattica alla pari di molti suoi colleghi continentali, ma a differenza loro, senza far spendere alla propria società centinaia di milioni annui.
 
Le sue squadre giocano un calcio moderno, dove nessuna delle due fasi preclude l’altra. Da Empoli a Napoli non ha mai snaturato il suo credo, scevro da catenaccio e da ossessivo palleggio, intarsiato di verticalizzazioni veloci, tagli continui degli attaccanti, inserimenti degli interni e degli esterni bassi, con la squadra alta e corta, pronta a riconquistare un’eventuale palla persa e ripartire. Questa una sintesi veloce del “Sarrismo”, dove già due passaggi in orizzontale sono troppi.
 
Che si tratti di campionato o Coppa, poco cambia. Persino al cospetto di avversari quali Real Madrid e Manchester City, dove i risultati non sono stati quelli sperati, ha espresso un gioco all'altezza dell'avversario, mettendolo in seria difficoltà (Guardiola stesso non ha mancato di complimentarsi). Magari basterà soltanto assumere una mentalità vincente, e il tempo ci dirà. 
 
Ad oggi c’è di certo che quello espresso dai partenopei è il miglior gioco visto in casa nostra, in barba alle tattiche attendiste, solitamente piatto forte della casa. Le squadre di Sarri scendono in campo per vincere e giocare; i calcoli li lasciano agli altri. Perché va bene che col catenaccio il calcio italiano ha visto la maggior parte dei suoi successi internazionali, e due campionati del Mondo (nel ‘34 e nel ‘38 non era ancora stato inventato), ma vincere giocando e dominando è un’altra cosa. 
 
E questo Sarri lo sa, così come lo sapeva bene Arrigo Sacchi, grande innovatore del nostro calcio, che l’allenatore toscano non manca mai di elogiare. Perché la storia spesso soffre di memoria corta, soprattutto quella di casa nostra, dove si preferisce comodamente restare sul classico, senza guardare al di là del proprio naso. 
 
Ma se poi si aggiunge gente come Giampaolo, Oddo, Simone Inzaghi e Di Francesco, allora forse c’è speranza. Con buona pace del catenaccio, dei Mourinho e dei Capello di turno.
 


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