08 Aprile 2018, 10.50
Blog - Maestro John

Le tasche piene di sassi

di John Comini

Accadeva spesso. A ricreazione, in cortile. Un bambino correva verso di me esclamando “maestro John, guarda che bello!” E mi mostrava un sasso. Io esprimevo stupore. Ma non fingevo. Era stupore per la poesia che i bambini hanno nell’animo


I bambini hanno occhi diversi da noi grandi, ormai assuefatti a tutto, ormai annoiati di tutto. I bambini si stupiscono per un sasso levigato, o per un sasso di uno strano colore. È come se vedessero per la prima volta un tesoro. Quanti anni hanno i sassi? Quanta poesia c’è nel mondo?
 
I bambini sono capaci di regalarti un altro modo di vedere le cose. E spesso noi insegnanti siamo concentrati a trovare gli errori sul quaderno, a sottolineare con la biro rossa o blu le parole sbagliate, a sgridarli per un’operazione sbagliata. Intendiamoci: è importante far vedere l’errore, dire al bambino qual è la cosa giusta da fare. Ma senza sgridarlo, senza farlo sentire un incapace, senza fargli odiare la scuola.
 
E se il bambino si abbatte, dirgli, come canta Caparezza: “No, non è vero che non sei capace, che non c’è una chiave!”. È compito dell’insegnante trovare la “chiave” per capire dove sbaglia, per aiutarlo a correggersi. E poi magari il bambino aiuterà qualche compagno a fare lo stesso. Sbagliando s’impara, giusto? 
 
Insegnare, deriva da “in-signo”, lasciare un segno. Educare deriva dal latino “ex-ducere”, che significa far venire fuori il meglio che è dentro ogni bambino, aiutarlo ad esprimere se stesso, ad essere quello che è, a trovare il suo posto nel mondo. Non certo come è capitato a quello scolaro nel bellissimo (e verissimo) racconto dell’amico Ezio Gamberini, dove un bambino era costretto a “traslocare” da una classe all’altra perché considerato un peso, uno che da grande – a detta del maestro - era destinato a diventare un delinquente. 
 
Certo, non è facile. Ogni insegnante sogna una classe di bambini tutti belli, bravi, buoni … e che sappiano già tutto! Quando incontri un bambino problematico, si può essere assaliti dallo sconforto, anche perché spesso le cause sono da ricercare a monte, nell’ambito famigliare o sociale. Penso ai bambini di certi quartieri, di certe realtà urbane degradate. 
 
Il fallimento di una classe è il fallimento di un insegnante: non ci sono eccezioni a questa regola. L’eccessiva severità maschera inadeguatezza. Certo, neppure il miglior insegnante può far molto, se trova continue chiusure. Dicono i cinesi: il maestro arriva quando il discepolo è pronto…
 
Claudia De Lillo trascrive le parole di una maestra ad una riunione dei genitori: “I bambini di oggi, i vostri bambini, sono rapidi, veloci, faticano a soffermarsi su un concetto più a lungo di tre minuti. Non sanno dare risposte pertinenti, figuriamoci articolate. Non sono in grado di raccontare storie con un prima e un dopo. Fanno tante cose contemporaneamente. Sono discontinui. Pensano per immagini, per frasi sincopate. Si distraggono in continuazione. Raccolgono input ma non elaborano. Sono abituati a essere bombardati di stimoli e non sempre sanno gestirli. Questo, almeno nello studio dell’italiano, non va bene. Non è un pregio, dal mio punto di vista. Non è un’evoluzione, semmai un’involuzione. Questi bambini vanno aiutati a pensare, e a fare una cosa per volta. Dobbiamo aiutarli noi a scuola, ma dovete aiutarli anche voi a casa.”

Sento di scuole dove ci sono schiamazzi continui, insegnanti che continuano a dare inutili note sul registro. Difficile tenerli tranquilli, farli stare seduti. Quasi impossibile mantenere il silenzio. E poi adesso sono tutti promossi… La sensazione che ogni docente ha provato almeno una volta nella vita: essere invisibile in una classe in subbuglio.
 
È un misto di frustrazione e di rabbia, di voglia di fare bloccata dal senso di fallimento. Questo, in fondo, è il mestiere dell’insegnante: una sfida continua a tener desta l’attenzione, a coinvolgere, a insegnare nel modo più accattivane possibile. Ma a volte, in alcune classi, occorrerebbe procedere prima in modo diverso: libri chiusi per qualche ora, spazio ad altri contenuti. Magari a una lezione pratica, fuori dall’aula, sulla bellezza del silenzio, sul come affrontare le paure che genera in noi, sulla ricchezza che invece può donarci. Quella dell’insegnante è un’arte difficile, destinata spesso alla sconfitta. Ma non bisogna mollare, mai… 
 
“L’insegnante deve possedere una seria preparazione pedagogico - scientifica, ma nello stesso tempo deve essere guidato da quell’amore che è necessario al maestro per renderlo veramente educatore dell’umanità.” Così scriveva la mitica Maria Montessori nel 1909.Altrimenti, aggiungo io, tanto varrebbe avere insegnanti - robot…
 
E poi molti bambini hanno problemi particolari. Per molti un errore nasce dall’insicurezza. Magari ha paura di sbagliare. Io stesso, quando sono osservato, mi “impappino” e non ricordo cose che in condizioni normali ricorderei. Chi è sereno, lavora e studia bene. Chi studia e lavora bene, quasi sempre, produce risultati. Non bisogna aver paura di sbagliare, e soprattutto di essere giudicati.
 
E Baricco, a proposito di errori nello sport (che poi è metafora della vita): “E ti appare chiarissimo, tutto in un istante, che non c’è salvezza, non c’è difesa contro l’errore, e sempre sarà così, che continuerai a dire la frase sbagliata nel momento sbagliato, e a non fare l’unica cosa che sai che dovresti fare, e a cadere nelle trappole che hai imparato a memoria, e ad aver paura  sempre della stessa cosa, in eterno, e a non capire quello che mille volte ti sei spiegato, e a far del male anche se già lo sai che lo farai. Non c’è niente da fare. Se sbaglia Becker quella palla idiota, perché mai uno non dovrebbe sbagliare gli smash della vita? Puoi spendere anni a vivere, ore a leggere libri, milioni a farti allenare dallo psicanalista: ma alla fine la palla è in rete che finisce. L’errore annulla qualsiasi passato nell’istante in cui arriva a bruciarti qualsiasi futuro. L’errore azzera il tempo, qualsiasi tempo. Vedi cosa riesce a spiegarti il tennis, senza dar nell’occhio: che quando sbagli – nel preciso istante in cui lo fai - sei eterno.”
 
L'arte di vincere si impara nella sconfitta, come disse Simon Bolivar.
Anche uno bravo a fare le rovesciate come Ronaldo, può sbagliare un gol a porta vuota (battuta di uno juventino in lutto).
 
È celebre la frase di Michael Jordan: “Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l'ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che ho avuto successo.” 
Albert Einstein da bambino non riusciva a leggere e a scrivere, faticava tanto a imparare, non riusciva a ricordare niente. E Leonardo Da Vinci aveva difficoltà a leggere e a scrivere. Scriveva “a specchio”. Pablo Picasso, l’inventore del cubismo, non ha mai capito il numero 7, gli sembrava il naso di suo zio al contrario. Walt Disney era irritato dall’alfabeto e poi ha inventato i cartoni animati. Agata Christie, grande autrice di libri gialli, da piccola non riusciva né a leggere né a scrivere…
 
Ho letto di bambini con la sindrome di Asperger, una condizione di vita che ha parentele con l’autismo. Isola la persona nel proprio mondo, e spesso ne esalta la “genialità”. Com’è accaduto a Mozart, Newton e Darwin. 
Parlare ai bambini di differenze e di disabilità non è facile, ma è necessario perché le finalità educative della scuola sono orientate al benessere e all’inclusione di tutti.  
Siamo tutti diversi. Siamo diversi perché ci piacciono cibi diversi, siamo diversi di capelli, di occhi, di altezza, di faccia, di colore della pelle, perché parliamo lingue diverse, perché abbiamo pettinature diverse… Se non esistessero i colori non ci sarebbe l’arcobaleno. Solo cogliendo le particolarità di ognuno si può valorizzare e stimare l’altro. Siamo pezzi unici e straordinari di un unico puzzle chiamato mondo.
 
Questa settimana le due scuole dell'infanzia e primarie di Prevalle e Villanuova attueranno il progetto “InsuperAbili”. Sarà l’occasione per parlare di differenze, per riflettere sulla disabilità, mediante fiabe illustrate, storie, filmati, giochi sensoriali. Ci saranno interventi della cooperativa COGESS (Progetto Calamaio), di scrittura creativa della scrittrice e formatrice Mariarosa Ventura, creatrice del blog “Fiabe in costruzione". Arriverà la cara collega e scrittrice Fiammetta Segala, autrice dei libri “Il cuore sul banco" (ed. Mannarino) e “Rime rimate" sulla matematica in versi.
 
Sui cancelli della scuola vicino ai parcheggi riservati alle persone con disabilità verranno messi cartelloni per ricordare a tutti il rispetto dei diritti di tutte le persone. 
I bambini delle quinte canteranno con la canzone “Simili” di Laura Pausini: 
 
“Io così simile a te a trasformare il suono della rabbia
io così simile a te, un bacio in fronte e dopo sulle labbra…
la meraviglia di essere simili, la tenerezza di essere simili 
la protezione tra esseri simili…
Arrivi tu che fai passare la paura di precipitare…
Io così simile a te liberi e prigionieri della stessa gabbia
io così simile a te un bacio in fronte e dopo sulle labbra
la meraviglia di essere simili, la tenerezza di essere simili
la commozione per essere simili, la protezione tra esseri simili…”
 
Una vignetta. C’è un signore accanto ad un ragazzo in carrozzina, il signore pensa: Handicappato? Disabile? Diversamente abile? Non deambulante? E il ragazzo: “Veramente mi chiamo Filippo!”
 
Giacomo Mazzariol nel libro “Mio fratello rincorre i dinosauri” racconta del fratello minore Giovanni (lui lo chiama Gio), che ha la sindrome di Down, e di suo padre che così gli parla:
 
- Il punto è che Giovanni è Giovanni. Non la sua sindrome. Lui è se stesso. Ha un carattere, dei gusti, dei pregi e dei difetti. Come tutti noi. Sarà un po’ più lento a imparare le cose. In generale avrà bisogno di un briciolo d’aiuto. Sarà un po’ in ritardo… - Anche noi ieri siamo arrivati dai nonni in ritardo – dissi. - Non in quel senso. - E in che senso? - Come un treno sui binari. Giovanni avrà bisogno dei binari proprio come un treno, e i suoi binari saremo noi. E se sarà in ritardo, pazienza…
 
Ricordo che quando Gio era più piccolo mamma diceva sempre che doveva portarlo di qua e di là, a fisioterapia, a musicoterapia, a logo-qualcosa-ia. Erano nomi difficili da ricordare, ma finivano tutti in –ia, così, quando sentivo mamma urlare dalla porta di casa “Vado a qualcosa-ia”, sapevo che aveva a che fare con Gio. Mamma farebbe qualsiasi cosa per noi. Mamma ha rinunciato alla laurea a due esami dalla fine per stare dietro alla famiglia. 
 
Mamma lava, stira, pulisce, mette in ordine, cucina; e le poche volte che rientrando da scuola non troviamo il pranzo pronto in tavola è comunque pronto nel frigo o nel forno o nella pentola. Mamma è un’imprenditrice. Investe ogni giorno su di noi. Non investe soldi, ma tempo, ore, secondi. Vita. Anche perché soldi da investire in casa Mazzariol non ce ne sono tanti. Ma noi non ce ne siamo mai davvero accorti. O per lo meno non ce ne siamo mai accorti noi figli. 
 
A volte immagino quanti pensieri abbiano riempito di nuvole la mente dei nostri genitori, in questi anni. Ma se quelle nuvole portavano pioggia, be’, noi non lo abbiamo mai saputo: a noi non ne arrivava neppure una goccia. Mamma e papà si sono beccati la pioggia al posto nostro…
Mamma diceva che amare un fratello non vuol dire scegliere qualcuno da amare; ma ritrovarsi accanto qualcuno che non hai scelto, e amarlo. Ecco, scegliere di amare, non scegliere la persona da amare…
La vita con Gio era un continuo viaggio tra gli opposti, tra divertimento e logoramento, azione e riflessione, imprevedibilità e prevedibilità, ingenuità e genialità, ordine e disordine. Gio che si butta a terra fingendo di cadere per sbaglio. Gio che scrive ogni azione prima di farla. Gio che salva una lumaca dalla nonna che la vuole cucinare. Gio che, se gli chiedi se quello che ha in mano è un pupazzo o un lupo vero, risponde: “Pupazzo vero”. 
 
Gio che fa lo sgambetto alle bambine solo per aiutarle a rialzarsi, far loro una carezza e chiedere: “Come stai?” Gio che: in Africa ci sono le zebre, in Asia i Panda, in Cina i cinesi. Che se passano dei cinesi ride e si tira gli occhi, anche se li ha già come loro. Che la più grande disputa è stata se il T-Rex era carnivoro o erbivoro... Gio che non capisce perché la sua ombra lo segue, e di tanto in tanto si volta di scatto a vedere se è ancora lì.
 
La sua preferita resta Giulia. Mi ha detto che la vuole sposare. – Gio ci resterà male il giorno in cui scoprirà che non può sposarsi. – E perché no? – chiese papà continuando a pescare mandorle nella ciotola. – Come perché no? – Cosa significa per lui sposarsi? Pensateci. Vestirsi eleganti e fare una festa. Vorrà dire che prima o poi ci vestiremo eleganti e faremo una festa… - E quando vorrà avere un figlio? Gli regaleremo un bambolotto? – Be’, gli diremo che non può averne. Così come Giacomo sa che non potrà mai giocare a basket tra i professionisti, anche se è la cosa che desidera di più. – Io credo, - disse mamma - che dobbiamo anzitutto calibrare le nostre aspettative, e riuscire a vedere la sua vita con nuovi occhi. È una questione di sguardo.”
 
“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà l’intera vita a credersi stupido.” (Albert Einstein)
 
Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile.
 
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo

Maestro John Comini 


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