08 Giugno 2008, 00.00
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L'intervista

Tre domande per un circo contemporaneo

Tre risposte ad altrettante domande poste al Sig. Cristoforetti, direttore artistico della “Festa Internazionale del Circo Contemporaneo”, ci possono aiutare a comprendere meglio il senso e gli obiettivi della manifestazione da lui diretta.

Tre risposte ad altrettante domande poste al Sig. Cristoforetti, direttore artistico della “Festa Internazionale del Circo Contemporaneo”, ci possono aiutare a comprendere meglio il senso e gli obiettivi della manifestazione da lui diretta.

Circo contemporaneo: circo, teatro, danza, musica suggestioni, forme d’arte varia. Perché l’elemento che non può mancare e che accomuna tutte queste cose perché si possa parlare di “circo contemporaneo” e non di “arte contemporanea”? cosa non deve mancare?
In effetti oggi le arti sfuggono alle definizioni rigide, e i generi si mescolano. Ma il circo contemporaneo è essenzialmente virtuosismo del corpo. Un corpo quasi sovrannaturale, che si muove come nella danza e ci racconta qualcosa come nel teatro, ma possiede tecniche che gli sono proprie, permettendogli di volare al trapezio, o compiere acrobazie, o di manipolare magicamente oggetti di vario genere.

Negli spettacoli a cui ho assistito ho sempre notato una propensione a rompere gli schemi, a non badare a regole, a sorprendere il pubblico, a volte spiazzandolo totalmente. Una sorta di anarchia artistica. Credo anche il circo, come altre opere artistiche tenda a rappresentare la situazione attuale vista tramite gli occhi dell’artista stesso, a rappresentare la precaria situazione umana ed emotiva dell’epoca contemporanea. Crede che si possa trarre dagli spettacoli proposti una lettura della realtà? Se sì, che realtà ne esce?
Si deve sempre collocare l’arte ben dentro la società, il tempo e le città della nostra vita. Nei periodi di serenità sociale, questo può avvenire nei musei o nei teatri, ma nei momenti di maggior turbolenza, quando trasformazioni ineluttabili sono in atto, credo che sia inevitabile uscire da quelle che rischiano di divenire nicchie, e fare in modo che lo sguardo dell’artista partecipi agli eventi. Oggi poi, con la società che lascia trapelare un senso di lacerazione, sono anche importante i modi della fruizione. Ecco perché da due anni lavoriamo su spettacoli itineranti collocati nel tessuto cittadino, che portano lo spettatore ad un rituale collettivo anche faticoso, ma estremamente gratificante sul piano della condivisione di una serata con altri.
Ed ecco perché ne “Il mio solo desiderio” tocchiamo spazi così rilevanti sul piano simbolico : Il museo d’arte della città, una casa di riposo per anziani, un chiostro cinquecentesco dei Missionari Saveriani… Questa è la nostra città, e con l’equilibrio difficile tra la forza visionaria dell’artista e il suo timore per il rischio che corre, il circo ci racconta molto del nostro stare al mondo di oggi.

Una grande vittoria ed un grande rimorso dopo 8 edizioni di “festa del circo”.
La vittoria è che la manifestazione appartenga ormai a veramente a tutta la città, a tutti i pubblici e a molte componenti sociali. Non ho veri rimorsi per il passato, ma piuttosto qualche inquietudine per il futuro. Ma non saremo certo soli, in questo, no?

Davide Vedovelli


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