02 Febbraio 2020, 08.30
Blog - Maestro John

Il Re dei postini

di Maestro John

Ogni paese ha le proprie figure caratteristiche. Una di queste era il postino Re Vittorio


Piccolo di statura, aveva una folta capigliatura grigia che sul davanti formava una vistosa “banana” lucida di brillantina, ed i baffetti impomatati che tenevano ritti i due mustacchi, proprio come si vedevano nell’effigie del Re sui francobolli.

Nato nel 1876, ancora giovane aveva iniziato l’attività di “procaccia postale”.
Due volte nei giorni feriali e una alla domenica, aspettava l’arrivo del tram sul ponte, riceveva il sacco della corrispondenza in arrivo e consegnava quello che doveva partire.
Poi, smistata la posta, dava inizio al suo giro quotidiano, con la fedele bicicletta alla quale era fissata sul davanti la capace borsa di cuoio piena fino all’inverosimile.

Percorreva in lungo e in largo il paese, le frazioni e le case sparse. Noncurante della pioggia o della neve, del freddo o del sole cocente. Affinché i pantaloni non si impigliassero nella catena della bici o si sporcassero, era solito fermarli, in basso, con due mollette da bucato. Quando aveva molta posta da consegnare, si faceva aiutare dalla figlia Marcella. La casa del postino era situata all’angolo tra Via Chiesa e Largo Ponte, dove ora c’è l’Oreficeria dei fratelli Berardi.

Calcolando che abbia percorso in media 10 km al giorno, alla fine dell’anno ne aveva coperti 3.650.
Moltiplicando questo numero per i 52 anni di servizio si ha un totale di 189.800 km, e calcolando che la lunghezza approssimata della circonferenza della terra all’equatore è di circa 40 mila km, si conclude che Vittorio ha fatto il giro del mondo ben oltre 4 volte e mezzo.

Nonostante ciò, era sempre ilare. Tutti potevano fermarlo e chiedergli: “Vittorio, c’è posta per me?” e riceverne in cambio o una missiva o una cortese risposta. Quando rispondeva “Nulla!”, sembrava rattristarsi di non poter soddisfare la richiesta.

Durante alcune feste di nozze veniva invitato, perché sapeva intrattenere e divertire la gente con le sue trovate comiche.
Quando era allegro diceva: “Cosa c’è scritto sul mio cappello? R.P. (Regie Poste) Ruffiano Patentato, perché porto la posta ad innamorati ed amanti”.

Ogni fidanzata che avesse il “moroso”, magari emigrato, gli gridava interrogativa: “Vittorio?” e lui aveva sempre una risposta infiorata con un complimento, che rendeva meno amaro il mancato arrivo della missiva. “Spiacente cara! Domani! Sei però nel suo cuore, io lo so!
Se poi aveva lo scritto tanto atteso, dieci passi prima di arrivare all’uscio era lui che annunciava: “Posta! Posta per Giulietta dal suo Romeo!”.

Gli piaceva molto dare il vezzeggiativo dei nomi: Maria diventava Mariella, Mariù, Mara, Mery, Mariuccia ecc.: Angela era Angiola, Angiolina, Angioletta; Caterina si trasformava in una tolstoiana Katia o in una brescianissima Catì.
Spesso impreziosiva l’indirizzo di splendidi aggettivi: “Alla bella…alla graziosa…ai riccioli biondi e bruni di…alla canterina…” oppure traeva dall’indirizzo del mittente questi spunti: “dal prode alpino…dallo svelto fante piumato…dal fantaccino…ecc.

Per i giovani che attendevano “nuove” dalla loro ragazza che era andata a “servizio”, aveva apostrofi di questo genere: “allo zerbinotto…al baldo…al conquistatore…
Però sapeva che in alcuni casi bisognava consegnare la busta senza farlo sapere a tutti. Ciò avveniva quando era a conoscenza che gli affetti giovanili erano contrastati dalle famiglie, come nel caso di quel garzone che si innamorò, riamato della padroncina.
I familiari di quest’ultima erano tenacemente ostili, tanto da allontanare il garzone e lui aveva aperto una bottega da solo.
Finì però che i due si sposarono (ah l’amore, l’amore!), e vissero felici e contenti.

Vi fu però un tempo che Vittorio, quando doveva passare davanti a certi usci, cercava di non essere visto.
Erano gli anni della guerra 15-18: nei quali molte mamme, fidanzate, spose, attendevano da settimane una “cartolina in franchigia” scritta da un loro caro al fronte, dove Vittorio sapeva dai giornali che vi era stato un furioso combattimento.
Ferito? Disperso? Prigioniero? Morto? Aveva una parola buona di speranza e di conforto. In quegli anni la sua casa si era trasformata quasi in una succursale dell’ufficio postale: tutte le contadine, le artigiane e le operaie, che volevano spedire pacchi ai loro cari, ricorrevano per la confezione secondo le norme a Vittorio e Angiolina, ed essi di buon grado aiutavano tutti.

Tutti volevano bene a Vittorio, e lo si vide quando si verificò un episodio comico ma che poteva anche procurargli dei problemi.
Era consuetudine offrire un bicchiere di vino a chiunque capitasse in casa: Vittorio quasi sempre declinava l’offerta, ma quel giorno si era lasciato tentare.
Ad una osservazione fattagli da qualcuno, rispose ad alta voce: “Rispettate Re Vittorio!”. Il caso volle che la frase fosse udita da un milite della Benemerita, giunto da pochi giorni in paese e ignaro del curioso bisticcio creato dalle parole omonime, cosicché redarguì Vittorio.

Questi, in virtù del sapido vinello, ribatté: “Rispettate Re Vittorio!”.
Il portalettere venne accompagnato in caserma. Qualcuno, che aveva assistito alla scena, corse all’albergo “Braga” ad avvertire i maggiorenti del paese che stavano facendo la consueta partita a carte. Subito si recarono dal maresciallo per spiegare l’equivoco.

Era facile dimostrare che Vittorio non voleva mancare di rispetto al Re, tanto più che aveva dato ai suoi figli i nomi dei principini di casa Savoia, in omaggio all’amato sovrano.
Infatti il primo figlio si chiamava Umberto, il secondo Amedeo; e spesso, parlando di sua moglie Angiolina, era solito definirla “la mia Regina!”.
Il maresciallo sorrise e lasciò libero il Vittorio Re gavardese, che anche per la statura richiamava il Vittorio Re d’Italia…

Quando nel 1940 sopraggiunse la guerra e molti giovani del paese dovettero partire, Vittorio si vide aumentare il lavoro per la mole di corrispondenza che arrivava dai vari fronti: non solo non se ne lamentò, ma anzi si mostrò lieto di poter consegnare alle famiglie le lettere che giungevano dalla Grecia, dall’Albania, dall’Africa o dalla Russia.
Provava invece una grande pena quando queste missive cessavano improvvisamente per qualche doloroso evento capitato a un soldato lontano: era come se il dolore delle madri, delle spose e delle fidanzate si ripercuotesse anche in lui, e non poteva non pensare al proprio figlio in armi, anch’egli esposto ogni giorno agli stessi pericoli.

Quando arrivò il giorno della pensione, tutta Gavardo gli si volle stringere intorno per festeggiarlo.
Il colonnello Giacobinelli, presidente dell’Associazione Combattenti e Reduci, si fece promotore di una sottoscrizione popolare. Gli fu regalato un “album d’onore” con le firme dei concittadini (c’è anche quella del mio papà!) e un premio in denaro.

Il giornalista Eugenio Bertuetti
, che da Torino dirigeva la “Gazzetta del popolo”, ricordando la propria mamma che era stata ufficialessa postale, scrisse di lui: “Tu avevi il berretto nuovo fiammante, la borsa odorosa di cuoio fresco, due baffetti arricciati e ambiziosi, un ciuffo rubacuori sulla fronte…”

Il 21 giugno 1953
, nella sala del Cinema Italia gremita all’inverosimile, l’intero paese volle sentirsi vicino a Vittorio: da Monsignor Ferretti al Sindaco Franchi, dal dottor Rossini agli addetti dell’Ufficio Postale, alle Distillerie De Luca, alla Società Elettrica Bresciana zona di Gavardo, al Lanificio, all’Unione Culturale e Sportiva Gavardese, al dottor Bruni Conter, al commendator Piero Zola, alla Banda Musicale, alla maestra Beatrice Ferretti che gli dedicò una simpatica poesia in dialetto.

Con l’abituale arguzia, Vittorio esclamò: “I miei buoni e cari concittadini hanno visto i miei meriti con la lente d’ingrandimento!”.
Vittorio se ne andò all’età di 84 anni. Altri tempi, altre persone!

Ho avuto la fortuna di conoscere Umberto
, figlio di Vittorio: era un bravo violinista, l’avevo conosciuto in occasione di uno spettacolo del Teatro Poetico Gavardo in cui suonò in modo magistrale.
Ho conosciuto anche Angela, la figlia di Umberto: raccontava commossa che, durante il bombardamento di Gavardo, era rimasta abbracciata alla mamma, Chiodi Caterina di 35 anni, ormai morta, sotto le macerie. Angela aveva solo 12 anni… ora abita a Villanuova.

Parlando di poste, non posso scordare il mio amico Peppino Coscarelli, venuto dalla profonda Calabria.
L’ho conosciuto quando lavorava all’Ufficio Postale accanto al negozio di scarpe di mio papà. Girava sempre con la sua lucente Honda, e lo apprezzavo per il suo senso dell’umorismo.
Si è subito inserito nel paese, facendosi apprezzare da tante persone. Lo andavo a trovare anche quando ha lavorato all’Ufficio di Bostone e di Prevalle. Pian piano è diventato Direttore delle poste di Rezzato.

Da quando è in pensione
si dedica come volontario al Patronato di Prevalle e di Serle. Da sempre appassionato di teatro (faceva spettacoli comici con il caro Tano Mora a Sopraponte), ha recitato nel Gruppo Teatrale Gavardese e poi nel Teatro Poetico.
Adesso collabora con me agli spettacoli “civili” di Andrea Giustacchini e Luca Lombardi (Don Milani, Nicolajewka…) e a quelli di Paola Rizzi, la mitica Signora Maria, dove fa da organizzatore e da “battutista”.

Peppino infatti conosce migliaia di barzellette e battute: le sa tutte!
È papà di Daniele (appassionato musicista, con la maestra Francesca Moscariello gli ha regalato il bellissimo nipotino Filippo) e di Francesca (mamma di tre splendidi ragazzi: Sebastian, Julian e Noa).
Poiché Peppino è uno chef davvero bravo (gustosissima la pasta alla “cubana”!), spesso invita figli e nipoti alla propria tavola, in una gustosa e simpatica sarabanda.

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo
maestro John

Nelle foto:
1) Il postino Re Vittorio
2) Gruppo di famiglia
3) La nipote Domenica Re con il marito Silvio Lauro alla Caminada söl Cés nel 1973 (foto dell’amico Lavo)
4) Il mio amico Peppino Coscarelli


Grazie a Domenica Re, figlia dell’Amedeo, che mi ha passato immagini e documenti sul nonno Vittorio.
Mi sono avvalso degli scritti di Antonio Abastanotti, al maestro Piero Simoni (ha appena compiuto 100 anni: augurissimi!) ed al signor “Dino” (suo il bell’articolo sul bollettino “Il Ponte” nell’aprile 1961)




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