05 Aprile 2020, 10.36
Gavardo
Blog - Maestro John

Il paese immaginario

di Maestro John

Guardo fuori dalla finestra. Strade vuote. Silenzio irreale. Passa un uomo con due cani al guinzaglio. Sfreccia un ragazzo in motorino, porta il pane...


Quanto tempo è che non passo dal centro del paese? Guardo fuori dalla finestra e vago con la fantasia. Immagino me bambino, coi pantaloni corti, che cammina per le strade del paese.
I ricordi  mescolano i tempi e i luoghi.

È come ritornare ad un tempo sospeso. Vedo me bambino che mi reco a prendere il latte con una bottiglia di vetro dalla signora Rizza. Fa anche un ottimo gelato. Vedo un altro gelato, quello cioccolato e crema che scende a spirale dalla macchinetta del bar Gianni.
E anche il mitico Piereto, con il suo carretto dei gelati. Il Piero Tedoldi passa in macchina con l’altoparlante ed invita ad un incontro alle Acli.
Ecco el Zanasi con le pelli di coniglio, il signor Mabellini detto “El Galo” che gira con la sua Guzzi, chiamata “Galletto”.

El Galo accudisce due campi, il campo di football e il camposanto. In moto giunge il Rivetta che va in giro a vendere il pesce al grido: “Fomne el palumbo!”
In via Quarena raggiungo il negozio di mio papà, prima della straordinaria Chiesa di San Rocco. Mio papà vende anche cuoio e chiodi, che si pesano sulla bilancia: mi diverto a giocare coi pesi. Bevo un’aranciata al bar del Chiarini. Passo davanti alla Ranesi, dove mia mamma compra frutta e verdura. Saluto il mio amico Giusi Lazzarini, ci diamo appuntamento all’oratorio.

Sull’angolo con vicolo Beveraggio ci sono Ismaele Giacobinelli e il figlio che fanno gli idraulici. Osservo il centralino dei telefoni. Passo davanti al negozio della Saöla, attraverso la strada e vado a farmi tagliare i capelli dal Vittorio Torri, vicino all’Albergo Braga. Lì vicino abita il mio amico Paolo Goffi, che incontrerò a scuola.
“Riverisco!” Monsignor Ferretti mi fa un sorriso.

Ecco passare sulla strada il Placido Poletti
, con il suo carro tirato da un cavallo.
Mi piace osservare le persone che attendono alla fermata dei pullman della SIA.
Passo sul ponte, davanti al bar-ristorante delle Acli. I giovani fischiano alle belle ragazze che passano.
Entro a comperare le figurine nella cartoleria della mamma del mio amico Teddy.

Passo davanti alle Scuole Elementari
e vado dal mio amico Gabriele Rivetta a giocare, in via Santa Maria, dove saluto la dolce mamma e il papà Carlo, amico di mio papà. Poi corro all’oratorio.
Fuori si sente la voce del “Giulieto” che dal cancello del ricovero chiama: “Fffsss, gnaro, va a töm el toscano!” Passano alcune suore Orsoline, dinanzi allo stupendo Monastero. C’è la campanella, vicino alla ruota di legno che le suore usano per far passare una scodella di minestra ai poveri. Come “el Zanela”, che mangia e poi andandosene grida: “Rierà i Rusi!” All’oratorio incontro tanti amici. La sera e la domenica mio fratello Dino è impegnato in mille sport.

Suona la sirena del Lanificio. In lontananza s’ode il fischio del treno che porta al “Bustù”. Quanta gente che lavora in paese: ci sono la ditta Manenti-Mobili, le sàatine, la fornace Ferretti, la Distilleria De Luca, la Fonderia, ci sono mille valenti artigiani, ci sono tante botteghe e tante osterie.
Vado a trovare il mio grande amico Deni: con un sorriso mi saluta mamma Silvana.

Al sabato ci sono le confessioni. Arriva di corsa don Giovanni con la sua bicicletta e il suo sorriso. Paterfiliispiritussanctiamen: Ho detto le bugie, non ho fatto i compiti, non sono stato buono, per penitenza dirai 3 Ave Marie alla Madonna e poi föra a zigà söl sagrat, e si corre più leggeri, con l’anima candida come San Luigi Gonzaga.

Le Messe, i vespri e tutte le funzioni sono in latino, e il sacerdote è girato di spalle. Saluto il sagrestano, el Burtulì.
Il fiume va: quanta acqua è passata sotto i ponti, e ne passerà ancora, si spera.
Torno a casa. Sento mia mamma che canta “Chi gettò la luna nel rio, chi la gettò?”. Accanto c’è la casa della Palmina e dell’Eugenia, la dolce mamma fa la custode delle biciclette del Cinema Salone.

Qui mi fermo con la fantasia e penso ad Eugenia.
Quando è andata in cielo, le avevo scritto…

“Cara Eugenia, vorrei essere un poeta e dedicarti una bellissima poesia.
E in questa poesia vorrei ricordare la nostra infanzia, quando insieme a te ed ai bambini della piazza De Medici correvamo sul sagrato, libero da macchine e rumori, mentre la vita ci sembrava scorrere serena e spensierata.
Vorrei ricordare quando giocavamo a cip, vicino alla Casòta del Bigio o presso la canonica, e speravamo che il sole non tramontasse mai, e non conoscevamo cosa volesse dire la parola tristezza o cosa significasse il dolore.
Quando suonava il campanello della tua casa, io chiedevo: ‘Mamma, è Santa Lucia? No, Giovanni, dormi... è il campanello della Palmina e dell’Eugenia...’

Guardavamo l’Isolo e l’acqua del fiume che scorreva... Io vorrei essere un poeta per fermare con le parole l’incanto della nostra infanzia, cara Eugenia. Poi la vita ci ha dato destini diversi...
Quelle poche volte che venivo a trovarti alla casa di riposo, in un primo momento non sapevo cosa dirti... avevo voglia solo di accarezzarti, di abbracciarti, e mi veniva da piangere al pensiero di quanto sia stata ingiusta la vita con te.
Ma poi ti vedevo, seduta, e tu mi sorridevi, e con il tuo sorriso mi aiutavi a venirti incontro.

Ti piaceva tirarmi in giro, dirmi che non ho mai capito niente, e dietro il tuo umorismo c’era tutta la tua saggezza. Conoscevi tutti, ti facevi ben volere da tutti e tutti ti regalavano un sorriso: malati, anziani, personale, suore, volontari, tutti.
Cara Eugenia, solo adesso posso dirti che mi hai insegnato come si sopportano i mali della vita, la semplicità del cuore. Adesso sei con la tua mamma e con il tuo fratello Andreino e con le persone che ti hanno donato amore, e sono certo che Gesù ti abbraccerà con la Sua tenerezza infinita e ti regalerà tutto quello che la vita non ti ha dato.

Ricordo il magico presepio che con tua mamma e con Palma facevi da bambina: era un presepio di muschio e di batuffoli di cotone, pieno di statuine di ogni tipo, ed io restavo incantato a guardarlo per ore e ore: c’erano anche dei soldatini in quel presepio, ma non sparavano, anche loro erano buoni. Io sono qui che corro, che faccio progetti, e non ho ancora capito che il senso della vita sta nella semplicità del cuore: quella semplicità profonda che avevi tu, cara Eugenia, quella dolcezza e quella purezza che adesso ti fanno bella come un angelo.”


D’un tratto si sente da lontano il suono lancinante di un’ambulanza. Penso a chi sta male. Penso ai soccorritori, eroi di questi giorni bui.
Penso a don Angelo Marini, che è tornato alla Casa del Padre. Ha svolto il servizio sacerdotale come vicario cooperatore a Gavardo dal 1976 al 1987. Faceva magistero alle catechiste, veniva sempre a vedere i miei spettacoli, di lui apprezzavo la sapienza biblica e il sottile umorismo. Ora, come ha scritto l’amico Marco Franzini, in cielo si incontrerà con Don Francesco Zilioli.

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo
maestro John

Nelle foto:
1) Le signore Mabellini Luigina e Catterina, la signora Vitton Mea con il caro Silvio Vitton Mea (grazie per la foto alla simpatica Ornella Persavalli, moglie di Fausto Franceschetti e mamma di Mauro, atleta provetto)
2) Gruppo di Aspiranti dell’Oratorio
3) USO Pallavolo
4) Il caro don Angelo Marini alla Festa per la Prima Messa celebrata dall’amico don Paolo Goffi





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