Uno scampolo di Valsabbia in Australia

Una zia emigrata nel 1951, gli anni del grande esodo. Quelli segnati da ben due guerre che parevano non voler lasciare nemmeno un bagliore di speranza. Quelli della ricerca di una vita migliore. Quelli di un popolo che non aveva davvero più nulla da perdere, neanche la famiglia.
Una nipote che riscopre la storia di «quegli» anni, nel 2008. Per riappropriarsi di un tassello antico e ancora troppo sfumato, quello che racconta delle sue radici. La zia Francesca, conosciuta solo nel bianco e nero di fotografie impolverate, i cugini John e Frank immersi in realtà lontane e scampoli di narrazioni di ciò che è stato. Sullo sfondo, la terra da cui tutto ha preso avvio, Agnosine. E un’occasione, la Giornata Mondiale della Gioventù. In Australia.
Potrebbe sembrare il perfetto canovaccio di un romanzo commovente, invece è l’avventura di Elisa Gorizia, ambientata nella Brescia della metropolitana, dell’inceneritore, dell’innovazione. Nata e cresciuta ad Agnosine, Elisa ha telefonato a «Pronto Giornale di Brescia» per condividere il suo viaggio nel viaggio. Una storia iniziata il 13 luglio scorso in compagnia dei pellegrini bresciani partiti alla volta di Sidney, dove, giovedì 17, sul grande molo di Barangaroo hanno incontrato Papa Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Gioventù.
Dopo la Veglia e la Messa conclusiva del sabato, celebrata nell’ippodromo di Randwich, in cui il Papa «è stato tramite di un’atmosfera unica, fatta di emozioni e di convivialità, di condivisione e di partecipazione», è iniziata la sua seconda avventura, quella del «grande incontro». «Finalmente potevo abbracciare i miei parenti», spiega Elisa. Quindi pronti, via: prima il volo diretto a Townsville, poi l’approdo a Brandon, la meta perseguita.
«Rispolverai i libri di storia per capire meglio - ricorda la ragazza - e appresi che tra il 1951 e il ’61 furono 170mila gli italiani che lasciarono l’Italia per l’Australia». Solo pochi emigranti partivano però con la famiglia al seguito, i più si avventuravano soli, e tra gli scapoli era consuetudine sposarsi «per procura». Fu così quindi anche per Battista Gorizia, fratello del nonno di Elisa. Una volta lasciato Agnosine, fu reclutato per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero, nel Queensland.
Passato un primo periodo di «orientamento», lo zio Battista avviò le pratiche per poter essere raggiunto da una donna del suo stesso paese d’origine. Fu così che a quella che ben presto diventò «la zia Francesca Comelli», allora tretenne, arrivò una lettera inattesa.
«I due non si conoscevano affatto - rivela Elisa - ma allora era una consuetudine, quindi la zia, con l’appoggio della famiglia e nella speranza di un futuro migliore, decise di accettare la proposta». Il seguito sono trenta giorni di viaggio estenuante, fino all’agognato arrivo. Quindi, di lì a tre giorni, le nozze tra i due e l’inizio della vita matrimoniale, conclusasi dopo soli dieci anni, alla morte di lui. Erano nati due figli, John e Frank.
«Con mio grande stupore la lingua che ci ha permesso di comunicare non è stata né l’inglese né l’italiano, ma il dialetto stretto, che zia Francesca sapeva meglio di me», racconta, ancora emozionata, la nipote. Zia Francesca ora ha 87anni e «una memoria limpidissima, che le permette di ricordare ogni particolare della sua gioventù e del suo viaggio». Ed Elisa, tornata a casa «a malincuore», le sta preparando un video, per farle rivivere, attraverso le immagini, i volti, i luoghi e i colori di quel paese da dove tutto è iniziato. E che le legherà per sempre. 

Nuri Fatolahzadeh dal Giornale di Brescia

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