26 Agosto 2008, 00.00
Valsabbia - C
CöntaStorie

La rocca di Bernacco

di Maura Vallini

La leggenda riguarda la sommitŕ del monte Bernacco, che nei pressi della 237 del Caffaro domina le alture fra Vallio e la Conca d'Oro, con straordinaria vista sul lago di Garda.
Esistono numerose le varianti.

Sulla sommità del monte Bernacco, proteso solitario nell’azzurro del cielo, si scorgono i ruderi di una rocca medievale.
Troppo presto quella fortezza, che poteva sembrare inespugnabile baluardo, vide smantellate le sue mura, infrante le sue torri ed offrì al viandante lo spettacolo di un misero cumulo di macerie.
Fu proprio il pellegrino a narrare forse per primo la leggenda soffusa di religioso mistero.

C’era una volta un potente e superbo signore che godeva dei molti tesori accumulati con ogni sorta di atroci misfatti contro inermi popolazioni. Aveva distrutto paesi, bruciato campagne, perfino ammazzato donne e fanciulli.
Le sue truppe spietate avevano perquisito ogni angolo e calpestato ogni cosa. Il potente signore era contento perché il suo nome veniva ogni giorno temuto e rispettato.

Allora fece erigere un baluardo sulla cima di Bernacco. Sette anni durarono i lavori: schiere di operai, protette da mille lance, lavoravano giorno e notte per costruire casematte, posterle, sale spaziose e immensi cortili, scuderie e granai. Finalmente la rocca levò la torre i cui merli incutevano minaccia, e tutto fu pronto.

Con lungo seguito di cavalli e di fanti in tripudio, il signore un bel giorno prese possesso della nuova dimora.
Non c’era una nuvola in cielo. Da lontano, oltre il molle dorso dei monti, un lago immenso mandava riflessi d’argento.
Il signore ammirò dall’alto della torre lo stupendo scenario prealpino e, ponendo lo sguardo sui monti e sulle valli, ebbe modo di considerare la sicurezza del luogo. Preso allora dall’alterigia e dalla stoltezza del suo cuore cattivo, già gustando il disegno di nuove atrocità, esclamò: “Nemmeno Iddio mi potrà scacciare di qui!”.

E Dio lo prese in parola. L’ultimo raggio di sole non era ancora tramontato che già aveva mostrato un segno della sua collera contro il superbo innominato.
Mandò dei piccolissimi insetti, le formiche, che in lunghe file invasero i cortili, gli antri, le stanze dell’inespugnabile rocca. Punsero le mani e la faccia del principe che rabbioso cominciò a pestarle, ma le formiche non diminuivano, anzi, aumentavano a dismisura.

Il signorotto pensò allora di distruggerle con l’acqua, ma non vi riuscì.
Tentò allora col fuoco, ma inutilmente.
I mobili, gli arredi, i tappeti preziosi incenerivano sotto i suoi occhi gonfi di rabbia. E le formiche? Le formiche crescevano, crescevano a dismisura.
Si sentì ardere, sentì scorrere nelle vene e nel cervello il veleno: non dagli uomini, ma dalle formiche era vinto e, costretto, abbandonò la valle per non farvi più ritorno.

Non è forse improbabile supporre che dietro la leggenda si nasconda la lotta cruenta di umiliati valligiani contro spavaldi signorotti che, durante il dominio della Serenissima, continuò sotto forma di tenace opposizione ad ogni ingerenza di nobili bresciani nella Valle Sabbia, che da sempre fu loro ospite generosa, mai vassalla.

Da curiosità e leggende valsabbine – Ugo Vaglia

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Commenti:
ID151 - 15/10/2008 00:00:00 - (sabrina) -

Le commento che, il malvagio signore del racconto della rocca di bernacco, si chiamava: Ertuliano. Un abbraccio, Basca, Tel.506/88951883

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