19 Marzo 2009, 00.00
Vestone
Frate Max

Dal Chiese allo Jonio in cerca del Paradiso

Una folla commossa quella che ieri pomeriggio ha gremito la chiesetta di Promo, a Vestone, per accompagnare nel suo ultimo viaggio Frate Max, ex insegnante degli Artigianelli, “eremita” all’ombra del faro di Monasterace.

Una folla commossa ha gremito la chiesetta di Promo, a Vestone, per accompagnare nel suo ultimo viaggio Frate Max, al secolo Massimo Tabarelli, vestonese, ex insegnante degli Artigianelli, “eremita” all’ombra del faro di Monasterace.
Pensiamo di rendergli omaggio, pubblicando un articolo apparso sul Giornale di Brescia nel marzo del 2005.


DAL CHIESE ALLO JONIO ALLA RICERCA DEL PARADISO
Una storia singolare nata da un inserzione sul giornale.

Monasterace (RC) – “A Est scaturisce. A Sud cresce e si fa forza. A Ovest si fa saggezza. A Nord il ciclo si chiude”. Sono i punti cardinali della vita che, marchiati col fuoco su quattro affusolati pali di castagno, con essi simbolicamente reggono la tenda sioux issata da Massimo Tabarelli, 65enne frate laico piamartino, in un giardino di limoni, ulivi, carrubi e fichidindia, affacciato sullo Jonio, all’ombra del faro di Monasterace.
Storia curiosa quella di “frate Max”, valsabbino di Vestone, sceso all’estremo sud dello Stivale per “disegno della divina Provvidenza”, confida ai visitatori del suo monastico rifugio.
Un “caso”davvero singolare. Un mix di stravaganza, misticismo, fede, che si fondono per farsi essenza di sconfinato amore nell’uomo, di abbandono totale al progetto illuminato di Dio.

“Dopo trent’anni di insegnamento agli “Artigianelli” di Brescia - racconta - ho cercato un percorso che fosse generoso di spazi per meditare, per vivere le emozioni del Creato, dello scorrere del giorno e della notte, per cogliere i frutti della mia terrena ricerca da dispensare ai giovani, condividerli con loro, fissarli con la parola, col segno, ma anche col silenzio”.
A frate Max serviva però un luogo speciale, lontano dai clamori delle città. E allora sì, clausura, ma anche agorà per la mente e l’anima, per nutrire la solitudine di immensità e di speranza.
“Così - continua - mi sono pensionato e ho messo una inserzione sul Corriere della sera e sulla Gazzetta dello sport. Diceva: custode offresi in cambio di un letto, di un giardino cui provvedere, e del posto per un asino”.
“Non ci crederete - commenta schernendosi - ma lo stesso giorno della pubblicazione ho ricevuto tante telefonate.”

Ed ecco la storia.
Maria, pizzaiola calabrese, ultima di 21 figli, cresciuta nel dopoguerra da una sorella nel castello di un blasonato latifondista di queste parti, è seduta al tavolino di un bar a Milano. Fa colazione in attesa di alcuni parenti che l’accompagnino a Brescia per visitare un’anziana congiunta. Scorre i giornali. L’annuncio, stravagante, non sfugge ai suoi occhi furbi e sorridenti. Frate Max e Maria si incontrano. Maria conosce bene Brescia: negli anni Ottanta ha gestito una pizzeria nei dintorni della Om. E conosce molto bene anche i bresciani, gente solida, sgobbona, fidata. Quando però si trova faccia a faccia con “Max”, che le confessa di essere un frate, resta di stucco, sorpresa, incredula. Ma poi scoppia in una fragorosa risata. L’accordo è fatto.

La Provvidenza ha esaudito l’attesa del piamartino e il desiderio di Maria, preoccupata per quel suo bel giardino assetato, in balìa della gramigna, ostaggio dell’incuria.
E’ novembre quando frate Max raggiunge il suo “eremo”. Una valigia, uno zainetto e null’altro. Troppo complicato l’asino al seguito.
In men che non si dica sterpi ed erbacce spariscono per far posto a verdi aiuole, a nuove piante, ad un orto ricco dei frutti saporiti di questa terra aspra, dura, ma generosa. Il giardino di limoni, ulivi, fichidindia e carrubi ora è vivo e rigoglioso. Schiere minute di animali da cortile, la voliera delle tortore e fiori profumati in quantità, contrappuntano quel piccolo paradiso luminoso, sorprendendo il viandante, che ammirato e curioso ferma il suo passo davanti al colorato tepee sioux dove frate Max ascolta il soffio dell’alba e il palpito del tramonto, dove rivolge il suo pensiero al Creatore, dove prima di iniziare e di chiudere la sua giornata di lavoro scrive con umilità ai grandi della Terra (come gli capitò con Reagan) in difesa dei reietti, dei pària, degli “ultimi”.

“Ora (lege) et labora”: l’antica regola benedettina scandisce i giorni di quest’uomo semplice, mite, ricco di umanità e di canuta saggezza. Ma la sua non è certo una vita da recluso, sorda e cieca ai mutamenti della società. Frate Max legge i quotidiani, ascolta la radio, segue la tivù, dipinge, usa il telefonino. Talvolta si concede una pizza sul lungomare, in compagnia degli amici di Brescia che di passaggio sulla costiera jonica sono accolti con gioia nel suo bel giardino e da lui ricevono buoni consigli per fronteggiare le asperità della vita, parole d’incoraggiamento per il futuro. E quando serve anche cibo ed un letto per riposare.
Nostalgia della sua gente, delle montagne, del verde dei boschi, dei profumi valsabbini, dello scorrere placido del Chiese? Felice della sua condizione, frate Max dice che rimarrà laggiù, nel suo piccolo paradiso, il più a lungo possibile. “Ma - aggiunge allargando le braccia -, dipenderà dalla volontà di Dio. Ovunque possiamo servirlo e ovunque possiamo aiutare il nostro fratello. Se non sarò “chiamato” altrove - conclude - proseguirò qui il mio impegno e qui continuerò a cercare la porta del vero Paradiso”.

Sergio Castelletti


...ne siamo certi, quella porta l’ha trovata.


In fotografia:
. Frà Max nella sua tenda
. un suo quadro
. Con il fisico e premio Nobel Carlo Rubbia


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