Sabbio attende la certificazione di filiera”

Due milioni il volume d’affari, lavorando 27 mila e 800 quintali di latte tutto valsabbino per produrre 87 mila e 400 formaggelle “Valsabbia”, 26.800 formaggelle “Di monte”, quasi 5 mila forme di stagionato che sono poi il “Sabbio” e il “Conca”: formaggi a pasta semicotta che differiscono fra loro soprattutto per la quantità di grasso che rimane nel latte utilizzato per la lavorazione.

Sono questi i “numeri” del Caseificio Sociale Valsabbino di Sabbio Chiese, quelli del 2005, resi noti in occasione dell’assemblea dei soci che ha avuto luogo nei giorni scorsi a Bione.

Una realtà, quella sabbiense, che viene sostenuta anche dalle istituzioni valligiane e provinciali per il suo innegabile ruolo sociale che si compie a sostegno dell’agricoltura di montagna che altrimenti rischierebbe di scomparire. Come? Il caseifico si cura di ritirare la produzione delle piccole stalle anche laddove non vengono coperte nemmeno le spese di trasporto con l’autobotte. Fra i 124 soci di quella che giuridicamente è una Società Cooperativa Agricola, ecco infatti che ce ne sono 15 di “sovventori” e sono 13 Comuni valsabbini, la Comunità montana e la Provincia.

Che l’agricoltura in generale stia attraversando un momento di crisi non è un mistero per nessuno e nemmeno che le difficolta del settore siano maggiori quando si tratta di operare in territorio montano. Così, accanto ad un Caseificio che negli ultimi anni ha investito per per rendere sempre più funzionale il processo produttivo, e che si appresta a rilanciare l’immagine della sua produzione con una “certificazione di filiera”, ci sono i 30 soci conferenti che quando si chiede loro “come va?” non si mettono a piangere perché non sono i tipi da farlo, ma il loro storcere il naso lascia pochi dubbi.

La nota dolente è una soprattutto: il prezzo del latte.
Nel duplice ruolo di presidente del Caseificio, quindi tutto sommato soddisfatto di come stanno andando le cose, e di agricoltore con una stalla a Pertica Bassa, quindi alle prese con i costi di produzione del latte che aumentano senza che corrisponda un adeguato compenso, c’è Ennio Bonomi.
La domanda “come va”, giusto per metterlo un po’ in difficoltà, l’abbiamo diretta proprio a lui:

“Non male se guardiamo al caseificio, che negli ultimi anni ha investito 250 mila euro innovando e riorganizzando il ciclo produttivo con l’obiettivo principale del contenimento dei costi – ci ha detto -. Siamo soddisfatti perché riusciamo a vendere quasi il 40% della produzione che comprende anche ricotta e fioriti direttamente attraverso il nostro spaccio o con il furgone che è presenza fissa sui mercati di Gavardo, Salò, Vobarno e Serle, il resto segue per lo più la strada della grande distribuzione e siamo preseti soprattutto sui mercati bresciano e bergamasco”.

“Peccato che rimaniamo una realtà ancora troppo piccola e che non ci siano più i margini per ridurre ulteriormente le spese o per fare economia di scala – aggiunge Bonomi -. Questo non ci permette di pagare il latte agli allevatori per il valore effettivo che avrebbe”.

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