Zambelli, patto d’onore col Brescia

Dall'Egitto con furore. Basta che l'aereo tocchi terra per infilare piramidi, sfinge e Nilo nell'album dei ricordi e non solo, perchè dieci giorni passano in fretta.

Appena qualcosa di più di dieci giorni fa il Brescia si beveva per la seconda volta consecutiva la possibilità di volare in A. Ma l'ultima è come un film di Eisenstein in russo senza i sottotitoli, altro che bel ricordo.

Come un cazzotto di Cassius Clay quando ballava sul ring: «Il paragone regge - borbotta Marco Zambelli che scruta sul nastro l'apparire della valigia - non con Einstein che è un po' troppo indigesto, ma la mancata promozione è stata davvero un cazzotto nello stomaco. Si dice sempre che , quando le cose vanno male, è giusto staccare la spina. Questi dieci giorni in Egitto non sono serviti a niente. Torno più arrabbiato e deluso di quando sono partito. Come si fa a dimenticare una promozione che abbiamo buttato via. L'abbiamo gettata nel nel water e abbiamo tirato lo sciacquone».

Ma la vita e il calcio dimenticano in fretta e si fa prima a dimenticare se all'orizzonte si intravede la serie A e un buon contratto. Ma il giovanotto di Gavardo è l'uomo-mercato meno uomo mercato del Brescia: «Si vede - e la valigia finalmente è arrivata - che l'anno scorso non ho fatto niente di buono, almeno niente di abbastanza buono per venire notato. Per dieci giorni non ho voluto sapere niente di calcio e niente di mercato. Di calcio riprendo a parlare oggi. Per quanto riguarda il mercato, anche se dovessi piacere a qualche squadra, non se ne farebbe niente. Non mi muovo da Brescia. Ho sempre detto che non avrei preso in considerazione l'idea di lasciare la mia città finchè la squadra non fosse tornata in serie A. Spero di non farci i capelli bianchi».

E PER ZAMBELLI il ritorno in A non è solo un desiderio: «Per me è diventata un'ossessione - confessa Zambelli -. E, proprio perchè ormai è un'ossessione, devo eliminarla. Farebbe un po' ridere, se non ci fosse niente da ridere, ma è lo stesso discorso che ci stiamo ripetendo da quattro anni».
Quest'anno però il discorso non è proprio lo stesso. E' il mercato potrebbe riservare qualche partenza eccellente, un sacrificio sull'altare del bilancio: «E' giusto - afferma Zambelli - che, se un giocatore ha meritato, gli venga concessa l'opportunità di migliorare. E se una società ha bisogno di incassare, deve introitare soldi con i mezzi che ha a disposizione e il più efficace è cedere qualche giocatore importante, ma non è scritto in cielo che una squadra un po' meno ricca di nomi, non riesca dove la altre più titolate hanno fallito. Come sempre tutto o quasi dipende dalla fame di vittorie di chi arriva».
Più che fame, appetito: «Sto ancora spettando - dice Zambelli - che arrivi il mio anno buono.
Un anno senza infortuni. Non che mi lamenti, in fondo ho affrontato e superato un'operazione non particolarmente complicata, ma mi ha messo fuori gioco così come un infortunio alla caviglia».

Anche i tifosi aspettano. Aspettano la squadra e una panchina un po' meno ballerina: «E' anche il mio desiderio - dice Zambelli -. Tre allenatori in una stagione sono un po' troppi. Non è facile ripartire da zero o quasi. Ribaltare il metodo di lavoro. Un allenatore fino a giugno sarebbe già un successo».

Roberto Timpini da Bresciaoggi

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