L'autunno dei carbonai
di Giancarlo Marchesi

Autunno, tempo di rientro al paese per i carbonai che nei mesi primaverili ed estivi vivevano in baite di fortuna in mezzo al bosco.

 
«Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso - ci racconta Battista Butturini - i cacciatori che in questa stagione si addentravano nei boschi per seguire la selvaggina potevano incontrare lungo il loro percorso gli ultimi carbonai, che si accingevano a lasciare i loro ripari di fortuna (“baite”) per rientrare in paese, dopo lunghi mesi d’assenza».
Butturini, classe 1935, nativo di Ono Degno di Pertica Bassa, ha ben vivo questo ricordo, perché proviene da una famiglia di carbonai e lui stesso, prima di trovare impiego in fabbrica, si era dedicato fin da bambino all’arte di trasformare la legna in carbone.
 
Era un lavoro duro, quello del carbonaio, fatto di fatica, impegno, passione e solitudine.
«All’aprirsi della primavera, durante il periodo pasquale, - prosegue Butturini - le famiglie dei carbonai prendevano la via della montagna. Gli uomini, le donne, i ragazzi erano accompagnati in questo viaggio nel bosco da capre, galline, che garantivano loro latte e uova».
 
«Dopo aver allestito la «baita», una piccola costruzione rettangolare realizzata con spesse ramaglie e cortecce, che li avrebbe ospitati fino ad autunno inoltrato, per settimane tagliavano il bosco e preparavano la legna: tutti avevano il loro compito anche i bambini, che ben presto imparavano a sfrondare i tronchi».
«Successivamente individuavano uno spiazzo (“aial”) sul quale edificare la carbonaia (“poiat”).
 
Questa piazzola doveva avere particolari caratteristiche: essere esposta al sole, al riparo dal vento e non doveva presentare avvallamenti, per facilitare la costruzione della catasta di legna da carbonizzare».
«Ogni settimana – continua Butturini – la mia famiglia realizzava dai 3 ai 4 “poiat” che una volta accesi dovevano essere sorvegliati continuamente, senza alcuna interruzione. La nostra giornata lavorativa andava “dalle stelle alle stelle”, perché la catasta, una volta accesa, doveva cuocere lentamente senza bruciare: se la legna prendeva fuoco era una tragedia, perché eravamo pagati in base alla quantità di carbone prodotto e non in relazione alle ore di lavoro effettuate».
 
Nei boschi delle Pertiche, di Idro e Treviso Bresciano, l’attività di carbonizzazione era ripetuta per lunghi mesi sino all’autunno, quando i carbonai e le loro famiglie calavano in paese per trascorrervi l’inverno, pronti a tornare nel bosco allo sciogliersi delle nevi.
 
 
Giancarlo Marchesi
 
. nella foto: carbonai a Bione
 
 
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