Tutti in piazza a Livemmo
C’era davvero una folla delle grandi occasioni, ieri, ad assistere sotto il sole a una riuscitissima edizione 2008 del Carnevale di Livemmo. Manifestazione che in Valsabbia è seconda solo a quella di Bagolino.

C’era davvero una folla delle grandi occasioni, ieri, ad assistere sotto il sole a una riuscitissima edizione 2008 del Carnevale di Livemmo, in Valsabbia secondo solo a mascher e balarì di Bagolino ma capace di offrire maschere dal grande valore etnografico. Per quest’anno poi, la tradizione ha fatto anche una concessione all’innovazione con la posa di grandi giochi gonfiabili per i più piccoli.
Per il resto l’evento ha visto in campo il Gruppo folkloristico di Pertica Alta col sostegno dell’amministrazione comunale, molto soddisfatta, come sottolineato dal sindaco Denis Zanolini, «per i tanti giovani visti all’opera».

Tanti visitatori, dicevamo, attratti e divertiti dalla «Vecia del Val», dall’«Omasì del Zerlo» e dal «Doppio», le tre maschere principali della tradizione locale inventate con certezza proprio a Livemmo, e frutto del legame mai sciolto con la cultura contadina di montagna: La Vecia del Val mette in scena la sottomissione femminile di un tempo, con le donne impegnate a trasportare gli uomini nel grosso cesto usato un tempo per setacciare l’orzo. L’Omasì del Zerlo è invece la rappresentazione del malgaro che trasporta il contadino nel cesto allungato usato un tempo per trasportare il letame, a ricordare che nella scala sociale del passato l’agricoltore era un gradino più su dell’allevatore.

Il Doppio, infine (o uomo bifronte), è nato negli anni ’60 del ’900 per descrivere lo smarrimento dei contadini che, di fronte al boom economico, non sapevano più in che direzione andare: ha viso e vestiti uguali su entrambi i lati, e indossa i tradizionali sgalber, gli zoccoli chiusi in uso nel passato. Ciò impedisce di capire, mentre balla e cammina, se la maschera sta andando in avanti o all’indietro.

Altre maschere hanno circondato poi le principali: diavolo e parroco e le irriverenti «Bianche» (le suore), per esempio. E mentre molti anziani ballavano in continuazione sulla «pista» improvvisata rappresentata dalla piazza recintata e chiusa al traffico, negli altri angoli del paese sono andati in mostra gli antichi mestieri: dall’oste al mandriano; dal falegname alle lavandaie. Senza dimenticare la ricostruzione di un’aula scolastica d’epoca e l’abilità delle filatrici alle prese con pizzi e merletti.

Massimo Pasinetti da Bresciaoggi
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