Barbieri: «C'è il sospetto di una speculazione»
di Redazione

Il direttore generale è consapevole del disagio dei soci in merito alle quotazioni delle azioni della banca, il cui prezzo «è totalmente avulso dal valore e dalla reale consistenza patrimoniale della banca»


C’è un sentimento misto di sconcerto, preoccupazione, e in taluni casi anche rabbia tra gli oltre 40mila soci di Banca Valsabbina. Dallo scorso 18 luglio i titoli ordinari della Popolare bresciana sono stati ammessi alla contrattazione del mercato «borsistico» Hi-Mtf. L’ingresso, a 14 euro ad azione, avrebbe dovuto facilitare gli scambi, rendere più veloce acquisto e vendita.

Ad un mese di distanza però pochi soci sono riusciti a liquidare i loro titoli, mentre l’azione Valsabbina quota 8,96 euro, con un calo del 36% (l’asta di ieri è andata a vuoto per mancanza di acquirenti, il prezzo è quindi rimasto invariato).
Ma la perdita è addirittura superiore al 50% se consideriamo la svalutazione «interna» applicata dopo l’assemblea del 30 aprile 2016 che aveva portato il prezzo «tecnico» indicativo per il diritto di recesso da 18 a 14 euro.

Un salasso
Il disagio è palpabile, lo testimoniano le tante lettere di azionisti inviate alla nostra redazione. Le 35.796.827 azioni della banca valevano ad inizio 2016 qualcosa come 644 milioni di euro (18 euro/azione); con la prima svalutazione di aprile il loro valore totale era sceso a 501 milioni (14 euro/azione); ieri a 8,9 euro la capitalizzazione era di poco superiore ai 320 milioni di euro.
«Risparmi che se ne sono andati in fumo», lamentano nelle lettere i soci.

Panic selling
Banca Valsabbina, come molti altri istituti di credito del nostro Paese, sconta il pessimismo che nelle settimane si è tradotto in «panic selling», la «vendita per paura » che non tiene conto delle Performance (nel primo semestre 2016 la banca ha chiuso con un utile netto di 1,7 milioni), della solidità dell’istituto (buoni i coefficienti patrimoniali: Cet 1 a 14,5% e Tier Total a 15,7%); ma soprattutto del cosiddetto valore tangibile (il patrimonio della banca al netto dell’avviamento è di 392milioni) che giustificherebbe da solo un prezzo dell’azione a 11 euro.

A preoccupare il direttore generale, Renato Barbieri, non è l’andamento della banca, ma il disagio dei soci.
«Il prezzo è assolutamente determinato dalla domanda e dall’offerta ed è influenzato da un "sentiment" di mercato negativo.
Questo prezzo è totalmente avulso dal valore e dalla reale consistenza patrimoniale della banca. Valsabbina non ha perso valore, il suo capitale non si è eroso».

Quali sono le ragioni di questo forte calo?
«Ci sono una molteplicità di fattori. Credo che incida soprattutto il clima di sfiducia che da tempo pesa sul comparto bancario; poi c’è il cattivo comportamento di alcune Popolari che hanno adottato azioni non propriamente ortodosse. Il Cda e la struttura di Valsabbina hanno sempre operato con prudenza e correttezza. Infine non escludiamo che qualcuno stia operando per fare scendere il prezzo».

In che senso?
«Abbiano notato operazioni anomale, come ordini d’acquisto di sole 10 o 100 azioni al semplice scopo di ribassare il prezzo.
In Borsa sono i grandi fondi, gli hedge fund a muovere il prezzo di un’azione; nel mercato Hi-Mtf, soprattutto in un contesto negativo, paradossalmente possono bastare pochi euro. Lo speculatore può fare leva sulla debolezza del socio suggestionato dal "sentiment" del mercato».

Nell’assemblea 2015 qualcuno obiettò che 18 euro erano troppi. C’è stato un errore di valutazione sul titolo?

«Per la determinazione del prezzo ci siamo sempre basati su perizie esterne, la banca guadagnava bene, non c’erano motivi di rivedere le valutazioni esterne. Quando venne ridotto a 14 euro le perizie confermavano che la situazione della banca era addirittura migliorata».

Molti soci hanno acquistato ricevendo le più calde rassicurazioni allo sportello, erano convinti di essere al sicuro come l’investimento in Bot.
«Fino all’aprile 2012 la domanda di azioni Valsabbina superava ampiamente l’offerta. La banca aveva grossi margini e le condizioni per i soci erano molto vantaggiose e lo sono tuttora. E poi dobbiamo dirlo, l’investimento in una Popolare non ha fini speculativi, ogni euro investito nella banca si traduce in prestiti al territorio. Credo questo sia il momento più sbagliato per vendere. E per i soci che hanno bisogno di liquidità sono previsti prestiti particolari».

Perché è il momento sbagliato per vendere?
«Stiamo studiando operazioni di diversificazione, traguardiamo nuovi orizzonti. Posso solo dire che da qui a fine anno ci saranno notizie importanti per Valsabbina, non posso aggiungere altro. Siamo una banca efficiente in un territorio strategicamente importante. Non appena i tassi torneranno a salire, la banca tornerà a migliorare significativamente i margini».

Dal Giornale di Brescia


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