Da Vestone a Berkeley
di Federica Ciampone

La pubblicazione sulla rivista Current Biology di una ricerca del vestonese Mauro Manassi, attualmente ricercatore e docente all’Università di Berkeley in California, è stata l’occasione per contattarlo e fargli qualche domanda sulla sua esperienza all’estero


Da Vestone a Berkeley, in California, passando per la svizzera Losanna. Queste le tappe del brillante percorso di Mauro Manassi, classe 1983, che dopo la laurea specialistica in Psicologia Clinica a Padova ha intrapreso un dottorato in Neuroscienze a Losanna, vincendo poi nel 2015 l’assegno di ricerca svizzero per giovani ricercatori che l’ha condotto a Berkeley.
 
In California Mauro ha continuato la sua formazione accademica post-dottorato nel Dipartimento di Psicologia dell’UC Berkeley, in cui attualmente fa ricerca e insegna.
 
Partiamo dalla tua ricerca, recentemente pubblicata su Current Biology. Che cosa riguarda? «Mi occupo di percezione visiva, in pratica di come il nostro cervello riesce a riconoscere il mondo intorno a noi. Nella mia pubblicazione in Current Biology ho analizzato tutte le più recenti pubblicazioni nel campo, evidenziando un interessante paradosso per il sistema visivo. In ogni momento il nostro cervello è in grado di elaborare un’enorme quantità di informazioni dall’ambiente circostante, come per esempio tutte le foglie di un albero, i visi in una folla o le lettere in un testo. Spesso noi siamo inconsapevoli di tutti questi dettagli perché il nostro cervello cerca di sopprimere tutte queste informazioni a discapito di una percezione d’insieme, come per esempio il fogliame di un albero, la direzione di una folla o il senso generale di un testo. Il paradosso è che, mentre noi siamo consapevoli soltanto in minima parte di quello che è intorno a noi, recenti risultati hanno mostrato che il nostro cervello non perde nessun tipo di informazione, ma mantiene tutte queste informazioni fino all’ultimo dettaglio, sopprimendole tramite una qualche forma di meccanismo».
 
E le applicazioni pratiche? «Sono numerose: si tratta di un campo che negli ultimi anni si sta rivelando sempre più importante. Per esempio, qui a Berkeley, molte compagnie come Uber e Apple stanno testando autovetture autonome, che posso guidare senza un conducente con l’ausilio di telecamere e intelligenza artificiale. E’ quindi importantissimo per queste compagnie sviluppare un software che possa riconoscere oggetti e persone in tempo reale e senza errori. 
 
Un’altra applicazione molto importante è nel campo della dislessia. I dislessici hanno un deficit nel riconoscere le singole lettere di una parola, ed è anche tramite questo deficit di riconoscimento che noi psicologi cerchiamo di svelare i meccanismi del nostro cervello.
Dato che sono uno psicologo clinico, inoltre, mi focalizzo anche sul lato clinico di certi disturbi, come la schizofrenia. Per esempio, al momento sto investigando come pazienti affetti da schizofrenia percepiscono il mondo intorno a noi».
Cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia? «Per il tipo di lavoro che ho deciso di fare, fare un dottorato e post-dottorato in paesi stranieri sono condizioni indispensabili per una carriera accademica al giorno d’oggi. Invece di “cervello in fuga” parlerei piuttosto di “opportunità”. Ovviamente lasciare il proprio paese d’origine ha vantaggi e svantaggi, ma nell’ambito della ricerca il problema non è se partire o meno, ma è più il riuscire a tornare in Italia (o Europa) e vedere riconosciuti i propri meriti».
 
E la vita a Berkeley com’è? «Ci sono svantaggi e vantaggi. Da una parte per un europeo vivere qui e relazionarsi ad americani e asiatici è un vero e proprio shock culturale. Ho dovuto trasferirmi a 9000 km da casa per capire quanto io sia “europeo” e scoprire quante cose ho in comune con francesi e tedeschi. Dall'altra l’ambiente di lavoro è molto creativo, pieno di entusiasmo e voglia di fare. L’avere accanto grandi aziende come Google e Apple è una continua fonte di ispirazione e porta ad un continuo scambio di tecnologie e conoscenze».
 
In foto Mauro Manassi mentre tiene una lezione universitaria
 
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