Pensiero stupendo
di John Comini

Così intitolava la Gazzetta dello sport quando c’era la possibilità che Ronaldo venisse a giocare in Italia. Poi è arrivato, per la gioia degli juventini e degli incassi di tutti gli stadi.


Quando sono nato, nel 1952, la Juve vinse il campionato, forse è per questo che sono juventino. Ebbene sì, lo confesso: la mia droga si chiama calcio. E come un calcio-dipendente, non vedo le cose negative che ci stanno dietro: il giro di affari, il tifo a volte violento e razzista, lo scandalo del calcio-scommesse, gli intrecci con il doping. Tutte cose assurde che fanno passare la voglia di calcio. Ma cosa volete farci?

Quando i giocatori entrano in campo, sono felice e tremo di emozione. E non odio gli avversari. Avversari sì, ma non nemici. Lo dicevo ai miei bambini a scuola: se non ci fossero gli avversari, non si potrebbe manco giocare. Purtroppo nel calcio di oggi c’è troppa pressione, persino nelle serie minori, e si dovrebbe ritrovare la strada del gioco, dell’allegria, l’onestà e la correttezza in campo dovrebbero essere normalità. Purtroppo io come spettatore regredisco allo stadio primitivo. Chiedetelo a mia moglie (milanista, purtroppo…potrei far annullare il matrimonio per questo? Eh eh eh). Quando guardo una partita mi siedo sempre sulla stessa parte della stessa poltrona, faccio riti scaramantici assurdi, urlo come un ossesso, se la mia squadra segna un gol abbraccio chi mi sta vicino e faccio il gesto dell’ombrello a mia moglie, che mi guarda rassegnata. Se poi (come dopo Real Madrid-Juve dello scorso anno) la mia squadra perde all’ultimo minuto, spengo tutto e vado a dormire. E mi spengo anch’io. Mi sento incredibilmente solo, triste e infelice. Ma si può?! Dicono che la sconfitta accresca lo spirito e forgi l’anima. Mah… Il tifoso che è in me vuole solo la vittoria (o il pareggio, se in classifica tiene lontano l’avversario). Come diceva Boniperti, vincere non è importante: è la sola cosa che conti.

Il calcio è una strana religione
, è come un poema epico o una tragedia di Shakespeare. Se amiamo tanto il calcio è proprio perché come nella vita il caso, la fortuna e il merito sono uniti inestricabilmente, ed è impossibile distinguerli. Come scrive Gramellini, “se nasci juventino (sostituire la parola “juventino” con interista, o milanista, o romanista, o torinista o di qualsiasi squadra, il concetto non cambia) vivrai juventino e morirai juventino, perché puoi cambiare moglie marito amante religione bandiera politica automobile gusto per il dolce e per il salato ma la squadra del cuore no, quella non la cambierai mai (a meno che tu non sia Emilio Fede, ma questo è un altro discorso).”

Calciatori e tifosi sono adulti rimasti prigionieri di un’eterna età dell’infanzia, di quando si tiravano calci al pallone nei cortili di casa, delimitando il campo con giacchette e cartelle, giocando partite interminabili e disordinate, dove tutti correvano dietro la palla e nessuno la passava, dove si creavano amicizie e si inventavano sogni. Il calcio è l’unico sport in cui possono vincere i più deboli, in cui anche gli ultimi possono sperare nel miracolo, nel riscatto, in un’ora di gloria.

E poi il calcio è fantasia. Cosa sarebbe il calcio senza Pelé, Platini, Baggio, Maradona, Del Piero, Totti, Messi…e Ronaldo?! Sono artisti, virtuosisti, poeti del gioco. Sono i fortunati baciati dal talento. Hanno il piede magico, dettano passaggi ispirati, pennellano punizioni oltre la barriera, seminano intere difese, beffano gli avversari con il tunnel, fanno rovesciate che anche gli avversari applaudono. Perché i geni sono rari, e se li vedi rimani incantato. Ma ci sono anche i portatori di palla, i gregari che si sacrificano per il bene comune, che corrono come motorini, che affrontano gli avversari a muso duro e non temono di sparar la palla in tribuna, alla “viva il parroco”. Come canta Ligabue (interista come tanti comici ed artisti…purtroppo…)

“Una vita da mediano a recuperar palloni
nato senza i piedi buoni lavorare sui polmoni
una vita da mediano con dei compiti precisi
a coprire certe zone a giocare generosi
Una vita da mediano da chi segna sempre poco
che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco
Una vita da mediano lavorando come Oriali
anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali…”

Quando andavo a morose, c’era la partita in differita verso le 19 e, in giro con la Vespa, dicevo alla mia attuale moglie: “Scusa ma i miei vogliono che io non torni a casa tardi.” Così potevo guardarmi la partita in santa pace…
Andavo al vecchio stadio (di fronte all’Ospedale) e facevo il tifo per i gialloneri, urlando a squarciagola: “Gavardo! Gavardo! Gavardo!”  Sugli spalti c’era una signora che dava ombrellate in testa ai malcapitati tifosi ospiti (altro che ultras!).

Mi è capitato in mano un vecchio ritaglio del Giornale di Brescia dal titolo “Il Gavardo condanna la Fionda” che mi ha mosso mille ricordi. Era il 27 giugno, non so l’anno, forse il ‘68 o ’69. C’è una foto con la didascalia: “Sorrisi e lacrime di gioia da parte del Gavardo dopo la rete di Podavini a 3’ dalla fine” Ricordo che con gli altri tifosi eravamo giunti a Bagnolo Mella in corriera. C’era un tifo incredibile, io mi ero portato un megafono per far sentire ancor di più il mio amore per i gialloneri. La squadra del Gavardo doveva vincere per forza, un pareggio sarebbe stato fatale in quella drammatica “coda” del campionato di 2a categoria. La formazione del Gavardo: Beltrami Enrico, Bresciani Angiolino (fortissimo in difesa), Tebaldini, Scolari, Costanzi, Togni, Pinelli, Bocchio, Podavini, Soncina, Ferrari. Allenatore Leni (papà del simpatico Beppe). Poi è entrato in campo l’amico Sergio Baronchelli, più giovane degli altri, che tutti chiamavamo “Sivorino” per la sua eccelsa tecnica, per i suoi dribbling ubriacanti e per la sua visione del gioco (le sue geometrie in campo preludevano forse alla sua vocazione di architetto?).

Tre gol, due espulsioni, un palo, una traversa e cinque ammonizioni furono i fatti salienti di una gara tirata allo spasimo. I gavardesi avevano potuto schierare Togni, in licenza militare, che è stato fra i migliori in campo, un vero pilastro della squadra. Ferraboli, con i suoi dribbling stretti, è stato un’autentica spina nel fianco della difesa fiondina. Nella ripresa il Gavardo va meritatamente in vantaggio con l’ala destra Pinelli. Felicità a gogó. I locali si gettano all’attacco per cercare di pareggiare le sorti dell’incontro. Al 32’ l’arbitro espelle Soncina, reo di un fallo di reazione. Tre minuti dopo la Fionda perviene al pareggio. Noooo! Urla di disperazione. Subito dopo la rete dei locali, l’arbitro porta a due le espulsioni spedendo anzitempo negli spogliatoi Pinelli che aveva reclamato in modo troppo energico. Tutti pensiamo: ormai è finita…Triste, solitario y final…Ma la speranza è sempre l’ultima a morire…
A tre minuti dal termine Podavini segna un gol da favola. Il centravanti, dopo aver ricevuto il cuoio da Ferraboli a circa 25 metri dalla porta avversaria, fa partire un bolide che si infila proprio nel sette alla destra dell’esterrefatto portiere avversario, che mi ricorda la poesia di Umberto Saba, “Goal”.

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non vedere l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce,
con parole e con la mano, a sollevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.
La folla - unita ebbrezza- par trabocchi
nel campo: intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questi belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.
Presso la rete inviolata il portiere
- l’altro- è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa - egli dice - anch’io son parte.

Miracolo! Siamo salvi, dall’inferno al paradiso! L’estroso giallonero ha salvato la mia squadra dalla retrocessione. Al triplice fischio i tifosi gavardesi si sono riversati in campo per portare in trionfo i propri beniamini. Ricordo l’invasione degli spogliatoi, con uomini nudi che correvano abbracciati e ragazze che saltavano di gioia. Al ritorno grande festa presso le Cantine Bresciani, i cui mitici ed appassionati proprietari regalarono la bellezza di  8000 lire a ciascun giocatore. Notti magiche!
Qualche giorno fa ho incontrato Bertoldi Natalino (anno ’50) che mi ha dato una bellissima foto (del 62/63?). Accosciati da sinistra a destra: il grande Nino Leni (che tiene in braccio un bambino), Gelsomino Tebaldini, Sandro Podavini, Sandro Scolari, Renato Massolini, Gianni Zaffiro, Paolo Marzollo. In piedi: Tarcisio Guatta, Antonio Braga, Giuliano Massolini, Aldo Marchiori, Pierangelo Comaglio, Valentino Crescini, Alfredo Venturelli, Bertoldi Natalino (in giacca e cravatta perché si era infortunato). Grande Natalino! Forza gialloneri! E bravi tutti gli appassionati del calcio che rispettano gli avversari.

Permettetemi di ricordare Edoardo Bortolotti, detto “Edo”, un talento del calcio anni '90, difensore del Brescia di patron Corioni. Veleggiava sulla fascia destra, aveva giocato in azzurro con l’Under 21 di Cesarone Maldini, doveva andare a giocare a Roma. Aveva un futuro da campione. A lui giunga un ricordo e una preghiera.

“Ogni volta che un bambino
prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio.” (Jorge Luis Borges)

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo

maestro John

Nelle foto in bianconero (i colori che preferisco):
1) la formazione con Bertoldi Natalino in giacca e cravatta
2) la squadra con il signor Bresciani, nonno del grande giocatore Marco Zambelli
3) USO Gavardo 68/69
4) l’immagine dalla mitica partita contro la Fionda

Grazie per la gentile collaborazione a Beppe Leni, Sergio Baronchelli, Natalino Bertoldi e alla sua simpatica moglie Graziella Mora.

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