Ricordo di Getulio Alviani
di Giancarlo Marchesi

Riportiamo il testo dell’intervento con cui Giancarlo Marchesi, durante il convegno organizzato lo scorso sabato ad Anfo, ha ricordato l’artista di fama internazionale - e amico - che iniziò la sua carriera a Vestone 


“Ringrazio gli organizzatori di questo convegno per avermi concesso l’opportunità di ricordare un amico di famiglia, Getulio Alviani. Il mio intervento quest’oggi vuole essere, infatti, un semplice ma sentito omaggio all’amico Get, che rimase profondamente legato alla nostra terra.
 
Getulio Alviani, artista di fama internazionale, capace di spaziare dall'architettura al design, dall'arte visiva alla moda, prematuramente scomparso il 24 febbraio scorso a Milano, dopo una lunga malattia, mosse i primi passi della sua poliedrica carriera nel bresciano, e più precisamente nel capoluogo della Valsabbia, Vestone.
 
Prima di soffermarmi sugli anni vestonesi di Alviani, mi sembra opportuno spendere due parole sul clima culturale, sociale ed economico che caratterizzò Vestone, e più in generale, la Valle nei primi decenni del secondo dopoguerra.
 
Negli anni Cinquanta vi fu il risveglio economico della valle, al quale segui il boom dei primi anni sessanta. Per tutto il primo decennio del secondo dopoguerra, la vallata, e Vestone in particolare, fu un'isola in grado di produrre cultura, come evidenziò lo scrittore Rigoni Stern, secondo il quale «La grande città, la megalopoli, non produce più cultura», e solo le piccole realtà, i paesi di provincia sono in grado di farlo.
 
La vallata divenne una calamita d'artisti, lungo una stagione che vide muoversi sul palcoscenico pittorico figure del calibro di Edoardo Togni, Ottorino Garosio, Omero Solaro, Piero Giunni.
Getulio Alviani, con esperienze e approcci diversi, s’inserì in questo effervescente clima culturale e fece le sue prime ricerche legate all'arte cinetica proprio nella comunità di Vestone.
 
Alviani, originario di Udine, vantava una spiccata «cultura del fare», tratto distintivo della sua terra e della stessa Valsabbia. Non a caso dichiarerà: «La mia formazione è legata essenzialmente alla conoscenza diretta. La scuola migliore è nella pratica, nell’esperienza, nella ricerca».
 
Sul finire degli anni Cinquanta operò in campo industriale collaborando con primari studi di architettura e ingegneria. Proprio in quel periodo, il pool di professionisti presso il quale operava – Di Biasi e Fagiolo – partecipò a un concorso indetto dall’industria vestonese Ave, che aveva richiesto uno studio per una valvola elettrica dalle caratteristiche innovative.
 
Dopo gli anni della ricostruzione, durante i quali le produzioni e il design dell’Ave erano ancora legati agli anni Trenta, Andrea Belli, titolare dell’azienda, appassionato collezionista d’arte, avvertiva l’esigenza di modernizzare l’immagine e le produzioni della realtà che guidava. 
 
In giovanissima età – aveva 19 anni – Alviani inizierà a Vestone quel fecondo rapporto con artigiani, fornitori e maestranze – per i quali aveva il massimo rispetto – che risulterà fondamentale per tutta la sua futura attività di progettista «globale». Grazie alle collaborazioni con i «pratici» valsabbini apprenderà quella prassi del fare nella quale si mescolavano impegno, accortezza, sapienza, attenzione e dalla quale arrivarono le sue prime esperienze di industrial design.
 
«Così – dichiarò Alviani qualche anno fa, in un’intervista che arricchiva una sua monografia edita da Skira – mi chiesero di andare nella sede dell’Ave per seguirne il progetto e la realizzazione di una valvola elettrica. Lì incontrai un mondo nuovo, fatto di cose minute, di grande precisione. Mi fecero un contratto per una settimana al mese e durante quella settimana lavoravo giorno e notte, perché quello che mi davano mi sembrava troppo. Così mi hanno fatto fare altri progetti per interruttori a pulsante, che feci fluorescenti, per altri tipi di valvole, centralini e la grafica in genere dell’industria Ave».
 
A ricordare la figura di Alviani e le opere realizzate dall’artista in terra bresciana sono gli amici vestonesi Ennio Bacchetti ed Ettore Marchesi. Il primo, sul finire degli anni Cinquanta componente del reparto pubblicità e propaganda dell’azienda Ave, guidata all’epoca da Andrea Belli, ricorda la forza e la vitalità di questo giovanissimo artista: «In pochi anni fu capace di rinnovare il marchio aziendale e curare innumerevoli stand fieristici, oltre ad occuparsi della realizzazione di cataloghi e nuove linee di interruttori». Ettore Marchesi, che seguì l’artista ben oltre gli anni vestonesi, sottolinea la capacità creativa di Alviani: «poteva rimanere nel suo studio a pensare e disegnare fino all’alba, mantenendo una lucidità di pensiero e d’azione non comuni». Nel quadriennio che Alviani trascorse a Vestone, soggiornando all’Albergo Lucerna, progettò arredamenti, marchi e cataloghi per molte realtà di valle. In quegli anni realizzò inoltre le sue prime opere d’arte in acciaio e alluminio: servendosi del laboratorio di meccanica dell’Ave e della falegnameria dei fratelli Marchesi creò le prime «linee luce», superfici metalliche fresate che poi, organizzate e composte modularmente, diverranno «superfici a testura vibratile». 
 
Sul finire del Sessanta, decennio fondamentale per la sua arte, Alviani tornò in Valsabbia esponendo una interessante applicazione che nel 1968 sarà collocata nella rassegna «Un paese + avanguardia», voluta dall’allora sindaco di Anfo, il restauratore Romeo Seccamani.
 
Nel 1974 espose a Brescia nella Galleria San Benedetto, realizzando il catalogo con testi propri e di Tomassoni. Nei primi anni Ottanta guidò il Museo d'Arte Moderna di Ciudad Bolivar, in Venezuela e collaborò con la prestigiosa rivista Flash Art, realizzandone la prima testata in Helvetica, e tenendo la rubrica “Taccuino di un vecchio cinetico”.
 
Alviani si ripresentò l’ultima volta a Vestone nel novembre del 2006, per ritrovare gli amici d’un tempo". 
Giancarlo Marchesi
 
Nelle foto alcune opere grafiche di Getulio Alviani 
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