Il castello di Bondone
di Gianni Poletti

Un maniero che domina il lago d'Idro, la Rocca d'Anfo e la Valle del Chiese meridionale e affonda le sue radici in un passato illustre


Il fascino del Castello di San Giovanni di Bondone sta soprattutto nella sua magnifica posizione, appoggiato com’è in cima ad un isolato spuntone roccioso, dal quale lo sguardo domina il lago d’Idro, la veneziana Rocca d’Anfo e la parte meridionale della Valle del Chiese, prima di spaziare fino alle Dolomiti di Brenta. Il suggestivo paesaggio fa da cornice ideale al castello delle fantasie infantili, quello delle fiabe con protagonisti il cattivo signore, la bella contessina e il valoroso principe. 
 
È possibile raggiungerlo in macchina, percorrendo la strada che da Baitoni, sulla riva del lago, sale a Bondone, oppure a piedi, arrampicandosi su per il sentiero in partenza dal lago. Uscendo dal bosco, 200 metri sopra il fondovalle, ti trovi di fronte una torre a pianta quadrata, alla quale si accede dal ponte levatoio che collega la montagna sovrastante al balcone naturale su cui si erge il maniero.
 
Fu edificato presumibilmente su una preesistente struttura romana. Un documento del 1086 cita un “castrum de summo lacu”, ma probabilmente ci si riferisce a un piccolo fortilizio che in quel tempo dominava il lago d’Idro dal dosso dirimpetto di Sant’Antonio, dove parte oggi la strada che sale a Bagolino. Neppure è confermata la preesistenza di un tempio pagano o di una chiesetta paleocristiana, i cui resti si vogliono identificare nelle tracce di una costruzione a pianta trilobata posta nella zona più occidentale del ripiano.
 
Sicuramente la parte più antica del castello fu costruita attorno al XII secolo e coincide oggi con i resti delle mura poste più in alto a formare probabilmente una torre quadrata, di ampie proporzioni, successivamente contornata da alti muraglioni che corrono fino alla torre d’ingresso. Assieme ai castelli lodroniani di Santa Barbara di Lodrone e Romano di Pieve di Bono fu baluardo dei confini meridionali del Principato vescovile di Trento e presidio della strada che collegava la Valle del Chiese con il lago di Garda attraverso la Valvestino. 
 
Nel Duecento era già possesso dei Lodron del ramo di Lodrone, che lo contesero ai bresciani e ai signori d’Arco. Nella guerra tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano del 1439, nella quale giocarono un importante ruolo Paride Lodron e i suoi figli Giorgio e Pietro, il castello fu conquistato per un breve periodo dalle truppe milanesi, comandate da Nicolò Piccinino.
 
Negli archivi locali compare la prima volta in un atto del 1508 tra Magasa e il conte Sebastiano Lodron, detto signore di Castel San Giovanni, ma anche in seguito le citazioni sono molto scarse, cosicché per farsi un’idea della struttura occorre far parlare le pietre. 
 
Tra i vari personaggi Lodron che ne furono signori spicca Ludovico, uno dei più importanti capitani al servizio degli imperatori Massimiliano I e Carlo V. Sua sorella Anna sposò Giorgio Frundsberg, considerato dagli storici il “padre dei lanzichenecchi”. Personaggio importante fu anche il padre dei due sopra citati, Paride Antonio detto Parisotto, che - accusato dell’uccisione a Bergamo di un notaio - fu condannato a morte da Venezia e si rifugiò a San Giovanni sino a quando fu riabilitato e riassunto dalla Serenissima quale comandante delle sue truppe nella guerra veneto-tirolese conclusa con la battaglia di Calliano del 10 agosto 1487. 
 
Nel 1526 il cronista Adam Reissner scrive che nella rocca, di recente ricostruita, pernottò dal 13 al 16 novembre 1526 il Frundsberg, che aveva scelto la via delle Giudicarie per portare soccorso con 15.000 uomini alle truppe imperiali che combattevano in Lombardia contro la Francia. I lanzi tedeschi conclusero la loro marcia col Sacco di Roma della primavera del 1517. Alla spedizione partecipò anche Ludovico Lodron.
 
Nel XVI secolo il castello fu ristrutturato dal conte Sigismondo, figlio di Sebastiano e nipote di Ludovico, con la costruzione della residenza, addossata alle mura verso sud. Sigismondo era rientrato in valle dopo aver assolto importanti ed apprezzati incarichi alla corte di Vienna e al servizio del principe elettore di Sassonia. 
 
Verso la metà del secolo, nel giro di dieci anni, egli tentò di fondare una fortuna economica familiare che non derivasse esclusivamente dall’attività militare, dalle alleanze politiche o dalla carriera amministrativa ed ecclesiastica. Acquistò così il monopolio nella lavorazione del minerale di ferro, che faceva estrarre nelle cave della Val Trompia e faceva trasportare attraverso le montagne ai forni di Anfo e Lodrone; estese anche i diritti della sua famiglia per la pesca nel lago, nel quale all’epoca c’era abbondanza di “trutte et anguille, cavicini barbi et temeli et boze”. 
 
L’illuminato conte istituì inoltre presso il palazzo di famiglia del Caffaro, nel cosiddetto Conventino, il seminario per giovani chierici della contea che il figlio Sebastiano Paride trasferirà poi nel suo palazzo di Salò, residenza da lui preferita all’austera ed isolata dimora di San Giovanni. Dopo aver eroicamente combattuto per l’impero in Spagna e dopo aver dato onorata sepoltura alla moglie, Sebastiano Paride si fece cappuccino assumendo il nome di fra Gian Francesco da Salò.
 
La decadenza del castello coincise forse con questa sua scelta di Salò. Il declino sembra evocato da un documento del 1561 nel quale compaiono le contesse Margherita Roggendorf e Damisella Griffoni, rispettivamente madre e nonna del cappuccino, ambedue vedove. Le due accolgono “nel nostro Castello del Monte di San Giovanni” i fedeli sudditi di Bondone, “avanti noi ginocchioni presentatisi”, e concedono loro una serie di “immunità, onori ed esenzioni” che attestano il venir meno del potere dei feudatari e confermano la crescente autonomia della piccola comunità bondonese. 
 
I suoi uomini sono esentati dal dazio e dalle decime, dal dovere di cavare la sabbia per i castelli e palazzi dei nobili e dall’obbligo di “portare tutte le lettere, commissioni e mandati nostri ai nostri sudditi nella Valle di Vestino”. Ottengono inoltre “la facoltà e potestà di giudicare tra sé e sé ed anche verso gli esteri per mezzo di loro consoli, massari e giurati”.
 
La residenza fu abitata dai signori sino agli inizi del Settecento. Probabilmente fu abbandonata dopo che fu trasformata in presidio dei reparti imperiali per bloccare l’avanzata dei francesi del generale Vendome. Poi venne in declino. 
 
Agli inizi dell’Ottocento Johanna Grossrubatscher fissò in un’incisione il castello prima delle distruzioni belliche del 1848-66 e di quelle causate soprattutto dagli abitanti dei dintorni che lo utilizzarono come cava di materiale da costruzione, asportando gli elementi di granito già lavorati come gli stipiti e le lesene per costruire le loro case e la nuova chiesa di Baitoni.
 
Nel 1956 gli eredi del conte Gasparo Lodron vendettero il castello al signorotto milanese Luigi Cavalli, che lo ricostruì parzialmente in modo dilettantesco. I terrazzamenti del lato nord furono adattati a giardini e frutteti, sul fianco opposto furono consolidate le terrazze che si affacciano sul lago, venne ricostruita e abitata la casa a due piani. 
 
Il Cavalli credeva di aver trovato in quest’angolo suggestivo la serenità per gli ultimi giorni della sua vita, ma la giovane donna fatta salire da Milano a tenergli compagnia, dopo la morte della moglie Gina, non resse alla solitudine e tornò in città. Cosicché, in una mattina di malinconica depressione, l’uomo si sparò alle tempia.

Il Comune di Bondone, oggi proprietario di San Giovanni, ha in programma, se non di ridargli l’antica maestosità, per lo meno di fermarne la decadenza, accelerata da una natura incurante dei quarti di nobiltà. I bondonesi, che sono gente laboriosa e cordiale, hanno la capacità di gestire l’operazione. San Giovanni - dicono - non sarà una cattedrale sulle rocce e diventerà per la Valle del Chiese un segno concreto e intelligente di promozione turistica.

Nelle foto:
- Il castello di San Giovanni di Bondone, che domina il lago d'Idro
- La rocca su cui si erige il castello
- Uno scorcio autunnale su Bondone e Baitoni
- I lanzichenecchi al castello
 
 
 
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