La bottega del formaggio
di John Comini

Adesso che ho avuto la certezza (sigh!) che il Mercato Coperto è chiuso, vorrei dedicare un piccolo ricordo a quella splendida bottega…


Quand’ero bambino, mia mamma mi mandava al Mercato Coperto e dicevo sempre: “Una crescenza Galbani intera, paga la mia mamma!”. Adesso che ho avuto la certezza (sigh!) che il Mercato Coperto è chiuso, vorrei dedicare un piccolo ricordo a quella splendida bottega…

C’era una volta un paese sulla collina. In mezzo vi scorreva un bellissimo fiume, le cui acque facevano girare le pale di un mulino. In quel paese c’erano molte botteghe di panettieri, falegnami, macellai, orologiai, barbieri, fioristi, articoli per la casa e persino fotografi.

C’era addirittura una via, dedicata all’ingegner Giovanni Quarena (parlamentare nato proprio in quel paese nel 1852), che era un vero susseguirsi di botteghe e botteghine.

Tra la vendita del latte e l’idraulico, tra la stanza dei telefoni ed i fruttivendoli, tra il sellaio e la forneria, tra il tabaccaio e l’albergo dove si ballava, ad elencarle tutte si perderebbe il conto. In quel paese, all’inizio della via Molino, vicina alla trattoria “Corona” ed alla bottega “Al mare, frutta e verdura”, proprio accanto alla cassetta rossa delle lettere, c’era la bottega del formaggio.

In apparenza sembrava minuscola, sopra l’ingresso c’era una scritta piuttosto sbiadita. Vi si entrava attraverso una porticina e subito dopo si scendevano due gradini. Ma appena entrati, come Ulisse nella caverna di Ciclope, si illuminavano gli occhi dinanzi allo splendore delle cose buone che v’erano in mostra. Formaggi di ogni tipo, dal Bagòss al Tombea, dal cremoso gorgonzola al grana delle vacche rosse…

E poi gustosissimi salumi, marmellate che erano una goduria, vasetti di funghi che promettevano gioie inenarrabili. Insomma, c’era ogni ben di dio, era una continua tentazione per il palato, una specie di canto delle Sirene di Ulisse che ti ammaliavano e ti prendevano per la gola: “Assaggiami, se mi gusterai proverai il paradiso!”

I nonni del paese si ricordavano il signor Pietro dietro il bancone, con il suo bel faccione rubicondo ed il suo carattere gioviale. Sembrava davvero l’effigie del buonumore e della buona tavola. E poi era giunta la figlia Giuseppina (ma tutti la chiamavano Giusy), che conosceva il nome di ogni cliente e gli faceva assaggiare i vari formaggi decantandone pregi e virtù.

Accanto a lei, il saggio e baffuto Enrico, che conosceva ogni prodotto e –inforcati gli occhiali- ne spiegava la provenienza, come consumarlo e con quale vino abbinarlo. E poi c’era la zia, sempre attenta alla cassa sul lato del bancone, che aveva la visione degli acquisti e seguiva il via vai della bottega con occhio vigile e discreto. Perché di clienti ce n’erano sempre molti, la fama della bottega si era propagata per tutto il territorio e anche oltre i confini.

I turisti tedeschi e inglesi che villeggiavano sul lago, avevano inserito nel loro tour anche la bottega del formaggio. E allora via con gli acquisti per pranzi raffinati o pantagruelici, per cene romantiche a lume di candela o per banchetti da Trimalcione.

E anche eccellenti ristoratori della zona si fornivano presso la bottega, e di tutto questo c’era un perché. Giusy ed Enrico non si accontentavano mai, cercavano sempre il meglio del meglio. La loro era davvero una passione che trascendeva il lavoro.

Da veri amanti della buona tavola e del buon gusto, il tempo libero lo dedicavano a ricercare fuori paese formaggi sconosciuti, a conoscere contadini e pastori che tenevano in serbo per loro preziosi prodotti e nuove scoperte.

Grandi appassionati di tradizioni gastronomiche della nostra bella nazione, non disdegnavano qualche vicino paese d’oltralpe. Perché prima di mille programmi televisivi, libri e siti internet dedicati al cibo, loro avevano già fatto della ricerca il loro indiscusso marchio di fabbrica.

C’era una parola per descrivere tutto questo: passione. Passione per il proprio lavoro, passione per il gusto, passione d’altri tempi per le cose buone e belle.

C’era una volta una bottega. Ma il tempo passa. E come tutte le storie, anche quella della bottega finisce. Adesso nel paese ci sono centri commerciali e grandi supermercati, pieni di luce e di mirabolanti offerte.

Rimane una piccola speranza, un barlume che illumina la cella ancora colma di delizie... Che con un ultimo colpo di coda di quei due bravi maestri, si possa ancora tramandare a qualche nuova leva quella scintilla di passione per le cose buone.

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo

maestro John
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