Magazzino 18
di Vera Muffolini

In occasione della Giornata del Ricordo gli studenti delle classi quinte del Perlasca di Idro ricordano  la tragedia delle foibe e l’esodo istriano


Era il marzo del 2004, quando lo stato italiano istituì la Giornata del Ricordo, con l’intento di conservare la memoria della tragedia che ha visto coinvolti, alla fine della seconda guerra mondiale, gli italiani istriani, dalmati, fiumani costretti a fuggire dal regime di Josip Broz, il maresciallo Tito, o assassinati e gettati nelle foibe.

Nel 1943, con il crollo del regime di Mussolini, che fino a quel momento aveva duramente represso le popolazioni slave locali, tutti gli italiani abitanti nei Balcani vennero considerati nemici del popolo e quindi meritevoli di essere puniti con la morte (foibe e massacri) oppure con l’allontanamento forzoso dalle loro terre (esodo).

Il  numero degli infoibati e dei massacrati italiani nei lager di Tito - nel periodo tra il 1943 e il 1947 - fu almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.

Io ho avuto modo, grazie alla scuola, di visitare di persona il Magazzino 18, nel porto vecchio di Trieste, il luogo dove sono stati ammassate le masserizie delle famiglie italiane che, a seguito dell’esodo, hanno dovuto abbandonare tutto: mobili, oggetti di uso quotidiano, libri, quaderni, album fotografici. Oggetti abbandonati, che pochi richiedono e molti vorrebbero dimenticare

La visita guidata al Magazzino 18 non è affatto stata una visita come tutte le altre.
Posso affermare che, fino a quel momento, non avevo mai avuto modo di partecipare a un’esperienza del genere.
La sua potenza è derivata dalla capacità del luogo e della guida di coinvolgerci e di creare un senso di condivisione all’interno di un contesto di cui nulla sapevamo e che per nulla ci riguardava. Non si trattava di una storia conosciuta; non ci era mai stata raccontata, né in prima persona né dalle pagine di un libro di scuola.

Le riflessioni e, prima ancora, le emozioni che l’atmosfera ha suscitato in me sono state profondamente toccanti, anche se non credo che l’aggettivo “toccante” basti a descriverle veramente.

Di fronte a quello scenario di completo abbandono in cui il tempo sembrava essersi fermato, io mi sono sentita come se quegli oggetti accatastati fossero stati miei, come se fossero un pezzo della mia casa; ascoltando i racconti della nostra guida, io mi sono sentita come se stesse parlando di me, della mia famiglia.

Ogni elemento di questo percorso suscitava sensazioni chiare e distinte: abbandono, speranza, povertà, orgoglio, attesa e commozione. Tutto, all’interno del Magazzino 18, raccontava la propria storia e la propria sofferenza, rimasta senza volti e senza voci per troppo tempo. Io che ho avuto la fortuna di conoscere, comprendere e sentirmi partecipe, mi chiedo come questo sia stato possibile.

Ma non è mai troppo tardi per prendere coscienza e rendere il nostro ricordo di vite altrui un monito comune, perché le storie di vita altrui si scoprono spesso molto più vicine a noi di quanto avremmo mai immaginato.

Non sono molte le persone in grado di sentire il dolore degli altri come fosse il proprio, ma ancora meno sono quelle in grado di renderti parte della propria storia al fine di arricchirti, al fine di fare di te una persona migliore, più cosciente e sensibile.

Per questo, un incommensurabile grazie va alla guida Piero Delbello, che abbiamo avuto l’onore di conoscere e seguire durante il nostro intimo cammino al magazzino 18.

Vera Muffolini, V A A.F.M.

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