Il figlio di papà
di Luca Rota

Nuovo appuntamento con i “figli di...”, nuova figurina, in questo caso però decisamente lontana dagli standard di chi l’ha preceduta.


Se scrivo presidente della federazione calcistica, capitano e punta della nazionale, capitano e uomo simbolo dell’Al Ittihad, o mi starò riferendo ad un genio tuttofare, talentuoso e carismatico, o semplicemente sto parlando di Saadi Gheddafi.

Aggiungici anche diversi incarichi di governo (che guarda caso era in mano a suo padre), la quasi totale influenza nelle convocazioni della squadra nazionale e nel suo club, ed ecco che ti ritrovi davanti il vero identikit del figlio di Mu’ammar Gheddafi, con la passione per il calcio.

Di lui in Italia si ricordano due brevissime apparizioni - entrambe di una presenza - con le maglie di Perugia e Udinese, unite ad un passaggio alla Sampdoria senza mai giocare.

Inoltre è stato azionista di minoranza della Juve prima della caduta del regime del padre, ma non il primo libico a giocare in Italia.
Prima di lui Jehad Muntasser aveva rappresentato i colori del proprio paese in casa nostra, vestendo le maglie di Viterbese, Triestina e Perugia tra le altre.

La differenza tra i due però è che Muntasser calciatore professionista lo è stato, mentre Saadi Gheddafi lo si potrebbe definire un amatore, per giunta scarso, o per meglio dire, un vero e proprio figlio di papà che per anni ha gestito convocazioni e scelte federali, punendo in modo infame chi non ubbidiva.

Perché non bastano la passione, il potere, i milioni e nemmeno l’arroganza per comprare il talento, e ad oggi anche Saadi forse lo sa.
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