Quei ragazzi sullo scuolabus
di John Comini

Mercoledì mattina sono andato con mia moglie all’aeroporto di Linate. Tornava nostro figlio dagli Stati Uniti, dove ha fatto il preparatore atletico di una squadra universitaria di basket. Era quasi mezzogiorno...


Mercoledì mattina sono andato con mia moglie all’aeroporto di Linate. Tornava nostro figlio dagli Stati Uniti, dove ha fatto il preparatore atletico di una squadra universitaria di basket. Era quasi mezzogiorno. Aerei che sfrecciavano nel cielo, tabelloni luminosi che segnalavano gli arrivi, gente di vari tipi. È giunto anche un calciatore di colore del Milan, ed il personale di terra si è fatto un selfie con lui.

Tornando a casa, scopro che lì vicino, a pochi chilometri da Linate, è accaduta una vicenda terribile, si è rischiata una strage degli innocenti. Ho visto le immagini riprese da un automobilista con un cellulare: ragazzi che corrono, terrorizzati… Poi pian piano sono emersi i fatti…

C’è l’autista di uno scuolabus, Ousseynou Sy, 47enne di origini senegalesi e con cittadinanza italiana. Qualcuno dice che prima sembrava una brava persona (ma questo lo dicono spesso gli intervistati, dopo qualche grave fatto di cronaca). Deve riportare 51 bambini a scuola dopo un’attività sportiva. Sono due classi delle scuole medie, ci sono due accompagnatori ed una assistente. Ad un certo punto l’autista cambia percorso e, brandendo un coltello, grida: «Andiamo a Linate, da qui non esce vivo nessuno!».

Non riesco ad immaginarmi il terrore dei passeggeri. Grida frasi sconnesse, urla che vuol vendicare i morti nel Mediterraneo, che vuol prendere un aereo e tornare in Africa e usare i ragazzini come scudo. Ha pianificato tutto: nei giorni precedenti aveva acquistato 10 litri di benzina, tolto i martelletti di sicurezza, quelli per rompere i vetri in caso di fuga, ha preso le fascette da elettricista con le quali costringe i due insegnanti e la bidella a legare i ragazzi ai sedili del pullman. Con delle tele nere oscura i finestrini e sequestra i cellulari, fermando il pullman due, tre volte. Sembra un film del terrore, un videogioco allucinante, ma non lo è. C’è in gioco la vita.

La collaboratrice scolastica è costretta, sotto la minaccia del coltello, a legare i bambini e a spargere la benzina sui sedili e sulle tende. "Mi ha ordinato di sequestrare tutti i cellulari, con lo sguardo facevo segno ai ragazzi dietro di tenerli". Infatti l’autista non sa che sull’ultimo sedile del pullman, dove di solito stanno seduti gli studenti più casinisti, ci sono tre ragazzini più furbi di lui. Sono figli di immigrati, di origine nordafricana, ma parlano la lingua dei compagni, con un perfetto accento brianzolo, vedono le stesse serie tv, tifano per le squadre italiane.

Uno ha nascosto il cellulare
sotto il seggiolino davanti, lo recupera senza farsi vedere. Dice ai compagni di alzare la voce e fare casino mentre lui chiede aiuto.
Telefona al 112: “Pronto, signore, mi scusi, ci stanno rapendo in un pullman, ci minacciano con un coltello…Ora sta uscendo, sta andando verso la campagna. Però la prego, chiami qualcuno, non è un film, non possiamo perdere la vita…” Poi chiama la mamma: "Mamma, siamo in un pullman, ci stanno uccidendo, ci stanno portando in un posto sconosciuto, non sappiamo dove ci portano, ci vogliono uccidere tutti, ci stanno portando via, mamma, aiutami!"

Poi interviene Ramy: richiama i soccorritori per indicare il luogo esatto in cui si trova il bus. Lui quella strada la conosce bene perché l’ha percorsa in passato con i genitori. Immagino l’incredulità di chi è dall’altro capo del telefono, ma i militari allertano tutte le pattuglie per intercettare lo scuolabus. Ramy dice ai compagni “State calmi, stanno arrivando”. A quel punto però l’autista si accorge che qualcuno non ha consegnato il cellulare e si ferma per prenderglielo: "Ha dovuto consegnarlo o sarebbe successo qualcosa di brutto".  Qualcuno prova a rompere il vetro a calci, altri fanno dei segni da finestrino indicando “1-1-2”, il numero dell’emergenza, alle macchine che passano.

I soccorsi scattano subito, si organizzano posti di blocco, una gazzella raggiunge il pullman e lo sperona.
Un ragazzo, a rischio della propria vita, decide di offrirsi come ostaggio.

L'autista forza lo sbarramento dei carabinieri, speronando le auto. Zigzaga in mezzo al traffico trascinando per circa 80 metri la macchina dei carabinieri. Ma perde il controllo: il bus rallenta e finisce contro il guard-rail. Un prof intanto taglia le fascette che legano i suoi allievi.

Il dirottatore appicca il fuoco con un accendino. Urla ai militari dell’Arma: “Andate via e non sparate, qua è pieno di bambini ed è tutto gasolio!"
Mentre due carabinieri distraggono l’autista, alcuni riescono a sfondare i vetri e a mettere in salvo studenti e professori, entrando dalla porta posteriore. I ragazzi urlano correndo a perdifiato per allontanarsi dal mezzo che già sta bruciando. C’è chi grida «Siamo vivi!», un ragazzino grida a qualche innamorata segreta: «Ti amo... io ti amo!». Perché la vita vince sempre sulla paura, sulla morte.
Il bus è avvolto dalle fiamme: intervengono diverse squadre dei vigili del fuoco. Alla fine non resta che la carcassa annerita. Adesso l’autista è in carcere di San Vittore, si parla di infermità mentale, ma forse non lo è.

Il giorno dopo…
I ragazzi si abbracciano in classe per scacciare la paura: «Abbiamo avuto paura di morire. Solo noi sappiamo quello che abbiamo passato».

Un ragazzo grida: «Siamo diventati famosi!». Forse esorcizza la paura. «In classe abbiamo rivissuto tutto quello che ci è capitato ieri. Ci siamo abbracciati. Io ho dormito benissimo, ma la mia compagna di classe mi ha detto che quando si è svegliata non è più riuscita a riaddormentarsi».

E c’è Ramy. Tutti adesso lo chiamano eroe, ma lui dice, candidamente: “L’ho fatto per salvare i miei compagni.”
Una bambina racconta dispiaciuta che nel rogo è bruciato il suo cellulare.
La paura dei genitori: «Quell’uomo aveva dei precedenti penali. In che mani sono i nostri figli?»

La preside: «Abbiamo cercato di fargli rivivere anche i momenti positivi. Che su quell’autobus c’erano anche adulti buoni che li hanno aiutati e che loro sono stati bravissimi a tenere la calma anche in quei momenti, come dei veri grandi».
Una mamma: «Ho preferito portare mia figlia a scuola, la notte scorsa era molto agitata. Se l’avessi lasciata a casa sarebbe stata tutto il giorno davanti alla televisione e sarebbe stato molto peggio. A scuola con gli insegnanti e con i suoi compagni sono sicura che tutti troveranno la serenità».

La collaboratrice scolastica: «Tutte le volte che l’ho visto mi è sempre sembrata una persona distintissima. Ieri invece mi gridava di legare i ragazzi e di spargere benzina: “Se non obbedisci ti ammazzo”... Ho fatto di tutto per tranquillizzare i ragazzi. Erano nel panico. Urlavano. Gli spiegavo che se fossero stati calmi sarebbe andato tutto bene. Io sono stata l’ultima a scendere dal pullman che già bruciava. Mi ha salvato un carabiniere. Per fortuna i ragazzi erano già tutti fuori. Alla fine ci siamo abbracciati. Sono stati loro a tenermi su di morale. Mi dicevano: “Sei stata grande”. Ho capito in quel momento che i miei bambini erano tutti salvi».

E poi c’è il professor Cadei, (bresciano doc, nativo di Palazzolo sull’Oglio ha studiato all’Itis-Castelli prima di laurearsi all’Isef di Milano e trasferirsi in provincia di Cremona): «Ho fatto il mio dovere, non sono un eroe». Già mercoledì sera ha presenziato all’allenamento del Basket Crema maschile, di cui è preparatore atletico. Su Facebook ha scritto: «I miei ragazzi sono stati fantastici, la cosa importante è questa e che stiano tutti importante è questa e che stiano tutti bene».

La sua società di basket devolve 10 euro per ogni canestro ad un’associazione contro la violenza sulle donne. E anche questa è una bellissima cosa.
Un colonnello dei carabinieri: «La cosa importante è la felice risoluzione di un evento, che poteva portare a un epilogo tragico, grazie al coraggio dei ragazzi che sono stati tutti veramente bravi».

Adesso, come sempre, l’Italia si spacca in due.
C’è chi vorrebbe controlli più severi, una stretta sui permessi. C’è chi sui social sostiene che deve essere tolta la cittadinanza italiana al sequestratore.
C’è chi si arrabbia con tutti gli stranieri, facendo di ogni erba un fascio. A Torino due ragazze di origine marocchina hanno subìto l’ira di una passeggera. «Ci ha detto che facciamo gli attentati terroristici. Si è buttata contro di noi, ha preso a pugni la mia amica e le ha strappato il velo dalla testa. Poi ha picchiato anche me quando ho cercato di difenderla».

C’è chi sostiene che la violenza delle parole porta odio, secondo il detto “Chi semina odio raccoglie tempesta”. Don Luigi Ciotti scrive che “il razzismo è a volte provocato o alimentato da situazioni di disagio reale, sfruttate dai seminatori di odio; per rimuoverlo bisogna affrontare concretamente i problemi con proposte e risposte efficaci, avendo come obiettivo non la solidarietà ma il diritto e la giustizia sociale per tutti”.

C’è chi sottolinea che la scuola italiana prosegue il proprio mandato costituzionale di essere aperta a tutti, obbligatoria e gratuita. Partendo da culture e condizioni socioeconomiche diverse, si costruiscono la comunità e i valori condivisi, unico antidoto a un mondo che sperimenta diffusamente la legge dell’odio.

C’è chi vorrebbe dare la cittadinanza italiana a Ramy. Si discute sul tema dello Ius soli, sul fatto che questi bambini sono italiani come noi.

E Papa Francesco continua a richiamare tutti a salvare chi, in mare, chiede aiuto.

C’è chi ricorda che sia Branton Tarrant, il suprematista bianco entrato in Nuova Zelanda armi alla mano in due moschee e uccidendo 50 persone e ferendone altre 47. responsabile dell’attentato ai musulmani in Nuova Zelanda, sia l’autista dello scuolabus  hanno i propri fantasmi che li hanno portati ad agire in questo modo.

Mi si gela il cuore pensando all’orrore. Penso alla strage di Beslan, il massacro avvenuto 2004 in una scuola del Caucaso, dove un gruppo di terroristi sequestrò adulti e bambini. Quando le forze speciali russe fecero irruzione, fu l’inizio di un massacro che causò la morte di più di trecento persone, fra le quali molti bambini.
Credevamo di essere esenti dal male, di aver messo al sicuro noi e i nostri figli.

Questo mondo fuori controllo ci angoscia. Si fa fatica a dare un senso al tempo che stiamo vivendo. Quello che sembrava impossibile, accade.

Sono tempi difficili, confusi, pieni di paura, rabbia e disperazione.

Ma in questo momento penso a quei fantastici ragazzi sullo scuolabus, alla loro forza di reagire, alla loro voglia di vivere. Bravi ragazzi, siete stati grandi!

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo,

maestro John
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