L'idea semplificata raccoglie consenso
di Valerio Corradi

Il dato politico più significativo delle elezioni europee del 26 maggio è la forte affermazione della Lega capace d’intercettare consenso praticamente ovunque, avanzando anche nel Centro e nel Sud Italia


A stupire sono soprattutto le percentuali «ungheresi» (per richiamare l’ampia affermazione dell’alleato Viktor Orbán) che la compagine di Matteo Salvini ha fatto registrare nelle aree extra-urbane e nei cosiddetti territori periferici e rurali del nord Italia.

A ben guardare, il consenso alla Lega è come un gradiente che parte dalle percentuali comunque elevate (Milano 27,4 per cento; Brescia 35,4 per cento) delle città e cresce in maniera più o meno regolare man mano che ci si allontana dalle aree urbane.

Aspetto che è ancora più chiaro se si osserva che i voti per il partito di Salvini aumentano al decrescere dell’ampiezza demografica dei comuni, raggiungendo il picco del consenso nei centri con meno di cinquemila abitanti, dove si attesta ben oltre la soglia del 50 per cento arrivando, in alcuni casi, fino al 75.

Il nesso tra orientamento di voto e scala territoriale si registra anche in altri paesi europei (ad esempio in Francia e Gran Bretagna) e pone in evidenza il peso che hanno sugli esiti elettorali le differenze centro-periferia, aree forti-deboli, grandi-piccoli centri, città-campagna.
Da una parte città nelle quali persistono orientamenti filoeuropeisti, dall’altra territori di provincia che rinforzano posizioni radicalmente critiche nei confronti dell’Unione Europea.

Queste tendenze sono rintracciabili anche nel contesto bresciano dove a premiare la Lega, col voto di più di un elettore su due, è stato un raggruppamento eterogeneo comprendente comuni delle zone rurali, piccoli centri montani, comuni residenziali e turistici (come ad esempio verso Garda e Franciacorta), aree produttive delle valli, comuni residenziali dotati di servizi e buona infrastrutturazione che orbitano intorno al contesto urbano.

Oltre che per la limitata ampiezza demografica
, l’unico vero tratto che accomuna questi centri è quello di essere «altro» dalla città e di esprimere, ormai da tempo, la propria preferenza per proposte politiche basate su categorie di pensiero semplificate e che insistono nel rimandare ad alcune sicurezze o a una qualche forma di radicamento territoriale e identitario.

In ultima istanza, il voto del 26 maggio ha ribadito che per larga parte dell’elettorato l’allentamento dei confini che un tempo separavano stati, mercati, civiltà, la costituzione di nuovi intrecci culturali e di crescenti interdipendenze su scala europea siano più un motivo di paura anziché di speranza.
Si cerca di affrontare un futuro popolato da tante incognite difendendo le certezze quotidiane del qui e ora e provando a recuperare alcuni simboli della tradizione.

Il tempo dirà se da queste posizioni, al momento prevalentemente oppositive, potranno scaturire proposte in grado di gestire la crescente complessità del mondo e di costruire qualcosa di nuovo e di migliore.

Per il momento, possiamo dire, riprendendo John Henry Newman, che più che col passato, questi orientamenti hanno a che vedere col modo di guardare e interpretare il futuro.

Valerio Corradi
Docente di Sociologia del Territorio - Uni. Cattolica
(dal Giornale di Brescia)

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