Guerrieri (pt. 3)
di Luca Rota

La leggenda vuole - anche se questa leggenda non è – che, appena arrivato al Milan, Sacchi avesse suggerito a Baresi di guardare come giocava il 6 della sua ex squadra (il Parma, nda), in modo da poter comprendere ciò che lui voleva da un libero moderno


Si tenga conto che al tempo Baresi era probabilmente il migliore della A nel suo ruolo, con già un’esperienza decennale alle spalle, e con ciò si provi a comprendere chi fosse Gianluca Signorini.
 
Fu proprio con Sacchi che il libero smise di essere la versione aggiornata dello “sweeper” presente nel “gioco all’italiana”, prendendo le sembianze dell’odierno centrale, quello dai piedi buoni che avvia l’azione.
 
Signorini questo ruolo lo interpretava da dio, soprattutto nella rivoluzionaria zona voluta dal Mago di Fusignano nel Parma di metà anni Ottanta, tanto da guadagnarsi l’approdo nell’ambiziosa Roma, prima di stabilirsi a Genova, sponda rossoblu, dove trovò la sua seconda casa. 
 
Il morbo di Lou Gehrig se lo portò via quando gli scarpini li aveva già appesi al chiodo da qualche stagione, mentre si divideva tra scrivania e panchina nel suo Pisa, dove tutto era iniziato e dov’era ritornato per creare un nuovo inizio. 
 
Signorini però ancora oggi è sempre presente, sia che si tratti della gradinata dell’Arena Garibaldi a lui intitolata, sia negli spogliatoi del Ferraris, dove tante volte ha caricato i suoi prima di partite importanti.
 
Lì dove il Grifone ha deciso che quella numero 6 non l’avrebbe indossata più nessuno dopo il suo “Capitano”.
 
 
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