Una coperta per i sogni
di Susanna Bonomini

Qualche anno fa, ho scelto di diventare volontaria alle cure palliative, in hospice a Nozza...


Dopo il percorso formativo, dopo aver conosciuto le altre volontarie, le infermiere, infermieri, medici, dottori, che operano nella struttura, ho capito che era la cosa che volevo da sempre. Non lo sapevo, prima, ma oggi direi che è stata una delle scelte più giuste della mia vita.

Chi sa del mio volontariato alle cure palliative mi dice: “che brava, ma io non saprei cosa dire, tu cosa gli dici?”
Chissà perché spesso si pensa che il letto di un malato debba essere un pulpito per fare discorsi “ad effetto” o che una volontaria conosca parole esclusive e benefiche e sia così logorroica da poter parlare a “raffica” per tutto il tempo…

Oppure mi si domanda “ma esattamente cosa fai?”
e alla mia risposta “niente, ma ci sono, sono lì” la loro delusione è così evidente che mi piacerebbe poter dire che un poco “sfavillo” o “scintillo”.

Credo sia perché il temine “cure palliative” viene confuso con “cure inutili”.
Invece, la parola “palliare” arriva da “pallio” coperta. 
Nell’antica Grecia e antica Roma il pallio era un telo di lana che le persone indossavano drappeggiato sulla spalla, sopra la tunica così appunto da coprirla.

Ecco, noi volontari facciamo da coperta ai sogni, ai pensieri, al tempo che scorre anche per le persone ricoverate. 
Facciamo quello che i farmaci, pur indispensabili per il dolore fisico, non possono fare per il dolore totale.

Facciamo una cosa che sembra semplice: ascoltiamo. 
Non solo le parole dette, anche un gesto può parlare, anche gli occhi chiusi raccontano, anche il silenzio ha molto da dire.. Noi volontari, ci avviciniamo al malato senza la “presunzione” di guarirlo, contiamo invece sulla grazia dell’empatia.

Tutti i volontari non hanno quasi mai un vissuto con il malato, ecco perché non ci curiamo di giudicare il suo passato o la sua situazione attuale, i volontari per il malato possono essere “molto” ma insieme sono niente.
Per questo possiamo chiacchierare, ridere, confidarci, piangere e pure divertirci… perché c’è sempre qualcosa che possiamo fare, che possiamo dire, prima che sia troppo tardi.

E anche se nella malattia predomina la tristezza
, c’è ancora vita, con la vita c’è anche la gioia, c’è la serenità dell’accettazione, la profondità della saggezza, della comprensione.

In hospice ho imparato molto, da tutti: malati, operatori, volontarie, dottori, parenti, ma un insegnamento mi accompagna sempre, sia in struttura, sia fuori, e adesso che l’ho imparato non potrò più scordarlo.

Ho capito che il tempo che ci rimane da vivere ci appartiene. E’ solo nostro.  
E per fortuna, siamo tutti vivi prima di morire.

Susanna Bonomini

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