Quando muore un fratello
di Ezio Gamberini

Caro Elio, caro fratello mio… mi sembra già di sentirti: “Non tirarla troppo per le lunghe e non raccontare troppe balle!”, orso che non sei altro…



Non lo farò, sarei un’ipocrita, perché eri anticonformista, non sopportavi le convenzioni, e odiavi i riti, oltre al telefonino, dopo decenni di reperibilità all’ospedale; chissà cosa avresti detto nel vedere tutti questi fiori e vederci qui riuniti per ricordarti.

Quando ti sposasti indossavi una salopette e al matrimonio di mio figlio, tra doppiopetti e gessati, arrivasti in bermuda, camiciola e sandali… e mai come in quel momento ho apprezzato in te quello che io considero essere uno “spirito libero”.

Hai sempre odiato i soprusi e le ingiustizie, e amato la verità, il bello, la buona musica e le buone letture, attività che specialmente in questo ultimo anno in pensione hai esercitato assiduamente, ciò che è positivo, il desiderio di legalità, ma soprattutto sei stato un padre premuroso, ancorché severo (quando raccontavo alle tue figlie le marachelle che combinavamo in coppia, abbastanza innocenti, o commesse da te singolarmente, un po’ più toste, ridevano di gusto), e sei stato un marito che ha amato, onorato e rispettato la compagna della sua vita, totalmente ricambiato; quando tra di noi parlavi di loro, o di certi tuoi amici, ti luccicavano gli occhi.

E saresti pure stato un nonno straordinario, e avresti insegnato al tuo nipotino, il quale arriverà in aprile, che il pomodoro deve essere potato proprio in quel punto lì, come volevi insegnare a me che non capivo un accidente di pomodori, altrimenti il frutto non cresce. La famiglia era la cosa più importante per te, così come lo è per noi, figli degli stessi magnifici genitori che ci hanno tramandato tutto ciò, e sono certo che siamo riusciti a trasmettere questo valore ai nostri figlioli.

L’ultimo giorno della tua vita,
domenica, hai preparato una polenta saporita, che avete gustato in famiglia. Le tue figlie hanno detto che eri sereno e rilassato e pregustavi lo spiedo che avremmo mangiato insieme a Natale, tutte le nostre famiglie riunite, come avviene da molti anni.

Due mesi orsono ti avevo portato i cinque film di don Camillo e Peppone, e telefonandoti qualche giorno fa, mi hai detto che stavi guardando (o riguardando, per l’ennesima volta) “Don Camillo Monsignore ma non troppo”, e ti stavi sganasciando dalle risate.
Entrambi amavamo Guareschi, autentico esempio di “spirito libero”, e come lui, per il tuo ultimo viaggio, hai voluto indossare una camicia a quadrettoni, per essere subito identificabile quando arriverai “di là”.

Sei stato un uomo vero, con la schiena diritta, e hai sempre fatto del bene; del male mai, a nessuno.

E a questi uomini, agli uomini come te, anche se un po’ orsi, sono sicuro, è riservata un’immortalità che assicura una simbiosi con i propri cari che ci hanno preceduto, e lascia un indelebile e piacevole ricordo (ma anche certezze) in chi resta.

Ci è precluso sapere dove, o in quale forma, ma credo, e sono assolutamente sicuro, che tu abbia già abbracciato il nostro fratello Guido, morto in un incidente quarant’anni fa, quando ne aveva soltanto ventotto, la nostra mamma e il nostro papà, tuo cognato Carlo, anche lui scomparso prematuramente a causa di un incidente sedici anni orsono, quando ne aveva soltanto quarantotto, i tuoi suoceri, i tuoi parenti e amici più cari che ti hanno preceduto, e avrai potuto accarezzare anche Spicchio, forse il tuo cagnolino preferito, la cui foto è incorniciata da oltre trent’anni sopra il tuo camino.

Riposa in pace Elio, ne hai tutto il tempo, anzi, hai tutta l’eternità.



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